L’Ecologia della Felicità

È possibile essere felici rispettando l’ambiente? Dall’ambientalismo alle relazioni umane: ecco cosa cambiare per migliorare l’ambiente ed essere felici

“La posta in gioco per il nostro pianeta non è mai stata così alta”. È questo il monito lanciato durante l’ultima conferenza stampa del 28 febbraio 2022 da Hoesung Lee, presidente dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico). Si tratta dell’organismo creato dall’ONU che informa i governi sui cambiamenti climatici, per consentire loro di prendere delle decisioni in modo da contrastarli. 

“Il cambiamento climatico –  ha aggiunto Lee – è una grave e crescente minaccia per il nostro benessere e un Pianeta sano. Le nostre azioni di oggi modellano il modo in cui le persone si adattano e la natura risponde ai crescenti rischi climatici”. In effetti, secondo le analisi svolte dal Gruppo Intergovernativo, non c’è di che star tranquilli. Nei prossimi 20 anni la temperatura del pianeta aumenterà fino a 1,5° C. Detta così, questo grado e mezzo in più potrebbe non dire molto e addirittura essere preso sottogamba. Nella realtà, però, le cose stanno diversamente. 

Infatti, come confermato nel sito dell’IPCC, questo cambiamento del clima sta già procurando guai al Pianeta. Le inondazioni, le ondate di calore così come la siccità stanno diventando sempre più frequenti nel mondo, causando danni difficilmente gestibili tanto alla flora, quanto alla fauna e allo stesso genere umano. Una delle conseguenze dei cambiamenti climatici quale la difficoltà di avere a disposizione alimenti necessari per il sostentamento delle popolazioni, o l’acqua per dissetarsi, ad esempio, mette a rischio la sopravvivenza stessa delle persone. 

Questi fenomeni interessano maggiormente, ora come ora, l’Africa, l’America centrale e meridionale, l’Artico e le Piccole Isole, ma anche in Italia gli effetti del clima cominciano a farsi sentire. E la conferma arriva dall’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari), l’ente che fa della sicurezza alimentare, territoriale e ambientale il suo obiettivo, contribuendo allo sviluppo economico sostenibile dell’Italia. 

Durante il webinar “SOS siccità. Impatti. Previsioni climatiche. Tecnologie di monitoring. Gestione emergenze” del 23 febbraio scorso, l’ANBI ha evidenziato che l’estate 2021 è stata la più calda degli ultimi 30 anni e che il 21% del territorio nazionale è desertificato, cioè non più coltivabile. Non solo. La siccità ha fatto perdere all’agricoltura mediamente un miliardo di euro. Il che ha ridotto la produzione di frutta, ortaggi, cereali, fieno per gli animali e per la produzione del latte.

Così come sostenuto dal presidente dell’IPCC, un modo per risolvere questi problemi è adattarsi. “Ma – sottolinea Hoesung Lee – ci sono limiti a quanto noi e le altre specie possiamo adattarci. Al di là di certe temperature l’adattamento non è più possibile per alcune specie”. 

Giusto per rientrare in casa nostra, anche Luca Mercalli – presidente dell’associazione Società Meteorologica Italiana – si dice seriamente preoccupato per il clima. Tanto che nel suo sito lucamercalli.it scrive che “in pianura fa sempre più caldo, la zanzara tigre arrivata dal Vietnam rende le estati invivibili, adattarsi vuol dire prepararsi a scenari climatici futuri sempre più estremi”.

Generalmente, dopo aver ascoltato notizie di questo tipo i sentimenti che percepiamo sono quelli di paura e di impotenza. Ciò, di conseguenza, porta a far finta che il problema non esista, essendo privo di soluzione. Eppure in realtà non solo le strategie per affrontare i problemi ambientali ci sono, ma ci rendono addirittura felici perché migliorano la nostra qualità della vita. 

È di questo che è convinto Stefano Bartolini, docente di Economia della Felicità ed Economia Politica all’Università di Siena. Tanto da intitolare un suo saggio Ecologia della Felicità. Prima di capire di cosa si tratta, cerchiamo di definire cosa è l’ecologia. In breve, secondo quanto riportato dalla Treccani, è una branca della biologia che analizza le relazioni che ci sono tra gli organismi – come l’essere umano – e l’ambiente in cui si trovano. 

