Riscoprire Spadolini, uomo di Governo, di Stato e di Cultura. Nelle centinaia di articoli su Berlusconi nessun vi ha fatto riferimento

Fu nel 1994 il più cruciale incrocio fra la figura di Berlusconi e quella di Spadolini: quando si svolse la più difficile e complessa elezione di un presidente del Senato. Fu eletto Scognamiglio e Spadolini perse per un voto. L’occasione perduta dal centrodestra

Le tante analisi, i tanti articoli, i tanti commenti usciti nei giorni scorsi in memoria di Silvio Berlusconi hanno contribuito tra l’altro al recupero della memoria di un altro uomo di governo come Bettino Craxi, anch’egli presidente del Consiglio negli anni ’83-‘87 e molto legato sia sul piano personale sia in qualche modo politico allo stesso Silvio Berlusconi.

 

Bettino Craxi

 

C’è però un’altra figura ben più solida e complessa di uomo di Stato, di Governo e di Cultura (ben più degli altri due) cui quasi nessuno ha fatto riferimento, che incrociò la nascita della prima maggioranza e del primo governo di Silvio Berlusconi: quella di Giovanni Spadolini.

 

Giovanni Spadolini

 

Credo che assisteremo ad un risveglio nei prossimi mesi e anni dell’attenzione a questa grande figura di statista e uomo di cultura, di cui ricorrerà nel 2024 il trentesimo dalla morte e nel 2025 il centenario dalla nascita.

Il più cruciale incrocio fra la figura di Berlusconi e quella di Spadolini fu proprio nel 1994 quando si svolse la più difficile e complessa elezione di un presidente del Senato.

Credo che quello sia stato uno dei primi clamorosi errori di Silvio Berlusconi, che qualche altro errore, anche per il neofitismo politico in qualche modo combinò anche con il suo primo governo del 1994.

 

Silvio Berlusconi

 

Si pensi, ad esempio, al tentativo di condurre una riforma delle pensioni, che pur era necessaria, ma che non era certo facile condurre in un quadro politico spaccato in due come una mela. Ma il primo grave errore di Berlusconi e della sua maggioranza maturò appunto in quei giorni di quella elezione al cardiopalma del nuovo presidente del Senato.

Spadolini era il presidente uscente e non apparteneva certo alla sinistra, sia per la sua storia di uomo di cultura, di professore di Storia, di direttore di giornali, sia per il fatto di essere stato poi il leader del Partito Repubblicano, che non a caso nelle elezioni dell’83 portò per la prima volta ad una percentuale di voti superiore al 5% e nel 1981 il primo Presidente del Consiglio laico, per incarico del presidente della Repubblica Sandro Pertini. Anche perché solo una figura della statura morale di Spadolini poteva far fronte alla grave deflagrazione della questione morale con l’emersione dello scandalo della P2.

 

Sandro Pertini

 

Ebbene, gli osservatori più accorti presumevano che il nuovo centro-destra guidato da Berlusconi avrebbe favorito la rielezione di quella grande figura di presidente del Senato. Spadolini, invece, fu regalato in qualche modo al sostegno della sinistra e gli fu contrapposto un candidato del centro-destra, fu contrapposto un candidato del centro-destra, Carlo Scognamiglio, anche lui molto neofita della vita istituzionale, come non poco neofiti erano molti esponenti del centro-destra guidato da Berlusconi.

 

Carlo Scognamiglio

 

Dopo prove e controprove Scognamiglio prevalse per un voto su Giovanni Spadolini, e forse il centro-destra di Berlusconi si procurò in quel modo un danno da solo, anche perché, visti i non felici rapporti tra il presidente della Repubblica di allora Oscar Luigi Scalfaro e il presidente del Consiglio Berlusconi, disporre di una figura con grande senso istituzionale, ed eletta da centrodestra e centrosinistra, come presidente del Senato e come tale numero due della Repubblica poteva essere una utile rendita di posizione per l’andamento dello stesso centrodestra guidato da Berlusconi.

