Economia

Intervista avv. Bana su divieto uso piombo in zone umide, un problema per la caccia.”Servono risposte certe in tempi rapidi”. Intervengano ministri Ambiente e Agricoltura

Assoarmieri, l’associazione che fa capo a Confcommercio e che rappresenta i rivenditori di armi sul territorio nazionale chiede chiarimenti al governo sull’interpretazione e sull’applicazione della normativa europea che vieta l’utilizzo di piombo nelle zone umide. Una disciplina con evidenti ricadute nell’ambito della caccia. “È un momento difficile per il settore – spiega a Bee Magazine il presidente dell’associazione, l’avvocato penalista Antonio Bana – Servono risposte certe in tempi rapidi”. Con riferimento al Regolamento UE 2021/57 che introduce il divieto, Assoarmieri ha infatti inviato una lettera ai ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura per far presente le proprie preoccupazioni e la necessità di un intervento correttivo urgente. Quali sono le vostre rivendicazioni?  “Assoarmieri sia prima che dopo l’entrata in vigore in tutta l’Unione Europea del Regolamento 2021/57, avvenuta lo scorso febbraio, aveva espresso in modo deciso, insieme alle altre associazioni del settore produttivo e venatorio, la necessità di un chiarimento che evitasse una situazione di incertezza. Purtroppo, è proprio quello che è accaduto. Neppure la circolare ministeriale interpretativa è servita a risolvere i dubbi. Ma non possiamo più aspettare. L’intero comparto sta subendo un danno economico ingente a causa della mancanza di tempestività e di chiarezza in relazione alla definizione di “zona umida”. È questo il punto dirimente? Il perimetro esatto delle zone umide? È un dato cruciale. Ancora prima che venga realizzata e messa a disposizione della collettività una mappatura completa e una cartografia delle zone umide italiane, è di prioritaria importanza chiarire con una legge, o un atto avente forza di legge, che cosa si intenda esattamente per “zona umida”. Questo deve essere certo sia per i cacciatori che per le guardie venatorie e gli altri soggetti preposti a vigilare ed eventualmente sanzionare comportamenti non corretti. Cosa dice la norma e quali sono i dubbi interpretativi? Il regolamento Ue 2021/57 mira

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Economia

Tribunale unificato dei brevetti, alcune anomalie da eliminare a un anno dall’entrata in vigore

Il Tribunale Unificato dei Brevetti è ormai una realtà consolidata e l’Italia, grazie ad un sapiente ed incessante lavoro da parte della diplomazia – di concerto con il tavolo tecnico, le Istituzioni, gli ordini professionali e il mondo associativo – è riuscita a portare a casa un grande ed indiscutibile risultato con l’assegnazione di una delle tre Divisioni Centrali, che ha aperto i battenti alcuni giorni fa a Milano. Trattasi di risultato che consolida il giusto ruolo che deve essere riconosciuto al nostro Paese nel mondo della tutela dell’innovazione. Tuttavia, questo traguardo rappresenta solo il punto di partenza. Il nuovo sistema, infatti, consta di un corpo di regole che deve seguire le esigenze della realtà e, per l’effetto, deve essere migliorato o, meglio, adattato alle esigenze dei tempi. A un anno dall’entrata in vigore, il primo rilievo che salta agli occhi è quello relativo all’anomala concentrazione di procedimenti pendenti avanti ad alcune Divisioni (quelle tedesche) a discapito di altre. Tale circostanza necessita di una modifica del Trattato Istitutivo del Tribunale Unificato dei Brevetti e delle regole di procedura atta a favorire una equa redistribuzione dei casi per un accesso più ordinato e democratico alla giustizia brevettuale. Un’altra anomalia è data dal regime linguistico che, al momento, vede l’adozione della lingua tedesca in circa il 46% dei casi*. Ricordiamo, sul punto, come tutte le Divisioni Locali hanno da tempo adottato come seconda lingua l’inglese. Ebbene è necessaria una riforma atta a consolidare tale orientamento favorendo l’adozione dell’inglese, come unica lingua ufficiale afferente ai giudizi intentati avanti la nuova Autorità Giudiziaria. Da ultimo, il tema costi. Il sistema che si sta rivelando di estrema efficienza e rapidità sta però prendendo una deriva elitaria atteso che i costi appaiono essere proibitivi. Si pensi in proposito alle tasse processuali che in un giudizio di

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Economia

“Made in Italy” più tutelato dopo la recente sentenza della Cassazione

La recentissima sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 3 maggio 2022, depositata il 21 giugno u.s. ha il pregio di mettere a fuoco ancora una volta l’importanza della rilevanza penale del concetto di “made in Italy” sui prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine. Prima di entrare nel cuore delle argomentazioni della Suprema Corte, corre l’obbligo ripercorrere, seppur sinteticamente, l’importanza della Legge Finanziaria del 2004 all’art. 4 comma 49 L. 24 Dicembre 2003 n. 350, relativa all’importazione e l’esportazione ai fini di commercializzazione, ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine che costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 cod. pen.. Questa breve, ma doverosa, premessa introduce il discorso sulla lotta alla contraffazione e la tutela del made in Italy. Le condotte illecite lesive del c.d. “made in Italy” hanno ad oggetto la falsificazione dei dati relativi all’origine e/o alla provenienza dei beni da intendersi, secondo i più recenti orientamenti della lavorazione riferibili rispettivamente al “luogo geografico di produzione” e al “luogo di lavorazione del prodotto”. L’origine e la provenienza dei beni, naturalmente, sono strettamente legati alla qualità dei prodotti, nel senso che, da un punto di vista patologico, risulta senz’altro appetibile abbinare indebitamente l’etichetta “italiana” a merci di origine/provenienza diversa, stante l’insito valore riconosciuto alle filiere produttive nazionali. Giova precisare che la delicata materia della tutela delle indicazioni di origine o qualità delle merci ha assunto un crescente rilievo a livello nazionale ed europeo, anche in ragione della massiccia diffusione di forme di delocalizzazione imprenditoriale che hanno comportato il trasferimento di parte o talvolta, di interi cicli produttivi in paesi terzi. L’usurpazione delle indicazioni di origine o provenienza può

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