Niente cellulari a scuola, benemerita circolare del ministro Valditara

Da più parti ampi consensi al provvedimento. Uno studioso dei problemi della scuola illustra i vantaggi della decisione ministeriale, dal punto di vista psicologico, didattico e sociale

Se c’è un dicastero fonte di avare soddisfazioni e di enormi preoccupazioni per un politico, questo è il ministero dell’Istruzione e del Merito, giunto a questa denominazione dopo un lungo travaglio lessicale e una laboriosa cura dimagrante, che dagli anni Settanta in poi lo ha privato prima delle competenze sui beni culturali, passate all’omonimo dicastero fondato da Giovanni Spadolini, poi di quelle sull’università e la ricerca.

Benedetto Croce

Non deve ingannare il neoministro il fatto di essere il titolare di uno dei dicasteri “storici” dei governi italiani, di avere avuto come predecessori e ideali colleghi personaggi come Francesco De Sanctis e Pasquale Villari, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, Vittorio Emanuele Orlando e Adolfo Omodeo, e in tempi più recenti Guido Gonella e Salvatore Valitutti; né deve indurre a facili illusioni la ridondante facciata del dicastero in viale Trastevere, o le superbe boiseries della sala in cui tiene le sue sedute il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.

Giovanni Gentile

È ormai passato il tempo in cui ministri come Terenzio Mamiani o Giuseppe Bottai potevano nominare docenti per chiara fama futuri premi Nobel come Giosue Carducci o Salvatore Quasimodo. Come scappò detto una volta ad Andreotti, trasferire un bidello da una scuola all’altra è impresa ardua persino per un presidente del Consiglio. E se un semplice sottosegretario alla Difesa quando fa il suo ingresso in una caserma è ricevuto da un picchetto d’onore e da un impettito generale carico di decorazioni, il ministro dell’Istruzione che si affaccia in una scuola rischia di essere accolto da rumoreggianti slogan in rima baciata, dal “Valitutti vali niente” di fine anni Settanta al “Moratti, Moratti, vai a lavare i piatti” dei primi anni Duemila. Uno slogan quest’ultimo scandito in corteo non solo dagli alunni, magari indottrinati da professoresse e maestrine con la penna rossa, ma anche, ahimè, da qualche preside.

Letizia Moratti

Per questo è difficile non apprezzare il coraggio, con cui Giuseppe Valditara ha accettato e soprattutto affrontato l’ingresso nel governo Meloni come titolare di quella che una volta era chiamata la Minerva. Già è stata un atto di audacia la ridenominazione del dicastero, con il riferimento al merito, parola tabù per larga parte della sinistra, nonostante che proprio l’articolo 34 della “Costituzione più bella del mondo” preveda che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Ma l’orientamento del suo dicastero si è andato precisando con vari altri provvedimenti, come il divieto di istituire surrettiziamente nuove festività religiose nelle scuole, come avvenuto di fatto in alcuni istituti al termine del Ramadan, o il ripristino del valore deterrente del voto in condotta. Alcune iniziative, come l’istituzione del discutibile Liceo del made in Italy, ircocervo di tradizioni umanistiche e preoccupazioni commerciali, si sono rivelate per ora un fallimento; ma il suo impegno nel tutelare reputazione professionale e persona fisica dell’insegnante dalle violenze di alunni e genitori ha finito per guadagnargli quanto meno il rispetto di un corpo docenti orientato da decenni a sinistra, in cui la Cgil Scuola ha preso il posto del moderato Snals come sindacato più rappresentativo.

Ministro Valditara

Occorre precisare, per altro, che Valditara non è un politico di professione, visto che è in primo luogo un brillante docente di diritto romano, vincitore del concorso per ordinario ad appena 33 anni, ma è tutt’altro che un tecnico paracadutato dall’alto fra i pini di viale Trastevere. Il suo impegno politico risale al 1993, quando collaborò con la Fondazione Bruno Salvadori, il serbatoio di pensiero della Lega Nord animato da Gianfranco Miglio; in seguito si avvicinò ad Alleanza Nazionale grazie ai buoni rapporti con Pinuccio Tatarella e nel 2000 fu nominato assessore all’Istruzione della Provincia di Milano. Eletto senatore l’anno dopo, fu il responsabile scuola di An e in quella veste, grazie anche ai rapporti di stima con l’allora ministra, diede un contributo non indifferente alla riforma Moratti, salvo più tardi seguire Fini nell’effimera avventura di Futuro e libertà. Nel 2018 si è riavvicinato alla Lega, avendo però la saggezza di tenersi lontano dall’effimero governo giallo-verde, per approdare infine a Viale Trastevere, dopo una candidatura di bandiera al Senato. Qualcuno, forse, potrebbe accusarlo di avere mutato troppe volte schieramento, al che potrebbe obiettare con la celebre frase di Churchill secondo cui a volte per non cambiare le proprie idee bisogna cambiare partito. E le idee di questo studioso di diritto romano abituato a dialogare con Cicerone più che con i capi corrente vanno molto al di là della politica politicante, le si condivida o meno.

