Politica

Elezioni, la variante Ferragnez. Se la coppia scende in campo…

È chiaro che, secondo l’intento di chi ha creato lo sconquasso, un voto sul ciglio dell’estate o giù di lì, è faccenda che può riguardare solo le forze politiche che già ci sono, troncando in radice ogni velleità dei nuovi partiti, dei pezzetti che si vorrebbero mettere insieme ma ancora non hanno capito come, insomma di tutti quelli che avrebbero difficoltà ad intercettare un elettorato distratto e disaffezionato. Quindi i vecchi brand, spazzando l’eventuale concorrenza sul mercato elettorale, pensano di lucrare così il “di più” che il popolo non gli concederebbe mai se andasse a votare in massa. Perché per imporre un nuovo marchio politico occorre tempo e mezzi immani: persino Berlusconi che aveva tv, giornali, mille penetrazioni aziendali sul territorio, e sicuramente non difettava in danari, ebbe bisogno di qualche mese. Chi potrebbe oggi pensare di fare un blitz in una campagna elettorale che partirebbe tra una manciata di giorni pensando di portare a casa un risultato? Solo chi avesse già consolidato una reputazione su un segmento importante del popolo, coltivandone quotidianamente un rapporto capace di proporsi come un’alternativa, magari guardando ad un elettorato giovane e giovanissimo, che in genere si tiene lontano dalla politica. Allora siamo in grado di anticipare una clamorosa discesa in campo: quella di Chiara Ferragni e di Fedez, il marito rapper. 27 milioni di follower sul social di maggiore tendenza, l’aura quasi sacrale di una icona di stile, ma anche di modello di vita familiare preso a riferimento da adolescenti e da ragazzi in età di voto. La prima influencer italiana ha già esondato in area “istituzionale” chiamata dallo Stato per testimoniare la grande bellezza degli Uffizi e poi ha ricevuto la consacrazione definitiva con l’invito della senatrice Segre, testimone ineccepibile di una dolorosa storia personale che racconta degli effetti devastanti dell’intolleranza e della

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Politica

XVIII Legislatura, la sindrome di Edmond Dantès. Capire la politica forse con la psicanalisi. Quali scenari nei “prossimi travagliati mesi”

Come si fa a capire la politica se la politica non c’è più? Forse può soccorrere la psicanalisi. In fondo, a rifletterci bene, questa chiave ci sta tutta: non sono più alle viste le grandi ideologie a guidare l’azione dei leader, scarseggiano gli statisti che possono invidiarci anche all’estero e la politica politicante, quella che si occupa della giornata, non si sente neanche troppo bene. Dunque per capire chi, cosa e perché chiediamo aiuto alle scienze della psiche. Alla sindrome di Hubris, per esempio, che devasta chi arriva a raggiungere le vette della politica senza i necessari anticorpi, per cui l’impasto di arroganza, presunzione e cura maniacale dell’immagine producono quell’effetto di straniamento che trascina il “paziente” nell’irrealtà di un mondo solo suo. O la sindrome di Edmond Dantès, il protagonista del romanzo di Alexandre Dumas, il conte di Montecristo, che, dopo aver subito qualsiasi cattiveria inclusa la carcerazione a vita nel tetro maniero di If, evade, trova un tesoro, si fa una posizione e torna per vendicarsi di tutte le malefatte subite. Questa sindrome del “ritornante” per vendetta – nel caso di specie per la sottrazione della dignità di presidente del Consiglio – è la cifra di questa diciottesima legislatura, che per i suoi colpi di scena nulla ha da invidiare ai romanzi d’appendice fin de siècle. Quanto Edmond Dantès c’è, dunque, nel prof. Giuseppe Conte (di Volturara Appula, però, non di Montecristo), è sicuramente raccontato dall’idiosincrasia tenace che ha sempre ispirato il suo approccio con Mario Draghi, insediato – a suo parere in modo usurpatorio – a Palazzo Chigi sull’onda dell’intrigo internazionale progettato dalla Spectre e portato a termine per mano di quel pezzo di Jago che risponde al nome di Renzi, e osannato dal mondo intero come salvatore della povera Patria(con vampe d’invidia dell’ex). Ma, forse, un pezzettino di

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Politica

I partiti? Partiti per sempre?

Nessuna delle caratteristiche fondanti della forma-partito è visibile. Nel catalogo delle urgenze per rimettere in funzione il polmone democratico della forma-partito, forse al primo posto andrebbe messa la scelta dal basso della rappresentanza. Oggi rubata dai compilatori delle liste.

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Legislature orfanelle

Che cosa ci aspetta negli ultimi mesi di questo Parlamento? “Uno stillicidio di guerriglie e trincee”. Nel nuovo Parlamento “amputato” il turnover sarà micidiale, e quasi totale, che salverà però i “compilatori delle liste bloccate e i loro cari”, se rimarrà in piedi questa legge elettorale.