Secondo Bartolini, per capire quali soluzioni mettere in atto per migliorare il clima, raggiungere la sostenibilità e per scoprire se rispettare l’ambiente ci renda veramente felici, bisogna analizzare non solo l’ecologia di per sé, ma anche riformare il sistema economico, politico, relazionale e sociale. Perché, altrimenti, si continuerà a perseguire la strada della crescita economica. Che, come vedremo, non è conveniente. Per inquadrare al meglio il contesto delle sue analisi, distingue fra Grande Accelerazione e Grande Decelerazione, che rappresentano rispettivamente una cattiva e una buona notizia per la Terra e per il nostro benessere. 

La Grande Accelerazione è il periodo che è iniziato con la Rivoluzione Industriale e che, inizialmente, ha migliorato la qualità della vita. Ma il problema è che ciò è avvenuto a spese dell’ambiente, sfruttando a dismisura le risorse naturali e producendo sempre più rifiuti. In breve, si è affermata la “crescita difensiva”, cioè una crescita economica per difenderci dalla paura, dalla progressiva perdita di qualità delle nostre relazioni e dell’ambiente. Questa crescita entra in un circolo vizioso, perché causa distruzioni sia sociali sia ambientali le quali, a loro volta, producono crescita. 

In tutto questo, però, c’è una buona notizia, secondo l’autore stiamo per entrare nella Grande Decelerazione. A dispetto di quanto possa suggerire il nome, infatti, in questa nuova “era” che sta per arrivare, la nostra pressione sull’ambiente diminuirà. Il che ci permetterà di vivere in maniera sostenibile senza, per questo, mettere in discussione la qualità della vita. Le parole chiave per aprire le porte a questa nuova era sono democrazia e società, perché società più felici sono più sostenibili di per sé. 

Partiamo dalla prima.

Per migliorare l’ambiente bisogna riformare la democrazia perché è in crisi. Più precisamente, a essere in crisi non è la sovranità popolare tout court, ma il modo con cui l’abbiamo organizzata fino ad ora. Per farlo, bisogna agire su vari punti. A partire dai partiti politici. 

Per Bartolini, infatti, per prima cosa bisogna mettere un tetto – per legge – sul denaro che loro possono spendere. Il fine è quello di far venire meno la ricerca di finanziamenti. Perché i partiti ricevendo denaro da grandi imprese, potrebbero fare i loro interessi anziché quelli del proprio Paese. Bisognerebbe, pertanto, ricorrere al finanziamento pubblico perché permette di limitare la loro dipendenza economica dai finanziamenti esterni. Più precisamente, bisognerebbe legare il finanziamento pubblico con i limiti di spesa dei partiti perché, “i soldi non dovrebbero essere né un problema né un [loro, n.d.r.] obiettivo”. 

Un’altra soluzione per migliorare la democrazia è impedire a chi ha lasciato la politica per collaborare con le multinazionali, di farvi ritorno, perché le loro scelte potrebbero essere di parte e non a favore della collettività. Inoltre bisognerebbe rendere trasparenti i bilanci dei partiti politici, specificando i loro finanziatori. Ci sono buone notizie in tal senso, che fanno ben sperare in un miglioramento della democrazia. E provengono dagli USA. Qui, infatti, sta ricevendo sempre più consensi il movimento per riformare il finanziamento dei partiti. 

Questi cambiamenti sono urgenti da realizzare per evitare di adottare l’autocrazia (cioè il potere assoluto) come alternativa ad una democrazia che non funziona così bene come vorremmo. Con tutte le conseguenze del caso, è da aggiungere: è noto a tutti il disastro che l’autocrazia russa sta realizzando in Ucraina.  Se l’autocrazia rimpiazza una  democrazia in crisi,  questo accade perché la democrazia viene presentata come immodificabile e l’autocrazia come l’unica declinazione possibile. Invece, la sovranità popolare può essere migliorata affinché ritorni a funzionare.

Oltre a riformare la democrazia, per il docente della felicità bisogna pensare l’aspetto sociale e, quindi, le città in maniera diversa, puntando sulla sostenibilità. Ma città sostenibili sono anche felici? Sì, secondo Bartolini. Perché se le generazioni attuali sono più felici, l’economia diventa più sostenibile. Il tutto a vantaggio delle generazioni attuali e di quelle future. 

Ma com’è fatta la città sostenibile?

Secondo Stefano Mancuso, botanico e docente di arboricoltura generale ed etologia vegetale all’Università di Firenze, dovrebbe essere ricoperta di piante. Per un motivo semplice: assorbono CO2. Ancora non esistono città progettate in questo modo. Però qualcuno ci sta già provando a realizzarne una molto simile.

