Lobbying, chi, come e perché: breve vademecum per i “semplificatori di realtà” (con vista potere)

Sin dai tempi della “lobby” di Westminster, si tratta di un effetto collaterale e inevitabile della democrazia pluralistica. Perché l’interesse pubblico nasce, in ultima istanza, nel confronto tra interessi

Molti ne sono intrigati, altri impauriti, ma tutti ne parlano. Ma cos’è, realmente, il lobbying?

Etimologicamente, come sottolineato da Andrea Bitonti, il termine “lobby” deriva “proprio dalla lobby di Westminster (sede del parlamento britannico), o, nella versione americana della storia, dalla lobby del Willard Hotel di Washington DC, luoghi tipici dell’interazione tra i lobbisti dei vari gruppi di interesse e i decisori pubblici da almeno due secoli”.

Per quanto attiene, invece, il processo di lobbying, citando Vincenzo Manfredi, esso è “l’attività di relazione e di comunicazione finalizzata a esercitare pressione sul processo decisionale pubblico relativo all’iter di approvazione, abrogazione o modifica di una norma legislativa per influenzarlo in modo favorevole al proprio interesse rappresentato”.

Relazioni pubbliche e potere politico

Un’attività, dunque, che rientra nell’alveo delle relazioni pubbliche, ma che si differenza dalle public affairs e dall’advocacy che si interfacciano con un pubblico differenziato, poiché il processo di lobbying è una comunicazione politica che si caratterizza per una pervicace relazione con il potere politico e, con più precisione, con il potere politico nella previsione, regolamentazione e attuazione delle policy dello Stato.

La "lobby" di Westminster, il parlamento britannico in un dipinto di fine ottocento
La “lobby” di Westminster, il parlamento britannico in un dipinto di fine Ottocento

 

Il processo di individualizzazione della società insieme alla erosione del ruolo sociale dei partiti politici ha comportato un rafforzamento del potere dei corpi intermedi che, non trovando più nei partiti le principali camere di mediazione, hanno avuto l’opportunità di rappresentare direttamente i propri interessi al decisore politico al quale, in una democrazia pluralista, è dato l’onere e l’onore di dover bilanciare le diverse istanze in favore dell’interesse nazionale.

Infatti, come sostenuto da Enrico Carloni, “il lobbying è un precipitato, un effetto collaterale e inevitabile della stessa democrazia pluralistica. L’interesse pubblico nasce, in ultima istanza, nel confronto tra interessi, e l’ordinamento non può predeterminare tutti i possibili assetti, né escludere in via assoluta gli interessi dal percorso che conduce alla decisione pubblica. Questo è particolarmente vero a livello amministrativo, ma non di meno a livello di scelte legislative è evidente che nei sistemi democratici la partecipazione attiva, il confronto con i destinatari delle scelte, la possibilità di presentare istanze e l’esigenza che queste siano tenute in considerazione costituiscono elementi non eludibili. Interessi e decisione pubblica, sono, cioè, consustanziali l’un l’altra, e la scelta definisce di per sé un’opzione in ordine a un determinato assetto di interessi”.

Canali diversificati

Le attività di lobbying si sviluppano applicando una pressione che può essere declinata in molteplici modi (ovviamente tutti leciti, non è contemplata la corruzione), ed effettuata grazie a canali diversificati che devono condurre i decisori pubblici ad adottare, modificare o implementare una determinata decisione. Il processo di lobbying può svolgersi lungo tutto l’arco temporale del ciclo di policy: dall’agenda setting alle fasi di discussione, formulazione e valutazione delle decisioni da adottare.

In definitiva, il ruolo del lobbista, utilizzando una felice intuizione di Daniele David, può essere inteso quale “semplificatore della realtà, ovvero come un professionista la cui azione è in grado di essere una fonte di informazione autorevole per il decisore pubblico” e, in tal modo, agevolare la comprensione di una determinata issue che necessita di competenze peculiari.

Montecitorio, la camera dei deputati
Montecitorio, la Camera dei deputati

Competenze trasversali e interconnesse

A tal proposito, le competenze professionali richieste ad un lobbista sono trasversali e interconnesse: dalla comprensione dei sistemi decisionali nelle loro varie articolazioni, alla conoscenza delle dinamiche sociali e politiche, financo a prevedere padronanza in ambiti tecnico-scientifici, oltreché psicologici.

Ma, premesse tutte queste necessarie competenze, identificando il processo comunicativo come l’attività primaria del lobbying, è fondamentale per un lobbista avere la capacità di scegliere il modo giusto di presentare un determinato interesse, sapendo ben evidenziare gli eventuali aspetti problematici, i vantaggi sociali e comunitari, la posizione dell’interesse rappresentato, oltre alle plausibili valutazioni etiche che possono incidere su una determinata decisione.

Chiaramente, l’abilità del lobbista è nella sua capacità di enfatizzare dei temi e celarne degli altri per poter, così, tutelare effettivamente gli interessi rappresentati.

 

Lorenzo Della Corte

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