L’attività di raccolta di informazioni riservate su personaggi politici (e non solo), da usare a fini di controllo, repressione e ricatto, trae le sue origini con l’operato dell’OVRA, (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo), costituita nel 1926 per diretta volontà di Mussolini, il quale voleva un organismo con poteri maggiori di quelli delle questure, in grado di raccogliere tutti i servizi di polizia politica lungo tutto il territorio nazionale e formare un archivio segreto a propria disposizione. I dossier raccolti dalla polizia politica fascista non risparmiavano nessuno, neanche i personaggi più vicini al Duce, a cui poi veniva sottoposto il contenuto di queste schedature, riguardanti spesso anche uomini che ricoprivano alte cariche dello Stato, e nei confronti dei quali decideva i provvedimenti da adottare. Con la caduta del fascismo e l’avvento della Repubblica, tuttavia, la pratica dei dossieraggi, intesi quale strumento in grado di ricattare politici e alti personaggi della classe dirigente, non è scomparsa.
Già nel 1954 con il “giallo di Capocotta”, la presenza di dossier che accusavano Piero Piccioni di un coinvolgimento nell’omicidio di Wilma Montesi, costrinse il padre, Attilio Piccioni, in quel momento ministro degli Esteri, alle dimissioni, con la conseguente compromissione della sua carriera politica, nonostante, poi, due anni dopo tutte le accuse nei confronti del figlio verranno smontate.
L’evoluzione del dossieraggio
A partire dal 1955, poi, con l’arrivo del Generale Giovanni De Lorenzo a capo del SIFAR, iniziò quell’ampia attività di raccolta di fascicoli nei confronti di numerosi dirigenti di diversi partiti e negli anni successivi il dossieraggio diventò un vero e proprio strumento di ricatto e di pressione, marchio distintivo del Servizio Informazioni Forze Armate. Questa raccolta di informazioni, avviata già da Mario Scelba mentre era ministro degli Interni, aumentò con la fine del governo Tambroni, quando iniziarono le prime aperture a sinistra dei governi democristiani.
Il Piano Solo
La raccolta di documenti e schedature nei confronti di parlamentari, sindacalisti, industriali e sacerdoti, effettuate dal SIFAR sotto la guida di De Lorenzo, non si limitava all’approfondimento di indagini politiche o istituzionali, bensì riguardava anche la vita personale dei singoli soggetti sottoposti ad attività di intelligence. Fu solamente dopo la scoperta del Piano Solo che si venne a conoscenza della presenza di questi dossier.
Iniziarono, così, le indagini che portarono l’allora ministro della Difesa Roberto Tremelloni alla decisione, nel 1967, di istituire una commissione d’inchiesta interna (denominata Beolchini dal nome del generale incaricato a presiederla), con lo scopo di indagare sulle attività del SIFAR, che sino quel momento operava svincolato da ogni forma di controllo, ed in modo particolare, di chiarire in quali circostanze e per quali motivi fosse avvenuta la formazione di numerosi dossier riguardanti uomini politici.
Nella sua relazione finale la commissione Beolchini stabilì che la raccolta di queste informazioni aveva il chiaro obiettivo di realizzare attività ricattatorie, affermando, inoltre, che, su 157 mila fascicoli vagliati, oltre trentamila si consideravano ottenuti illegalmente.
A seguito, poi, dell’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, fu decisa, nel 1971, la distruzione dei fascicoli raccolti negli anni dal SIFAR, che venne affidata all’allora ministro della difesa Giulio Andreotti, il quale procedette all’incenerimento solamente tre anni dopo, il 4 luglio 1974.
Trascorrono poco più di trent’anni e un nuovo scandalo collegato a presunti dossieraggi travolge l’opinione pubblica. È il caso Telecom-Sismi, in cui diversi responsabili della sicurezza di Telecom Italia, agenti della Polizia, dell’Arma e della Guardia di Finanza vengono indagati e rinviati a giudizio con l’accusa di intercettazioni illegali e attività di dossieraggio. Alla fine del processo emergerà come agenti di sicurezza e investigatori privati realizzarono e confezionarono dossier su circa cinquemila persone, dai dipendenti e azionisti del gruppo Telecom-Pirelli, sino a giornalisti, politici, imprenditori e uomini dello sport.
Il dossieraggio ai giorni nostri
Si arriva, così, all’inchieste degli ultimi due anni. Tutto inizia con la denuncia del ministro della Difesa, Guido Crosetto, presentata nell’ottobre del 2022, in seguito alla pubblicazione nei giornali di notizie riservate sulla sua precedente attività lavorativa. Da quella denuncia parte l’inchiesta della procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone che porta alla scoperta di una vera e propria attività di dossieraggio da parte di un finanziere distaccato dalla Procura nazionale antimafia, il quale secondo i magistrati, attraverso migliaia di accessi illeciti, prelevava informazioni sia personali sia economiche su vip e politici, cedendole poi in un secondo momento ad alcuni giornalisti. È il cd. caso Striano, su cui, tuttavia, ancora oggi, dopo oltre un anno dall’inizio delle indagini, molti punti della vicenda rimangono oscuri.
Nel frattempo, nei primi giorni di ottobre, si apre il caso dello “spione dei conti correnti” di Bari, in cui si scopre che un dipendente di una filiale di Intesa San Paolo nel capoluogo pugliese controllava i conti correnti di numerosi politici, tra cui quello della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del suo ex compagno Andrea Giambruno e del presidente del Senato Ignazio La Russa.
La fabbrica di “spioni”
Ed eccoci all’ultimo caso scoppiato il 25 ottobre, quando esce la notizia che la Direzione distrettuale antimafia di Milano avrebbe scoperchiato una fabbrica di “spioni”, che si muovevano all’interno della società di investigazioni e sicurezza Equalize e indagavano, attraverso l’intercettazione di chat e di mail, su moltissimi personaggi noti, tra cui, ancora una volta, il presidente del Senato Ignazio La Russa con i suoi due figli, l’ex premier Matteo Renzi e l’ex sindaco di Milano Letizia Moratti.
Secondo la procura di Milano, all’interno degli uffici di questa società, venivano raccolti oltre 800 mila dossier contenenti dati sensibili dal valore di milioni di euro. Per i cinquantadue indagati, tra cui l’ex super poliziotto Carmine Gallo e il manager di Fondazione Fiera Enrico Pazzali, le accuse – a vario titolo – di associazione per delinquere finalizzata all’accesso abusivo a sistema informatico, corruzione, intercettazione abusive e rivelazione del segreto d’ufficio.
E proprio questi ultimi casi, cento anni dopo l’Ovra, oltre mezzo secolo dopo la scoperta dei fascicoli del Sifar, dimostrano come il dossieraggio, quella raccolta illegale di documenti volta ad un possibile futuro ricatto, ancora oggi, continui ad essere uno strumento utilizzato per tentare di condizionare la vita politica del Paese.
Francesco Spartà – Giornalista e Teaching Assistant