Fu quella una delle prime dimostrazioni di quel troppo forte “senso della divisività”, di quel po’ di “settarismo” in più del necessario che avrebbe caratterizzato i primi passi del centro-destra a trazione berlusconiana.

Ma l’analisi degli effetti del berlusconismo è stata condotta da molti nei giorni scorsi e non vogliamo qui soffermarci su questo più di tanto, salvo dire che uno degli effetti più significativi generati da Berlusconi nella guida del sistema politico ed economico fu quello di bloccare quella un po’ troppo radicata cultura del “tassa e spendi” propria di una parte significativa della sinistra.

Per essere più concreti, nei governi a guida Berlusconi, la “cultura dello spendi” è purtroppo proseguita, ma si è limitata per fortuna la “cultura del tassa”.

Tornando alla figura di Spadolini, che pochi mesi dopo quella drammatica elezione del presidente del Senato sarebbe deceduto, sempre appunto nel ’94, ci sembra il caso, anche ma non solo per aver contribuito a fondare l’Academy Spadolini di Cultura e di Politica, non di analizzare in chiave storica la figura di Spadolini, ma di evocarne qui la grande attualità ancora oggi e per il futuro del suo pensiero e della sua azione.

Questo anche perché sostanzialmente, nell’Italia politica di oggi, che vede da troppi anni il divorzio tra politica e cultura, Giovanni Spadolini incarna sostanzialmente il più felice matrimonio tra politica e cultura della storia repubblicana. Un matrimonio che prima o poi si dovrà pur ricostruire perché non c’è vera e sana politica senza cultura, come hanno dimostrato le vere e proprie vergogne della scorsa legislatura fino al governo Draghi, guidata dalla prevalenza dell’ideologia dell’”uno vale uno” e dell’incompetenza al potere, lanciata dal grande ideologo Grillo che ha rappresentato i cromosomi di quel Movimento 5 stelle che in quella legislatura rappresentava la maggioranza relativa in Parlamento.

Spadolini, infatti, a 30 anni era già direttore del Resto del Carlino, uno dei più grandi giornali italiani di allora, dopo essere stato uno dei migliori collaboratori del Mondo, forse il miglior giornale della storia repubblicana. Era, inoltre, già Professore di Storia in quello splendido “brodo di cultura” che è stato la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, in cui ottenne, qualche anno dopo, la prima cattedra istituita in Italia di Storia contemporanea.

Intorno ai 40 anni è stato direttore del Corriere della Sera, ma nel frattempo, già a partire dall’età di 25 anni ha scritto i libri più significativi sul rapporto tra Stato e Chiesa e sul ruolo politico dei cattolici.

Candidato come indipendente nelle liste del partito Repubblicano nel 1972, dopo aver lasciato la direzione del Corriere della Sera, nel 1974 era già ministro dei Beni Culturali, voluto con forza da Aldo Moro, oltre che da Ugo La Malfa e, guarda caso, fondò il ministero dei Beni Culturali, dove prima operava un piccolo ministro senza portafoglio. Lo fondò al fine della tutela e valorizzazione possibile dei beni culturali ed ambientali, anche sulla base di un asse mai venuto meno con Italia Nostra, che in quella fase era l’associazione più rilevante in materia di beni culturali e ambientali.

 

Ugo La Malfa

 

Sarebbe stato poi successivamente anche un grande ministro della Difesa per vari anni e pure un ottimo ministro della Pubblica Istruzione. Ma soprattutto nel 1981 fu il primo presidente del Consiglio laico e non democristiano nella storia della Repubblica.

Qualcuno lo definì “Sua emergenza”, perché pose subito al centro della sua azione di governo la lotta alle quattro fondamentali emergenze di quella fase, ancora in atto nella vita politico-istituzionale italiana: l’emergenza morale, l’emergenza economica e l’emergenza istituzionale, l’emergenza terroristica.

Vivo e forte è ancora oggi il lascito dello Spadolini presidente del Consiglio rispetto a quella che lui definiva emergenza istituzionale. O quello che venne definito il decalogo istituzionale Spadolini, in cui egli configurava, infatti, dieci piccole e medie riforme capaci di incidere sui vari bubboni delle istituzioni un po’ malate per offrire una risposta all’emergenza istituzionale.

