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Ambiente

Verso un’Italia ecologista, Cucchiara (EV): a quali modelli di città green pensiamo

Nel Consiglio comunale di Milano c’è anche la formazione politica “Europa Verde” che ha portato avanti diverse proposte per rendere Milano una città capace di affrontare un futuro ecosostenibile. Abbiamo parlato di questi temi con la rappresentante Francesca Cucchiara. Quali politiche verdi sta attuando l’amministrazione Sala a Milano? Partirei dalla mobilità. Sono stati resi disponibili 732 milioni per allungare le linee delle metro, consideriamo che a Milano entrano tra le 600mila e le 800mila auto e quindi quello è un modo per consentire di utilizzare i mezzi pubblici alle persone che vengono da fuori,  e avrebbe sicuramente un impatto significativo sulla città. Un altro aspetto positivo è il fatto che è possibile acquistare 350 nuovi autobus elettrici oppure a idrogeno e anche questo è una misura che incrementa la produttività del servizio pubblico e lo rende più sostenibile. C’è un progetto poi che prevede la realizzazione di 750 chilometri di piste ciclabili a Milano e nell’hinterland, la prima tappa dovrebbe essere operativa per il 2022, che dovrebbe unire Milano allo scalo Segrate. A tal proposito, quali modelli green di città state utilizzando nello specifico? Ci stiamo ispirando alle capitali nordeuropee. Ogni città ha le sue peculiarità, le sue caratteristiche sulla mobilità e si possono trovare anche diverse best practices che sono meno popolari in altri contesti. Sta anche a noi che abbiamo una familiarità maggiore con l’Europa essere bravi anche a creare delle connessioni con altre amministrazioni locali. Dico questo perché, ad esempio, recentemente a Marsiglia c’è stato il Summit of Regions and Cities ed è stata un’ottima occasione per confrontarsi un po’ con altri amministratori locali. Ci sono modelli dai quali si può attingere e sui quali è possibile lavorare in networking. Lavorate quindi in sinergia anche con altri comuni e con altre città per garantire un modello sostenibile?

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Ambiente

Intervista a tutto campo al presidente dell’Aci Angelo Sticchi Damiani

Tra i temi affrontati: L’educazione stradale andrebbe resa obbligatoria nelle scuole. Nel decennio 2010-2020 gli incidenti stradali gravi sono diminuiti del 40 per cento. Le sanzioni severe possono avere un effetto deterrente ma la via maestra è una forte educazione e una più matura coscienza di chi guida, nel rispetto della vita delle persone. Il fenomeno dei monopattini sta diventando allarmante, andrebbe regolamentato a cominciare dall’obbligo del casco. Le campagne dell’Aci. La bella tradizione delle auto storiche. Entro 5-10 anni forte aumento delle auto elettriche nei centri urbani.

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Ambiente

Ucraina, tra le vittime c’è anche l’ambiente

La guerra tra Russia e Ucraina, scoppiata improvvisamente e di cui ancora non è possibile prevedere una soluzione pacifica ha riproposto, oltre alle immagini di morte, distruzione, disperazione e file di profughi alla ricerca di una speranza di vita, un problema molto serio, quello dei danni a un eco sistema che saranno molto difficili da riparare in breve tempo. Accanto a questa guerra se ne sta combattendo un’altra che vede nel mirino delle truppe la biodiversità, i fiumi, i terreni coltivati, gli alberi, gli animali. Gli esperti hanno provato a fare delle stime dei danni che gli interventi militari hanno finora provocato all’ambiente e alle persone. Per ora si può parlare soltanto delle emissioni nocive provocate dal movimento delle truppe con camion, carrarmati e velivoli a reazione che, è noto, provocano senza dubbio inquinamento atmosferico. L’Ucraina può contare su oltre 70 mila specie tra animali e vegetali e, tra queste, se ne contano quasi 1500 protette. Ai piedi dei monti Carpazi finora ancora lontani dal centro degli scontri, c’è un continuo flusso di profughi che rischia di far saltare delicati equilibri. La guerra, insomma, mette a rischio una enorme ricchezza dal punto di vista ambientale. Un terzo circa del territorio ucraino è formato da foreste, paludi, steppe che secondo quanto denunciato dal ministro dell’ambiente hanno subito negli ultimi anni sversamento di tonnellate di fosfati nel fiume Dnipro, proveniente da scarti industriali. A causa del conflitto bellico si prevede lo sviluppo di incendi che andranno ad aggiungere danno al danno. L’Ucraina, inoltre, ha numerosi reattori nucleari ed è la prima volta che scoppia una guerra su un terreno con tante centrali. C’è il rischio che durante i combattimenti anche se non intenzionalmente possa essere colpito uno di questi impianti come è già avvenuto con la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Risulta anche