È Copenaghen, la Capitale della Danimarca con un obiettivo molto ambizioso: diventare una città a zero emissioni entro il 2025. Il suo intento è realizzare i cosiddetti “giardini da tasca”. Si tratta di circa 5.000 metri quadrati di verde, realizzati nelle aree in disuso della città. In poche parole, si vuole rendere verde ogni spazio disponibile. Qui l’uso dell’auto è praticamente ridotto all’osso, perché lo si disincentiva in vari modi: i parcheggi sono costosi e sono state realizzate  infrastrutture dedicate solo alle biciclette. Per non parlare, poi, del trasporto pubblico che, proprio in virtù delle poche auto in circolazione, diventa  molto efficiente. A essere incentivato, qui, è lo spostamento a impatto zero per eccellenza: quello a piedi. Per far questo, in ogni quartiere c’è tutto il necessario. Dagli uffici postali alle scuole, tutto è a portata di piede. 

Questi sono i tratti di una città sostenibileMa quali sono quelli di una città felice? 

Secondo Bartolini, tutto dipende dalle relazioni. A partire dall’assunto secondo cui una città felice le incentiva e non le ostacola. Sono felici le città di oggi? Ce n’è di strada da fare per renderle tali. E questo a causa delle auto. Che, se da una parte danneggiano l’ambiente e il nostro organismo con lo smog, dall’altra mettono a rischio l’incolumità dei pedoni e tolgono spazio alla socialità. È difficile scambiare qualche parola dal chiuso della propria auto con chi si trova fuori in mezzo al traffico. 

E così sono i centri commerciali, e non le città in sé, ad essere diventati i luoghi della socialità e delle relazioni. Che però, perché c’è un però, non sono autentiche perché sono rivolte ad incentivare gli acquisti. Creando, così, una discrepanza tra chi può acquistare e chi non se lo può permettere e provocando, perciò, infelicità. 

In questo contesto a soffrire di più della mancanza di relazioni sono soprattutto i ragazzi e gli anziani. E così, scrive Bartolini, la città è arrivata al suo paradosso, in quanto ha dato spazio alla solitudine quando era nata per creare relazioni. 

A trarre vantaggio dalle città così degradate è l’industria del divertimento. Perché, se in città si vive male, la soluzione è la fuga verso la natura incontaminata o verso la droga. È il meccanismo della crescita difensiva: arricchirsi sempre di più (“crescere” economicamente) per difendersi dal malessere delle città e per avere più alternative al basso tenore di vita. E migliorare, così, la qualità della vita stessa. Il problema è che continuando così peggioriamo la qualità dell’ambiente da cui vogliamo scappare, tanto che “il decadimento comune – scrive Bartolini– ci trasforma in lavoratori diligenti e consumatori solerti”.

Se sono le relazioni e le auto le grane delle città, è proprio qui che si nascondono le loro soluzioni. Infatti, affinché le città siano più felici bisogna dedicare più aree ai pedoni e rendere ad “uso misto” i quartieri più popolati, realizzando tutto ciò che serve affinché sia a portata di mano, dalle biblioteche ai negozi. Rendere le città più a misura di pedone facilita le cosiddette “interazioni casuali”, cioè gli incontri, le conversazioni e lo scambio di favori. Tutto ciò genera fiducia reciproca. Questo discorso è collegato strettamente con la felicità, perché i quartieri più felici sono quelli in cui tra vicini c’è fiducia reciproca. Addirittura, questi quartieri diventano degli “occhi di strada“, che riducono la micro-criminalità. 

Ma non basta. Per migliorare le relazioni sociali è necessario che le città siano anche esteticamente belle. Come dire: anche l’occhio vuole la sua parte. Per far ciò, è indispensabile puntare sul verde. Più alberi ci sono in un’area, più tempo vi trascorreremo e più facilmente tenderemo a creare con gli altri le relazioni che ci fanno stare bene. Secondo uno studio incentrato sulle aree più povere di Chicago, chi vive in un ambiente con più verde commette meno reati, è meno violento e si relaziona con i propri vicini di casa. 

Altre ricerche evidenziano la stretta relazione fra il verde e la felicità. Come quella condotta a Filadelfia, negli USA. Qui sono state intervistate le persone che vivevano vicino ad aree verdi deturpate prima e dopo la loro riqualificazione, privandole dei rifiuti e piantandoci alberi. Ebbene, queste persone hanno provato meno ansia e minore senso di inadeguatezza. 

