Politica

DOCUMENTI / Premierato, testi interventi sen. Segre, sen. Cattaneo, ex presidente Pera

Pubblichiamo, sulla riforma del premierato, di cui si sta dibattendo nell’Aula del Senato, tre interventi che hanno suscitato particolare interesse e anche qualche polemica. Si tratta delle senatrici a vita Liliana Segre, della senatrice a vita Elena Cattaneo e del senatore Marcello Pera, filosofo della scienza e già presidente del Senato. Dato il livello dei tre personaggi, pubblichiamo i testi integrali dei loro interventi, così il lettore potrà farsi una opinione ragionando sulle carte, com’è peraltro costume di questo giornale. Sul tema del premierato e in particolare sugli interventi delle senatrici Segre e Cattaneo abbiamo pubblicato negli ultimi giorni due interventi di commento di due ex parlamentari, il professor Paolo Armaroli, Professore di Diritto pubblico comparato e docente di Diritto parlamentare, e di Pietro Di Muccio de Quattro, Direttore emerito del Senato e saggista. Altri testi, a beneficio del lettore, saranno pubblicati prossimamente. ******* Intervento senatrice a vita Liliana Segre PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Segre. Ne ha facoltà. Prima di lasciarle la parola, voglio chiedere alla senatrice Segre di accettare la solidarietà, da parte della Presidenza e di tutto il Senato, per le volgari e anche pericolose minacce ricevute. (Applausi). SEGRE (Misto). Signor Presidente, intanto la ringrazio per il fatto che mi lasci parlare seduta. Signor Presidente, colleghe e colleghi, continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese e le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare. Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente e innanzitutto per rispettarla. Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo (di ogni colore) non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in

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Dalla redazione

40 anni dal governo Craxi / interviste 13/ Ugo Intini | | Parla lo storico braccio destro del leader socialista

Milanese, giornalista, direttore dell’Avanti, politico, parlamentare, vice ministro degli Esteri,  scrittore, tenace polemista, Ugo Intini, o “Ugo Palmiro”, come i comunisti lo chiamavano per la sua intransigente battaglia contro il Pci, o per il suo “anticomunismo viscerale”, con i suoi quasi quotidiani articoli e soprattutto corsivi sull’Avanti, di cui era direttore, quando non era lo stesso Craxi a scriverli con il famoso pseudonimo Ghino Di Tacco, è stato a fianco del leader socialista soprattutto negli anni Settanta e Ottanta.  Perciò, dal punto di vista politico, documentario e storico, la sua testimonianza e le sue analisi ricche di dati e riferimenti, hanno un particolare interesse e valore, non solo per la narrazione  di importanti fatti politici ma anche per alcuni retroscena ( per esempio, a proposito degli accordi di Oslo tra israeliani e palestinesi, o dell’installazione degli euromissili, o episodi delle Brigate rosse)  e vari aneddoti. ( le sottolineature in neretto, nel testo, sono nostre)          ****** Il 2023 sono trascorsi 40 anni dal governo Craxi.  Onorevole Intini, che cosa resta di quell’esperienza di governo durato quattro anni? Resta l’esempio di quando ancora oggi si potrebbe fare. Ma che si è sempre più lontani dal fare. In politica estera, un’Italia impegnata perché in Europa ci sia non soltanto una moneta unica, ma anche una politica economica, estera e della difesa comune. Una Europa e un’Italia alleate agli Stati Uniti ma autonome. Capaci cioè di dialogare a Est (un tempo con l’Unione Sovietica e oggi con la Cina). Capaci soprattutto (compito dell’Italia e dei Paesi mediterranei) di connettersi alla sponda nord africana in una prospettiva di pace per il Medio Oriente e di cooperazione economica. In politica interna, c’è bisogno di una Italia pragmatica, non dominata né dall’ideologia liberista né da quella statalista. Negli anni ‘80, dovevamo contrastare lo

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Politica

40 anni dal governo Craxi/interviste 12/ Di Muccio. Un liberale rigoroso dice la sua spassionatamente e con metafore spiazzanti

