Bufera Juventus, torna al centro la questione: quali valori nel calcio?

I 15 punti di penalizzazione inflitti alla Juventus, arrivati come un fulmine a ciel sereno, hanno aperto una nuova, ma non esaltante, pagina per il calcio italiano. Non si tratta solo dell’aspetto sportivo, ma anche del costume, dell’immagine, oggettivamente danneggiati, e dell’impatto sociale di fatti come questi.

L’opinione pubblica, in questi giorni, non fa altro che chiedersi come sia possibile che la giustizia sportiva sanzioni solo una società per operazioni di mercato – le cosiddette plusvalenze – che consistono in accordi fra più parti. Eppure, se la Corte federale d’appello della Figc ha risposto raddoppiando la richiesta dei punti di penalizzazione formulata dal Pm Giuseppe Chinè, prosciogliendo tutti gli altri club, qualche motivo ci deve pur essere.

Dopo l’iniziale proscioglimento dello scorso aprile, dovuto all’assenza di parametri per stabilire il valore dei calciatori, il 22 dicembre la procura Figc ha richiesto la revoca di tale sentenza in quanto sono state riscontrate nuove plusvalenze precedentemente non considerate. Alla base, sostanzialmente, ci sono documenti e intercettazioni dei massimi dirigenti bianconeri.

Prima le dichiarazioni sul “libro nero FP”, ovvero un manoscritto su carta intestata della Juventus redatto dal direttore sportivo Federico Cherubini in merito all’operato di Fabio Paratici, suo predecessore: “Acquisti senza senso, investimenti fuori portata e utilizzo eccessivo di plusvalenze artificiali”. Poi, sono arrivate le intercettazioni fra i cugini John Elkann, presidente di Exor, e Andrea Agnelli, presidente dimissionario della Juventus: “Abbiamo fatto un ricorso eccessivo allo strumento delle plusvalenze”.

Lo stesso Agnelli confessa poi a Maurizio Arrivabene, ex ad: “Abbiamo ingolfato la macchina con ammortamenti e soprattutto con la m…a”. Altro documento cruciale è la tabella dell’avvocato Cesare Gabasio, dove venivano pianificate le plusvalenze da fare, con delle “X” vicino al nome di alcuni calciatori e l’importo deciso a tavolino.

Questi i fatti, ma le conseguenze citate poc’anzi sono ancora più imbarazzanti,  a partire dalle reazioni provenienti dall’estero.  The Sun ha titolato ‘The Italian Job’ in prima pagina con i volti di Nedved, Paratici e Andrea Agnelli. Si passa dal “terremoto” descritto da Marca che ritrae la ex ‘triade’ bianconera Nedved-Agnelli-Paratici al vertice del club ai tempi dei reati contestati, al “castigo” sottolineato da AS.

Non da meno la stampa francese, capitanata dalla testata maggiormente rappresentativa d’Oltralpe, L’Equipe, che titola a piena pagina: “La Juventus colpita da 15 punti di penalizzazione a seguito delle frodi per i suoi trasferimenti”. Infine i tabloid inglesi, che non hanno perso l’occasione di sbattere in prima pagina il “mostro”. E così, il nome “Juventus” insieme a “Italia” diventa il presupposto per evidenziare tutto ciò che non va nel nostro movimento calcistico, in un sottile filo rosso che unisce i titoli di oggi, con la rivalità di ieri. “Un nuovo scandalo colpisce i giganti della Serie A… e il dirigente degli Spurs Fabio Paratici è a rischio squalifica per il suo ruolo” evidenzia il Daily Mirror.

Ma oltre alla “figuraccia” internazionale, ciò che fa riflettere sono i “valori” che l’hanno provocata. Le accuse sono infatti frutto di un calcio che mangia le risorse. Il movimento calcistico in Italia non è al livello di quello inglese, giusto per citare il più ricco. Pur di restare al passo con i grandi club, ma chiaramente senza lo stesso potenziale finanziario, i dirigenti della Juventus (ma anche di altre società italiane se dovesse venir fuori altro) hanno rifiutato a priori l’idea di operare con tutti i conti in regola. Fare calcio in maniera ridimensionata, evidentemente, non è nemmeno da prendere in considerazione.

Ora invece, come se non bastasse, all’orizzonte ci sono solo nuvole nere. La Juventus deve infatti rispondere anche delle accuse di falso in bilancio e delle manovre sugli stipendi in tempi di Covid. Queste presentano pericolosità e criticità per il club quanto mento pari a quelle delle plusvalenze. Ci potrebbero essere dunque ulteriori penalità e anche l’inibizione dalla partecipazione di tutte le competizioni europee.

Ora tutti i tifosi juventini, per forza di cose, ne soffrono. Una grandissima parte sta reagendo al dolore con un tentativo di boicottaggio: stanno mettendo in pratica una sorta di protesta di massa, disdicendo tutti gli abbonamenti alle piattaforme televisive a pagamento che trasmettono il campionato di Serie A.

Altri hanno preso posizione contro l’ormai ex dirigenza, definendola “lurida, boriosa e faccendiera”. Forse, c’era però da rendersi conto prima dell’inadeguatezza di alcuni comportamenti dirigenziali, contestandoli in massa. Come, ad esempio, quello di Maurizio Arrivabene, che qualche mese fa rispondeva a tono a un tifoso che aveva chiesto perché non esonerassero l’allenatore Massimiliano Allegri con: “Quello che viene lo paghi tu?”.

Probabilmente, gli stessi atteggiamenti sono quelli a cui fa riferimento il nuovo presidente della Juventus Gianluca Ferrero, quando dice: “Ci difenderemo con rigore, anche con pacatezza e senza nessuna forma di arroganza”.

Forse non è un caso se il castello di carte è cominciato a crollare dopo l’addio di colui che risollevò le sorti dei bianconeri, il direttore sportivo Giuseppe Marotta. Parte del passato, così come lo è da ormai 20 anni lo storico avvocato Gianni Agnelli, icona di uno stile che ha fatto breccia in tutto il popolo italiano ma che, in casa Juve, appare molto ammaccato se non svanito già da tempo. Staremo a vedere se la persona che l’avvocato aveva scelto per traghettare la sua dinastia e la sua eredità imprenditoriale, John Elkann, avrà azzeccato le decisioni sui nuovi profili dirigenziali. D’altronde, i risultati sportivi non sono altro che la conseguenza di una base societaria del club. La mancanza di rigore nella gestione dei conti e nella pratica gestionale,, in un modo o nell’altro, alla fine non restano senza gravi conseguenze.

E la vicenda juventina attuale ne è ulteriore lezione, che in Italia si fa ancora fatica ad imparare.

 

Enrico ScoccimarroGiornalista

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