Secondo altri studi, il verde riduce la rabbia, la fatica, l’ansia, la tristezza e lo stress. In breve, il verde rende felici. Non solo. Infatti, è così importante per la nostra salute e il nostro benessere da meritarsi l’appellativo di vitamina V. Tanto da indurre alcuni medici a prescriverla come terapia. 

Le città verdi, ricche di aree pedonali, di relazioni, ma povere di auto, fanno venire meno il meccanismo perverso della crescita difensiva che ci porta verso l’infelicità. L’aspetto positivo di tutto ciò è che per rendere la città sostenibile non dobbiamo dedicarci a una vita ascetica e di privazioni. Non dobbiamo rinunciare, dunque, a nulla semplicemente perché non serve né è necessario farlo.

Serve un cambio di approccio che basi il rispetto dell’ambiente sulla felicità e non sulle privazioni. Bisogna rendere le azioni collettive più efficaci e più umane le relazioni sociali. 

Quali soluzioni, dunque, per rendere l’ecologia della felicità una realtà?

Secondo Bartolini, serve cambiare la visione dei movimenti ambientalisti, tutt’ora incentrata su questo paradigma: per essere sostenibili bisogna fare delle rinunce in questo momento, affinché le prossime generazioni possano vivere meglio. Come, ad esempio, abbandonare la crescita economica. Che, però, è l’elemento centrale della nostra società. 

I movimenti ambientalisti saranno più credibili solo quando supereranno questa visione limitante della sostenibilità. Infatti, la maggior parte degli economisti ambientali ritiene che anche la più piccola comodità odierna venga ottenuta a scapito del benessere delle future generazioni. Scrive Bartolini, “in una economia sostenibile la qualità della vita è migliore e non peggiore (…). Il messaggio diverrebbe che per la sostenibilità dobbiamo avere di più e non di meno. Ma di quello che ci serve veramente: più tempo, migliore qualità sociale e ambientale. Di pianeti ce ne basta uno, basta trattarlo bene. Il che significa trattare bene noi stessi”. 

C’è ancora un’altra considerazione da fare sui movimenti ambientalisti. Questi sono nati dalla consapevolezza che tanto l’economia quanto la popolazione stavano superando i limiti del pianeta. Per questo, le persone e l’economia sono state accusate dei danni che vi hanno provocato. Secondo questa visione, è nella natura umana la crescita illimitata e su questo non si può fare molto, se non limitarla in qualche modo. 

Col tempo, però, la visione degli ambientalisti si è evoluta sostenendo che la causa dei cambiamenti climatici è da ricercare nel sistema economico, politico e istituzionale. Ed è qui che si cela la bella notizia: perché, mentre la natura umana non la si può cambiare, il sistema invece sì. 

In sostanza, affinché ci sia un cambiamento verso la sostenibilità a cambiare devono essere i movimenti ambientalisti stessi. Perché è lo scarso interesse verso altri elementi oltre alla natura (come il benessere e la socialità) a rendere poco efficaci il loro pensiero. 

In altri termini, se il movimento ambientalista non decolla è perché, oltre a criticare la crescita economica smisurata a discapito del pianeta, non propone nessun progetto alternativo alla rinuncia alla crescita stessa. Ed è questo il punto nodale: se la crescita è associata al benessere, rinunciare ad essa significa privarsene. Al contrario, collegare il benessere all’ecologismo serve per realizzare le soluzioni sostenibili che mirano alla felicità.

Qualcosa, in tal senso si sta muovendo. In Italia, infatti, oltre al Pil (indice che misura la crescita economica e i consumi di un Paese) è stato introdotto il BES, o Benessere Equo e Sostenibile. Si tratta di un nuovo indice che misura il benessere ricorrendo ad altre variabili oltre al Pil. 

In conclusione, secondo Bartolini bisogna abbandonare del tutto la narrazione secondo cui dobbiamo fare rinunce in nome delle future generazioni“. E, per fare questo, l’ecologismo deve prendere in considerazione anche gli studi sulla felicità. In questo modo offrirebbe un’alternativa valida e positiva al Pil e al mito della crescita. Che non è un mondo ricco di privazioni. Ma, al contrario, è un mondo basato sul progresso collettivo. E sulla sostenibilità che fa rima con felicità.

 

Dario Portaccio – Pubblicista

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