Anche questo, forse, aiuta a comprendere i consensi pervenuti, anche da chi non ne condivide le posizioni politiche, alla sua ultima iniziativa: la circolare, diramata l’11 luglio scorso (e consultabile fra l’altro sul sito )  che da un lato vieta l’utilizzo del cellulare nelle scuole dell’infanzia, primarie e medie, anche a fini didattici, dall’altro raccomanda ai docenti di accompagnare l’annotazione sul registro elettronico dei compiti da svolgere a casa con la loro tradizionale dettatura per la trascrizione sul diario personale, e cartaceo, dello studente.

Per chi non conosca la realtà della scuola italiana nell’epoca del digitale sono necessarie alcune spiegazioni. Computer e tablet, così come le lavagne elettroniche, sono entrati ormai nella didattica, non solo negli istituti tecnici; al tempo stesso i due tradizionali registri – quello di classe, che rimaneva sulla cattedra al passaggio dell’ora, e quelli personali dei docenti – sono stati sostituiti dal registro elettronico. Un registro in cui l’insegnante inserisce in tempo reale assenze, voti, eventuali rapporti, e persino i compiti assegnati, e che i genitori possono immediatamente consultare, magari quando sono al lavoro, tramite il loro smartphone. È un’innovazione dalle conseguenze imprevedibili, che meriterebbe una riflessione a sé, per le sue ripercussioni anche sul rapporto fra genitori e insegnanti.

Occorre aggiungere che in molti casi gli stessi alunni sono provvisti di telefoni digitali sin dalle elementari, o addirittura prima, e che molti docenti utilizzavano questa disponibilità per impartire lezioni informatizzate anche in mancanza di computer o tablet.

Le criticità di questa situazione sono evidenti, anche per chi non abbia letto il rapporto Unesco 2023 e i dati delle valutazioni internazionali sull’impatto degli smartphone sulla crescita intellettuale degli studenti, come quelli forniti dall’Ocse-Pisa 2022, citati nella circolare del ministro. La dipendenza dal cellulare comporta già per gli adulti un calo delle capacità di concentrazione, una continua distrazione, un autoisolamento dal rapporto con gli altri che è una sorta di patologico pendant della connessione con tutto il mondo. Figuriamoci quello che comporta per dei ragazzini (ci sono bambini mandati già all’asilo col cellulare, visto spesso da genitori troppo apprensivi come una sorta di guinzaglio magnetico) anche in termini sanitari: se il continuo chinarsi per leggere l’ultimo messaggio non favorisce una corretta postura, le ore passate a interrogare un minischermo non migliorano certo la vista.

La circolare ministeriale però affronta il problema sotto il profilo essenzialmente didattico, ricordando che “l’uso continuo, spesso senza limiti, dei telefoni cellulari fin dall’infanzia e nella preadolescenza incide negativamente sul naturale sviluppo cognitivo, determinando perdita di concentrazione e di memoria, diminuzione della capacità dialettica, di spirito critico e di adattabilità.”

Se tale abuso genera conseguenze spesso rovinose, anche in tema di rapporti umani, negli adulti, con l’incapacità di molte persone di colloquiare persino con familiari e amici senza distogliere ogni minuto lo sguardo per consultare l’ultima notifica, figuriamoci l’incidenza che un’abitudine maturata nei primi anni di vita eserciterà nella vita intellettuale, lavorativa e persino affettiva degli under 14 di oggi.