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Pisicchio: un’assemblea costituente per riorganizzare lo Stato

Da eleggere nel 2023 insieme con il nuovo Parlamento. Durata di un anno, un anno e mezzo, eletta con il proporzionale. Chi ne fa parte non deve avere altri mandati elettivi. Basta  dunque con le riforme a “spizzichi e molliche”. “Necessario avviare un importante percorso di riforma costituzionale e una riflessione radicale sull’ordinamento (bicameralismo o monocameralismo, decentramento o federalismo, presidenzialismo o parlamentarismo, assetto dell’ordine giudiziario, diritto all’informazione).     Il quattordicesimo allestimento del seggio per l’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica, dunque, si è guadagnato un rimarchevole primato storico facendosi ricordare come l’ultima volta in cui si sono schierati 945 parlamentari tra i grandi elettori.  Dalla prossima legislatura, infatti, per volere di quei 945 impavidi e con l’imprimatur del popolo sovrano, il 36,5% dei deputati e dei senatori sarà cancellato. A parte il giovamento logistico per i parlamentari dovuto all’allargamento degli spazi nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama (utile in occasione di distanziamenti comunque motivati…), il trapasso da un Parlamento all’altro non sarà né facile né di immediata applicazione. Occorrerà mettere mano a vari interventi di riforma costituzionale, legislativa e di regolamentazione parlamentare di cui ancora non si intravede convincente traccia. È l’effetto di una modalità d’intervento sul corpo della Costituzione, poggiata totalmente su ciò che si presume possa essere il “sentiment” del popolo (“cancelliamone un bel po’ così risparmiamo”…), piuttosto che un’impostazione coerente con la stessa architettura costituzionale. È il riformismo “spizzichi e molliche”, che non guarda al contesto ma solo al lucro elettorale (immediato e presunto). Forse è arrivato il momento di cambiare registro e di riflettere sulla “visione” piuttosto che sull’”emozione”. D’altro canto non è solo da oggi che si avverte la necessità di un aggiornamento della Costituzione nella parte relativa all’organizzazione dello Stato. Ci provò Berlusconi con una riforma organica che risentiva anche di suggestioni presidenzialistiche,

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Un tema nuovo di zecca: rifondare i partiti. Si attui l’articolo 49 della Costituzione

Dopo la settimana quirinalizia, lanciata dai media come una specie di lungo contenitore tipo “aspettando Sanremo”, su una cosa pare che tutti gli osservatori si siano trovati convergenti: la politica ha consumato la sua frutta ed anche il suo dessert. E poi se n’è andata. Dove, non si sa, ma certamente non dove doveva andare.  Lasciamo stare senza commento il peana che si è ascoltato sulla “vittoria del Parlamento” che ha interpretato il “furor di popolo” che invocava il bis di Mattarella, quando apparirebbe più onesto riconoscere che quel furore sia stato un po’ figlio dell’appello alla paura e al “quieta non movere” per non trovarsi a fare una campagna elettorale anzitempo. Ma, anche sotto quel velo pietoso della nobiltà del gesto, urla un’assenza lancinante: i partiti. Ma, avendoli evocati, domandiamoci di cosa parliamo quando diciamo “partito”, oltre il participio passato del verbo partire, s’intende. LEGGI ANCHE: Semipresidenzialismo? Ce l’abbiamo già dal 1994. Una riflessione su Costituzione formale e Costituzione materiale Domanda facile, allora: che cos’è un partito politico?  Facciamo i furbi e ripetiamo il dettato della Costituzione deducendo dall’art.49: è un’associazione di cittadini che ha come scopo quello di concorrere a determinare la politica nazionale. Dunque tra le molte forme associative è l’unica a cui la nostra Costituzione concede un riconoscimento specifico, attribuendone anche un ruolo politico di livello nazionale. Come dovrà, poi, organizzarsi questa particolarissima associazione non è detto in modo esplicito, ma è desumibile dai principi generali del nostro ordinamento che fa riferimento dappertutto al metodo democratico. In verità ci provarono in sede di Costituente a metterlo per iscritto, tanto per essere più sicuri, ma non funzionò: ai partiti dell’epoca non piacque l’idea che qualche giudice potesse ficcare il naso negli interna corporis della politica. Fin qui la Costituzione.  La prassi ci ha consegnato l’esperienza della seconda

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Legge elettorale, la maledizione di Tutankhamon | Ogni cinque anni ce n’è una nuova

È come in quei film della Hammer in bianconero degli anni Cinquanta, quegli horror così bonaccioni che potevano vedere anche i bambini, con mostri dei laghi, Frankenstein e mummie con arti protesi e bende penzolanti. Effetto, queste ultime, della maledizione di Tutankhamon che, dopo qualche millennio, destato il mostro mummificato, costringeva i posteri a fare e subire la qualunque, fino all’arrivo dell’eroe. Non so quale sarcofago abbiamo smosso negli anni novanta, quando in Italia cominciammo a manomettere la legge elettorale: di certo è che dal 1993 non abbiamo smesso più di fare leggi, algoritmi e formule elettorali. Coazione a ripetere soprannaturale. In 24 anni sono cambiate cinque leggi elettorali, passando dal proporzionale di partenza, al Mattarellum, poi al Porcellum, all’Italicum e infine al Rosatellum, nomi dalla desinenza maccheronica per le prime due a causa di quel genio sardonico di Sartori, che così canzonava il dilettantismo del legislatore, ma per le ultime due per desiderio del legislatore, pensando che quell’um finale fosse un segno di qualche nobilità. Alle leggi con le desinenze maccheroniche bisognerebbe aggiungere le due sentenze della Corte Costituzionale che puntualmente venivano bocciate producendo di fatto nuove leggi elettorali. Sono passati quasi 28 anni e sarebbe il tempo, per stare in media con il cronoprogramma dettato dal faraone trapassato, di una nuova legge. Perché, tra l’altro, l’eroe che ci deve liberare dalla maledizione non si vede ancora. Stavolta l’urgenza è posta dalla riduzione della platea parlamentare, che implica una rimodulazione del sistema di elezione del nuovo parlamento. Vero è nel 2020 il governo ha provveduto a far approvare dal parlamento una piccola legge di adattamento del Rosatellum vigente in base al principio “non si sa mai”, così, se si va al voto, almeno uno straccio di legge c’è. Ma sarebbe un ripiego, non una scelta, che tuttavia, con l’aria conflittuale

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