Legislature orfanelle

Che cosa ci aspetta negli ultimi mesi di questo Parlamento? "Uno stillicidio di guerriglie e trincee". Nel nuovo Parlamento "amputato" il turnover sarà micidiale, e quasi totale, che salverà però i "compilatori delle liste bloccate e i loro cari", se rimarrà in piedi questa legge elettorale.

La XVIII legislatura, in via di spegnimento, venne al mondo il 4 marzo del 2018 senza uno straccio di famiglia alle spalle, come quei bambini abbandonati, trovatelli miracolosamente sopravvissuti alla notte, al freddo, alla fame nella ruota della fortuna delle monache.

Poi, come accade nei feuileton che si rispettano, scampata a morte prematura, l’istinto di sopravvivenza moltiplicò le sue forze e riuscì perfino a trovare genitori putativi, Matteo e, all’epoca, Giuseppi, e seppe sfidare tutte le temperie, dal Papeete a Renzi, fino a raggiungere l’approdo dei giorni nostri.

Può, allora, questa creatura, temprata dagli insulti di una stagione che ha messo in fila tanti guai – dal Covid alla guerra alle porte di casa – da far piegare le ginocchia a Winston Churchill, temere oggi per qualche baruffetta lanciata lì, tanto per gradire, dai soliti Giuseppi e Matteo? Certo, ci sarà da attendersi, a mano a mano che la scadenza naturale si avvicinerà, uno stillicidio, questo sì, di guerriglie e trincee, soprattutto passata l’estate, quando partirà il rush finale.

Ma, si può scommettere quel che si vuole, nulla fermerà il cammino della macchina parlamentare fino alla sua naturale estinzione. Potremmo elencare molti e tutti nobili motivi, dall’evidente difficoltà internazionale, alla crisi recessiva, dagli adempimenti per il PNRR, dal Covid, alle cose da completare, ed altro ancora per testimoniare quanto attaccamento al lavoro e alle esigenze del popolo sovrano questo Parlamento dimostra di avere.

E che nessuno si provi a pensare a male, come fanno i sostenitori di motivazioni, diciamo così, meno alate, che sorreggerebbero il governo di Draghi. C’è persino qualche malpensante che sarebbe disposto a giurare che fino al voto della prossima primavera nessun parlamentare sarebbe disposto a far saltare tutto, provocando un anticipo delle elezioni e dicendo addio allo scranno nove-dieci mesi prima, con tutti gli annessi e connessi, diciamo così, numismatici. E con la quasi-certezza di dire ciao a questo meraviglioso sogno.

Sì, perché, a fare due conti, il prossimo turnover, dopo la riforma costituzionale che ha praticato il taglio di quasi il 40% dei parlamentari, sarà micidiale. Se la media “usuale” del cambiamento degli inquilini di Montecitorio è stata del 64/65% nelle ultime legislature, a questa si deve aggiungere il 36/37% dovuta ai seggi mancanti a causa della riforma: più del 100% dei parlamentari sarebbe destinato a lasciare lo scranno.

Sicuramente non sarà così, specialmente se resterà in piedi questa stessa legge elettorale, che salverà i compilatori delle liste bloccate e i loro cari. Diciamo, allora, che, tra Camera e Senato forse un 10%, equivalente ad una sessantina di servitori del popolo, tornerà a riveder la luce. Per gli altri turnover selvaggio, il che, a parte i giudizi di valore o disvalore per i singoli, non è un affare per l’organo costituzionale che rappresenta il popolo sovrano e racconta molto della subalternità del Parlamento all’Esecutivo in questa lunga stagione cominciata una trentina d’anni fa ( nel mentre si fa il rodaggio per imparare, il governo, che deve andare avanti, avanti va).

Nella vana attesa del necessario e dell’indispensabile, tipo l’eterna riforma della legge elettorale, dei Regolamenti parlamentari, eccetera eccetera, assistiamo a rumorosi riposizionamenti sullo scacchiere. E allora vediamo rifulgere antichi amori nel segno di nuove bandiere pacifiste che garriscono col vento della grande Russia- leggi Conte e Salvini-, vediamo tenersi coi denti ipotesi coalizionali che già in partenza denunciano i verbi difettivi – vedi PD con Cinque Stelle ridotti a meno di un terzo-, ascoltiamo l’invocazione dell’ineluttabile vittoria della destra che mette un velo pietoso sul conflitto intestino, aspettiamo un Godot centrista che più lo evochi e più scompare, come un fantasma scespiriano nel labirinto del paradosso di un’insuperabile autoreferenza dei capetti.

Il punto, però, è che, se si tornerà al voto con questo quadro, la nuova legislatura rischierà di somigliare a questa. Una creatura senza mamma né papà.

 

Pino Pisicchio – Professore ordinario di Diritto comparato e deputato di varie legislature

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