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Ambiente

Sfruttamento risorse minerarie dei fondali marini: tempo di decidere

Tra poco più di un mese, si riunirà a Kingston, in Giamaica, il Consiglio dell’Autorità internazionale dei fondali marini (International Seabed Authority – ISA). Organizzazione un pò misteriosa e lontana dai riflettori, l’Autorità è l’organizzazione del sistema delle Nazioni Unite che gestisce e controlla tutte le attività relative all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse minerarie nella cosiddetta “Area”, la regione del fondale oceanico, pari a circa il 58% dell’intera superficie sottomarina degli oceani, fuori da qualsiasi giurisdizione nazionale. Ad oggi, lo 0,61% di questa superficie (pari a 1,47 milioni di km2) è oggetto di contratti di esplorazione e potenzialmente di futuro sfruttamento. Le risorse minerarie dell’Area sono “Patrimonio comune dell’umanità”: nessuno Stato può rivendicare diritti sovrani esclusivi su di essa o sulle sue risorse. Per questo, dal 2011, quando le capacità di esplorazione e di sfruttamento dei fondali marini hanno cominciato a uscire dallo stadio pionieristico, l’Organizzazione è impegnata in un complesso negoziato per l’adozione di un Regolamento sullo sfruttamento delle risorse minerarie di questa sconfinata regione sottomarina. Oggi, questo negoziato sembra ormai avvicinarsi a una conclusione. A marzo il Consiglio sarà chiamato a lavorare sul primo testo consolidato di una bozza di Regolamento. Quando questo sarà adottato, potrà aprirsi la strada all’estrazione dai fondali oceanici di una serie di minerali che includono cobalto, nichel, manganese, molibdeno, platino e titanio. Si tratta di risorse utili per la transizione energetica e digitale, ma rare e spesso concentrate in pochi Paesi, alcuni condizionati da instabilità politica e situazioni di conflitto, altri competitori geostrategici dell’occidente. Questi minerali hanno soprattutto la forma di noduli polimetallici posati sul fondale, per i quali la tecnologia di estrazione è relativamente più semplice, poiché consiste essenzialmente in un’attività di dragaggio sul fondo del mare. Le prossime riunioni del Consiglio non saranno facili. La questione più delicata riguarda la

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Ambiente

Antropocene, intervista a Marco Galaverni (Wwf)

L’ennesimo extraterrestre, che per un guasto, o per fare pipì, dovesse fermarsi sul nostro pianeta, dopo esserci già stato, poniamo, un secolo fa, non avrebbe dubbi sul termine Antropocene, perché stavolta farebbe fatica a trovare un angolo dove riparare l’astronave, o liberarsi, senza essere avvistato. Composto dal greco àntropos, uomo, e kainòs, recente – dunque, età dell’uomo recente – il termine fotografa meglio di qualsiasi altro lo stato attuale della Terra: quei quasi nove miliardi di brulicante umanità, che saranno pure il segno del nostro successo come specie, ma, al tempo stesso, rendono il nostro futuro persino più precario di quello di tante altre che stiamo spingendo verso l’estinzione. Nonostante la sua evidente aderenza alla realtà, però, l’uso di Antropocene non ha ancora raggiunto lo status di parola universale. I geologi, veri titolari di questa classificazione, concordano nel considerarlo parte dell’Olocene, che è il secondo periodo del Quaternario, ed è cominciato circa 11500 anni fa, dopo l’ultima glaciazione. E ammettono che abbia una sua propria identità, perché segnala con chiarezza la recente capacità dell’Homo sapiens di lasciare sulla Terra tracce così profonde da potersi definire, appunto, geologiche, cioè capaci di durare per ere e di essere avvistate dallo spazio. Tuttavia, continuano a discutere sul momento dal quale farlo decorrere, il che vuol dire, in poche parole, quali impronte umane prendere in considerazione: se le emissioni in atmosfera, o la plastica, o il cemento, o la radioattività, o i rifiuti in generale. La verità è che, da un lato, è difficile dare termini precisi a un fenomeno del quale siamo insieme osservatori e protagonisti. Dall’altro, è impossibile ignorare che stiamo modificando per la prima volta, su scala globale, i meccanismi che regolano la vita sulla Terra. E allora, è meglio che a definire l’Antropocene sia proprio il bilancio del nostro impatto

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Ambiente

Oppenheimer, quando i fisici “conobbero il peccato”

Genio indiscusso del XX secolo della fisica quantistica. Era amante delle donne e della bella vita, americano per molti, spia comunista per altri, ma soprattutto fu l’inventore di uno dei strumenti di devastazione più potenti: la bomba atomica. Come fondatore e poi presidente del Progetto Manhattan fu un forte sostenitore dell’aggressione alle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Poi visti i ‘successi’ della bomba atomica fu preda di molte crisi di coscienza. In un’intervista commentò così l’esito: «I fisici hanno conosciuto il peccato». Poi nel dopoguerra, come presidente del comitato consultivo della commissione per l’energia atomica, si oppose alla costruzione della bomba all’idrogeno. Un uomo diviso tra luci e ombre, attuale come pochi scienziati ma anche forte conservatore. Iniziò gli studi alla New York Society for Ethical Culture, sotto l’occhio attento del futuro premio Nobel Percy Williams Bridgman. Nel 1926 decise di continuare gli studi all’Università Georg-August di Gottinga in Germania. Oppenheimer diede un altro importante contributo alla fisica teorica: mostrando come un campo elettrico debole poteva estrarre un elettrone dall’atomo al quale era vincolato.       Grazie a un ‘effetto tunnel’ l’elettrone poteva superare, anzi, attraversare la barriera che lo teneva confinato. Nel 1932 alla Caltech (fucina di scienziati, soprattutto fisici) conobbe Einstein con il quale condivise idee e lunghe conversazioni. Il fisico tedesco non partecipò mai attivamente alla creazione dell’atomica, ma la sua teoria della relatività diede a Oppenheimer la spiegazione di come liberare l’energia da una bomba. Fino al progetto Manhattan, dove insieme alle migliori menti applicò queste teorie e nacque l’abominio più grande della storia. «Signor Presidente, le mie mani sono sporche di sangue» disse il fisico a Henry Truman, presidente degli Stati Uniti d’America.     Nelle sale in questo periodo è uscito il film che ne racconta la storia. Un film intenso che

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