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Ambiente

Cambiamenti climatici, fiction ormai di moda ma danno l’idea dei pericoli

Da tempo c’è una invasione delle fiction, sia in tv sia al cinema. Gli argomenti variano: dal sentimentale al poliziesco, dalla mafia ai fenomeni naturali quali catastrofi legate ad eruzioni, terremoti, alluvioni. Ma c’è un genere particolare di fiction che da qualche tempo sta suscitando l’interesse non soltanto di chi si occupa di televisione e cinema, ma anche degli studiosi del linguaggio e di tutta la problematica legata alla “nuova” cinematografia.  Si è trovato anche il modo di definire questa sorta di climate fiction abbreviandola in cli-fi e di farne risalire la data di nascita al 2007 definendola come un genere a metà tra la fantascienza e la distopia, per la tendenza a rappresentare scenari tragici e post-apocalittici. Una definizione che nasce dalla fantasia dello scrittore e giornalista nordamericano Dan Bloom. Tutto è cominciato dopo la lettura del romanzo L’ultima spiaggia, di Nevil Shute nel quale viene rappresentato un terribile scenario all’indomani della terza guerra mondiale nel momento in cui il mondo sta per essere travolto da una mortale nube radioattiva.  Allora, la paura di Bloom si trasformò nell’urgenza di comunicare a tutti la gravità dei problemi causati dal cambiamento climatico: l’unico modo per coinvolgere la gente non poteva essere altro che il raccontare delle storie. Un autore di interessanti saggi sul tema, Bruno Arpaia, si è documentato tramite i pareri di diversi scienziati e scrittori ed ha provato ad affrontare questa delicata tematica con il libro intitolato “Qualcosa lì fuori”, un romanzo ambientato in un periodo a cavallo degli anni tra il 2070 e 2080. Decine di migliaia di persone sono in viaggio in una Italia quasi completamente desertificata, nel tentativo di raggiungere la Scandinavia, diventata, assieme agli altri Paesi del Nord Europa, l’unico territorio dal clima ancora adatto all’insediamento umano. Tra mille peripezie, i protagonisti del romanzo cercano

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Ambiente

Energia, nervo scoperto dell’Italia. Occorre un piano energetico nazionale

Il nervo scoperto italiano mai curato dell’energia,  tema non sufficientemente considerato dai tempi di Mattei, è tornato alla ribalta non per la lungimiranza della politica, dell’intellighenzia, dei media, ma semplicemente perché i prezzi del gas e del petrolio sono arrivati alle stelle per svariate ragioni e sta suscitando pericolosamente inflazione e disagi agli italiani. È accaduto come può capitare ad una persona disordinata: incurante della propria salute, non adottando né prevenzione, sottovalutando i sintomi che pur avverte, né sottoponendosi a diagnosi e dunque a conseguenti terapie, si ritrova in un momento qualsiasi vittima di una crisi grave per la propria incolumità. Questa è nella sostanza la storia sull’energia dei decenni trascorsi: non sono stati fatte previsioni del nostro fabbisogno, né analisi fondate e puntuali delle fonti di approvvigionamento, né programmazione che su questo tema si predispongono per lunghi periodi.  È banale dire che i conflitti nascosti o palesi tra potenze dall’inizio del ‘900 ai giorni nostri sono avvenuti pressoché tutti per accaparrarsi le fonti energetiche come condizione strategica per la propria supremazia o sopravvivenza, ed invece nel nostro Paese la questione è stata trascurata per mancanza di coraggio, perché tema faticoso, poco redditizio nel mercato elettorale, oppure per sudditanza agli Stati potenti, o persino per ragioni peggiori, la negligenza ha superato ogni limite.  Insomma su questo argomento, si è vista la peggiore Italietta incurante essa stessa dei suoi più prossimi interessi civili ed industriali, datosi che la sicurezza degli approvvigionamenti, la minore esposizione all’inquinamento, e costi morigerati, sono i requisiti principali per chi ha un minimo di buon senso.  Si vuole sperare che giunti come siamo alle attuali condizioni di grave precarietà nelle forniture e di costi esorbitanti per le bollette di aziende e famiglie, si apra finalmente una fase di ripensamento e programmazione, sollecitati dal PNRR e dalle indicazioni

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Ambiente

Nucleare, in Italia non è la sismicità il problema. È la prevenzione che ci difende dai terremoti

Intervista al prof. Carlo Doglioni, ordinario di geologia, accademico dei Lincei e dal 2016 presidente dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), su nucleare e terremoti, sulla prevedibilità degli eventi sismici e vulcanici, sui progetti dell’Ingv in tema di cambiamenti climatici, innovazione tecnologica, e sulle cattedre (poche) di scienze geologiche in un Paese che ne avrebbe maggior bisogno. C’è necessità di motivare maggiormente i giovani allo studio della Terra e alla ricerca, ma occorrono più fondi. Professor Doglioni, cominciamo da un tema molto caldo e dibattuto in questi giorni: il ritorno al nucleare in Italia, su cui pesa il no sancito dal referendum del 1987. Chi continua a opporsi usa tra gli altri questo argomento: l’Italia è un Paese dove i terremoti sono frequenti, avere centrali nucleari sarebbe pericoloso. Lei cosa ne pensa? È evidente che l’Italia ha tra le sue priorità la necessità di affrontare il tema energetico e le fonti rinnovabili non sono al momento in grado di risolverlo. Molte nazioni stanno investendo o reinvestendo sul nucleare di ultima generazione, anche con microreattori. Gli italiani hanno però votato contro l’energia atomica e quindi, fino a diversa rivalutazione, dobbiamo rispettare la volontà popolare. Di certo, però, non è la sismicità il problema tecnico da superare per costruire reattori nucleari: gli ingegneri sismici sanno costruire centrali atomiche che possano resistere a terremoti ben più energetici di quelli che si potranno mai verificare in Italia: l’importante è che la comunità geologica dia a quella ingegneristica i massimi scuotimenti attesi. Giacché parliamo di eventi sismici, a che punto è il discorso sulla prevedibilità dei terremoti: in che misura sono prevedibili? Per il momento i terremoti sono prevedibili solo su base probabilistica; quindi, non siamo in grado di indicare dove, quando e quanto grande sarà il prossimo forte terremoto. Un giorno, non so

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