La circolare Valditara però tocca però proprio l’uso didattico dello smartphone fino alle medie incluse, dando per scontato che l’utilizzo per uso personale sia già proibito nelle scuole (unica eccezione, il caso in cui l’utilizzo di un supporto informatico sia indispensabile per alunni con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento, come nel caso di soggetti dislessici o disgrafici). È una scelta intelligente, intanto perché non è detto che tutti gli alunni di una classe possiedano un cellulare di ultima generazione, per cui quanti non ne dispongono, per motivi economici o per scelte dei genitori, si troverebbero in condizioni di imbarazzante inferiorità rispetto ai compagni. E poi, diciamolo con tutta franchezza, perché altro è insegnare l’informatica, la cui conoscenza è ormai indispensabile anche per ritirare una raccomandata all’ufficio postale, altro è informatizzare del tutto l’insegnamento, sacrificando quelle attitudini al calcolo mnemonico, alla scrittura manuale, alla memorizzazione di dati che restano indispensabili nella vita quotidiana, non solo in casi di black out.

Come accennato, la circolare Valditara ha incontrato in generale consensi, che vanno ben oltre lo schieramento politico del ministro. Antonio Affinita, direttore generale del Moige, storico movimento di rappresentanza delle esigenze dei genitori, lo ha definito “un passo avanti nella gestione di una corretta digitalizzazione nella scuola”, destinato ad arginare gli  “usi impropri della tecnologia specie all’interno del mondo della scuola”.

Un sondaggio on line promosso dalla rivista “La Tecnica della Scuola” ha visto l’80 per cento dei partecipanti – docenti, genitori, dirigenti scolastici –  concordi con la misura. E il Comitato nazionale dell’Aiart, l’Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione, con sede in uno dei poli comunicativi della Conferenza Episcopale Italiana, ha definito la circolare “in linea con la progressiva presa di coscienza da parte di un numero sempre più crescente di genitori che hanno ormai compreso quanto negative siano le implicazioni di un uso precoce e scriteriato di dispositivi elettronici”.

Lo storico inviato speciale del “Corriere” Bruno Tucci ha plaudito all’iniziativa, profetizzando su “Blitz quotidiano” che “un giorno lo ringrazierete”; ma anche un docente tutt’altro che refrattario alla tecnologia – Vincenzo Schettini, musicista,  youtuber e tiktoker, seguito sui social da oltre un milione e mezzo di followers nonché autore del fortunato volume La fisica che ci piace, – si è dichiarato addirittura più realista del re, anzi del ministro. Intervenuto su Sky TG24, ha dichiarato che l’introduzione dell’informatica a scuola è stata “un guaio pazzesco”, auspicando che il divieto sia esteso anche alle superiori.

Non sono mancate, naturalmente, le voci discordi. Alex Corlazzoli, sulle colonne del “Fatto”, ha soprannominato Valditara “il ministro del c’era una volta”, il pediatra Italo Farnetani ha ribaltato i termini della questione, suggerendo di trasformare lo smartphone in materia di studio, dedicando le prime due ore di lezione a insegnare ai bambini a usare i cellulari in modo corretto. Una sorta di “preghiera laica”, che sostituirebbe le orazioni con cui negli istituti confessionali cominciavano le lezioni, preparando i “cittadini digitali” del futuro.

Al di là delle posizioni estreme, però, un’obiezione possibile alla circolare riguarda la sua effettiva applicabilità. Sono decenni che ministri e dirigenti scolastici di tutte le estrazioni politiche vietano l’uso del cellulare in classe fuori dei momenti didattici, ma il loro veto è sistematicamente eluso. Gli alunni ormai considerano lo smartphone come un prolungamento della loro personalità, tanto da ribellarsi anche fisicamente ai tentativi di sottrarglielo, sino ad accusare in certi casi di violenza gli insegnanti che si limitano a cercare di fare il proprio dovere.

Persino nel corso degli scritti agli esami di maturità sono in molti a portarlo in tasca o nella borsetta, magari dopo aver consegnato alla commissione il giurassico Nokia del nonno. Al tempo stesso, alcuni genitori hanno denunciato il rischio che appena usciti da una scuola “decellularizzata” bambini e preadolescenti tornino con rinnovato entusiasmo all’uso dello smartphone, in famiglie che non sono in grado di vietarglielo.

Ma in questo caso, si potrebbe obiettare, la responsabilità è della perdita di autorevolezza di padri e madri, non del ministro, che con la sua circolare ha cercato di fare applicare una norma di elementare igiene mentale, e anche fisica. E il fatto che i genitori rimproverino a Valditara di provarsi, fra molte difficoltà, a fare quello che dovrebbero fare loro, ma non si impegnano a fare, è l’ennesima metafora del rapporto distorto tra la famiglia e una scuola da cui si attende, e a volte si pretende, sempre di più, senza essere disposti a dare molto in cambio.

 

 

Enrico NistriSaggista

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