Di Muccio, ex parlamentare, di scuola e di studi liberali, fa una “doverosa premessa” prima di rispondere alle domande: presentati nel Pli una mozione per non partecipare al governo Craxi e non entrare neanche nella maggioranza. “Non c’era da conquistare Parigi e quindi non era il caso di andare a messa”                                                                         ***** Il Consiglio nazionale del PLI del 1983, ad inizio legislatura, fu chiamato a decidere se partecipare o no alla svolta politica del primo governo presieduto da un socialista, il segretario stesso del PSI. Vi furono presentate tre mozioni. La prima di “Democrazia liberale”, firmata Malagodi e Bozzi, che approvava l’azione della segreteria per entrare nella maggioranza e nel governo, ebbe 86 voti. La seconda di “Autonomia liberale”, firmata Sterpa e Rossi, che, senza opporsi a tale partecipazione, poneva delle condizioni, ebbe 14 voti. La terza, scritta e firmata da me, ebbe solo il mio voto. Nella mozione e nell’illustrazione argomentavo le ragioni storiche e politiche, per le quali il PLI non dovesse entrare né nella maggioranza né nel governo Craxi.              Chi avesse la curiosità di riandare a quell’importante dibattito, potrebbe soddisfarla leggendone il resoconto su “L’Opinione”, 6 settembre 1983. Allegai a mio sostegno e conforto anche il celeberrimo discorso che Benedetto Croce tenne in Senato il 24 maggio del 1929 sui Patti Lateranensi. Notai anch’io che coloro i quali si compiacevano di vedere nel governo socialista in gestazione un bell’atto di “fine arte politica” mettevano in pratica il “trito detto che Parigi val bene una messa”. Mi sento di dire che con il governo Craxi il PLI non andò a Parigi né valeva la pena ascoltare la messa per andarci. Tra l’altro aggiunsi che, con il PLI nella maggioranza, mentre il coefficiente liberale del governo sarebbe stato impalpabile quanto incerto, l’opposizione

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Cultura

Come D’Artagnan, Pietro Di Muccio è andato alla conquista della Capitale

Novello D’Artagnan, un giovanissimo Pietro Di Muccio de Quattro, un uomo con due cognomi che si è fatto pure un nome, lasciò il paesello natìo e andò alla conquista della Capitale. Giulio Andreotti sosteneva che l’importante per una lunga vita è avere buoni ascendenti. La stessa cosa si potrebbe dire di Pietrino, come lo chiamo da tempo immemorabile. Lui non solo ha ottimi ascendenti, tant’è che il padre Guido è stato stimato sindaco del borgo natìo per un bel po’. Ma è nato in un luogo dove Vittorio Emanuele II incontrò un Giuseppe Garibaldi vittorioso sul Borbone. E fu fatta l’Italia. Tutto questo e molto altro ancora ce lo racconta il sullodato Pietrino in un libro – rara avis – ben scritto, godibilissimo e non privo d’ironia. S’intitola Deputato per caso. Ricordi personali e memorie politiche, Macerata, Edizioni Simple, pagine 212, € 15. Il paragone con D’Artagnan non è affatto esagerato. E perché non s’insuperbisca il chiaro Autore, non lo salutiamo come il nuovo Cesare con il suo Veni, vidi, vici. Sta di fatto che le cose stanno precisamente così. Perché il sullodato Autore potrebbe cingersi il capo di alloro per i molteplici successi che gli riserverà Roma. Così si reca nello Studium Urbis di mussoliniana memoria e si laurea in Giurisprudenza con 110 e lode dopo aver superato tutti gli esami a pieni voti. Anche nelle materie più ostiche e con docenti autorevolissimi che erano lo spauracchio degli esaminandi. Già che c’è, di lì a poco si laurea brillantemente anche in Scienze politiche e, per di più, non fatica a impreziosire il proprio curriculum con un dottorato di ricerca. Ma tutto questo, come ben sanno i più avveduti, non è un traguardo ma un punto di partenza. Dopo uno studio non proprio matto e disperatissimo, perché Di Muccio supera

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