Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz, in polacco Oswiecim, e scoprirono quello che è diventato l’emblema dell’orrore del XX secolo. Che fece dire al filosofo Theodor W. Adorno che non si sarebbe potuta fare più poesia dopo Auschwitz.
Per fortuna la vita continua, la storia anche, e il sole continua a splendere sulla vita umana e anche sulle sciagure, purtroppo. Però non dimenticando quello che è accaduto.
Si spera sempre, anche se con crescente scetticismo, che la storia possa davvero essere magistra vitae. E non, come avvertiva Montale, “magistra di niente che ci riguardi”. O come in un suo libriccino di aforismi Minutatim il nostro Pietro Di Muccio de Quattro scrive alla voce Storia: “L’insegnamento essenziale della Storia è che non insegna nulla”. E anche: “Consegnare il passato alla Storia è l’unico modo in cui popoli non dimenticano mai”.
Anche perché, come ammoniva George Santayana, i popoli che dimenticano la propria storia sono condannati a riviverla. Comunque, non solo memoria, ma ricordanza attiva, che spinga ad agire e non a contemplare un album di ricordi di avvenimenti ormai conclusi.
Perciò riproponiamo le parole che Primo Levi, un illustre sopravvissuto ad Auschwitz ma rimasto devastato nell’anima fino ad approdare al suicidio, dopo averci regalato opere significative, ha posto in esergo al libro Se questo è un uomo.
Dovrebbe essere letto più spesso nelle scuole, come credo già lo sia, ma non solo ritualmente durante ricorrenze come questa. Dovrebbe essere un vaccino ripetuto contro il virus del razzismo, un vangelo laico per meditare su quello che l’essere umano è capace di fare, santo o demonio, genio del bene ma anche del male, nell’arco delle sue potenzialità che lo rendono, come dicevano gli Umanisti, un anello di congiunzione tra l’animale e il divino.. Capace dunque di regalarci opere somme come, per esempio, la musica di Beethoven e la Divina Commedia ma anche orrori, massacri, lager, stragi, guerre più o meno fratricide. O anche, nella vita ordinaria, comportamenti discriminatori, razzisti a danno delle minoranze e degli ultimi.
E così la banalità del male, illustrata da Hannah Arendt che seguì il processo allo sterminatore seriale di ebrei Adolf Eichmann si intreccia con la massima di Terenzio: Nihil humani a me alienum puto. Non c’è niente di umano in quegli orrori, ma sono stati compiuti da esseri umani, che (abusivamente) si ritenevano tali.
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Riportiamo dunque le parole di Primo Levi.
Per gli immemori, per gli scettici, per gli indifferenti, per i negazionisti (ce ne sono, purtroppo, per quanto possa sembrare assurdo)
Nella loro asciuttezza epigrafica le parole di Primo Levi sono un appello, un virile lamento, una esortazione al ricordo e perfino un anatema per chi si ostini a negare l’orrore e la vergogna della Shoah e chi s’illude che il virus dell’orrore possa essere considerato completamente e definitivamente debellato. Persistenti rigurgiti di antisemitismo, di razzismo, di discriminazione in tante contrade del mondo ci dicono che non è così.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi)
Mario Nanni – Direttore editoriale
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Contro le leggi razziali
Benedetto Croce e la lettera di Antonio de Ferrariis Galateo sugli Ebrei
Nel 1938 Benedetto Croce pubblica un’epistola di Antonio de Ferrariis detto il Galateo (1444-1517) sul tema della tolleranza e delle incomprensibili chiusure che allora si verificavano verso gli ebrei. Il filosofo, intransigente difensore della libertà, compie questa operazione perché contrario al clima dell’epoca che poi sfociò nelle leggi razziali volute da Mussolini nel 1938 e per questa iniziativa fu aspramente criticato dalla stampa fascista.
La lettera dell’umanista salentino fu scritta in occasione del matrimonio del figlio del conte Belisario Acquaviva con una donna discendente da una famiglia di ebrei convertiti. Il fatto aveva suscitato scalpore negli ambienti della corte napoletana. Galateo nel suo scritto sradica con efficacia ogni pregiudizio antisemita e con particolare perizia e profondo acume Croce riporta nell’attualità il pensiero del grande umanista leccese, in una fase storica che di lì a poco avrebbe condotto all’inverno della guerra e delle persecuzioni in Europa.
Questa la struttura del volume, pubblicato dalla casa editrice KURUMUNY:
- “Contro le leggi razziali: Galateo tassello antifascista di Benedetto Croce” di Mirko Grasso
- “Il medico Galateo saluta Belisario Acquaviva” di Antonio de Ferrariis Galateo (traduzione)
- “Un’epistola del Galateo in difesa degli ebrei” di Benedetto Croce
- “Belisario Aquavivo Galateus Medicus S.D.” testo originale di Antonio de Ferrariis Galateo
- Postfazione: “Galateo e Croce. Audacia e contraddizioni” di Franco Danieli
Il libro sarà presentato oggi nella sala stampa della Camera dei deputati.
Interverranno:
Mirko Grasso – autore, storico
Giampaolo d’Andrea – storico, Presidente ANIMI
Nicola Carè – deputato
Irene Manzi – deputata, storica delle Costituzioni
Franco Danieli – analista geopolitico
Fabio Porta – deputato, sociologo
Modera:
Gianni Lattanzio – associazione DIALOGHI
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Mario Nanni – Direttore editoriale