Guarda caso, l’ispirazione più significativa di quel decalogo è il rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio e del ruolo del governo, però nella consapevolezza che nel modello istituzionale di fondo vigente, ci sia bisogno sia di un governo sia di un parlamento entrambi forti.

Spadolini puntava, quindi, a perseguire il rafforzamento della figura del presidente del Consiglio (come subito in parte avvenne con il varo della legge 400 in quello stesso anno) senza però rivoluzionare la forma di governo parlamentare italiana, essendo legato a quella che un grande costituente repubblicano come Tomaso Perassi aveva configurato come “forma di governo parlamentare razionalizzata”.

Ora, in questi giorni e settimane ci si sta confrontando su come debba essere l’elezione del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio. Già allora Spadolini, in presenza della prima autorevole ed amata dagli italiani presidenza della Repubblica, come era quella di Sandro Pertini, aveva ben chiaro che il presidente della Repubblica è la figura istituzionalmente più indispensabile, unificante e al di sopra delle parti del Paese, e come tale amata e rispettata dagli italiani.

Se si perseguisse la via dell’elezione diretta del Presidente, si spaccherebbe ancora di più il Paese un po’ come una mela e si avrebbe il Presidente di parte.

Se si seguisse la via dell’elezione diretta del Premier (che già peraltro ha fallito nell’unico paese in cui era stata vigente come Israele…) verrebbe fortemente debilitata la figura del presidente della Repubblica. Perché senza addentrarsi in tante e sottili analisi da costituzionalista, ovviamente a fronte di un premier eletto da una fetta larga del popolo il presidente della Repubblica, che perderebbe tra l’altro il suo potere più importante come quello di assegnare l’incarico al presidente del Consiglio, sarebbe ampiamente debilitato.

Ciò che tra l’altro gli italiani, anche in sondaggi recenti, hanno mostrato chiaramente di non volere, in quanto almeno due terzi dei cittadini sono molto legati alla figura del presidente della Repubblica, oggi così ben incarnata da Mattarella.

Pertanto, il grande statista fiorentino, aveva già nel 1981 sostanzialmente tracciato la via più opportuna e più rispettosa dello stato del rapporto fra le istituzioni e i cittadini. Una via che oggi si può tradurre rafforzando chiaramente i poteri del presidente del Consiglio, tramite la concessione della fiducia al solo presidente del Consiglio, il suo successivo potere di nomina dei ministri, al quale finalmente accompagnare il potere di revoca.

Credo che il tutto funzionerebbe meglio se, così come avviene nel modello tedesco, fosse prevista la sfiducia costruttiva, in modo tale che per togliere la fiducia ad un governo occorra configurare un premier ed una maggioranza alternativi.

Ma l’attualità del pensiero e della figura di Giovanni Spadolini risiede in vari altri aspetti. Ne enuncio qui solo due.

Il primo è lo stimolo forte al recupero, finalmente, di un sano senso della memoria storica. Senza questo, infatti, né si opera bene nel presente né si progetta il futuro. E la classe politica e parte significativa delle classi dirigenti del Paese soffrono, invece, della malattia del presentismo, che in certi momenti si configura come “oggicrazia” (siamo infatti guidati da una specie “dittatura dell’oggi” come emerge dal gioco degli specchi tra politica e giornalismo, dimostrato tra l’altro dall’andamento della larga parte dei talk show televisivi in cui il senso della memoria storica è certamente il grande assente, mentre qualcuno è sempre troppo presente…)

L’altro grande lascito di Giovanni Spadolini, sia per il presente sia per il futuro, risiede in un senso forte della meritocrazia. Egli ha, infatti, incarnato, man mano tutti i diversi ruoli sulla base sempre essenzialmente del fattore del valore e del merito. Ciò che oggi non avviene.

Forse il Presidente Meloni, che si è presentato, nel suo discorso di insediamento come Underdog, dovrebbe recuperare quella sorta di Underdog con una dimensione molto più intensa e culturalmente più solida che fu la figura di Giovanni Spadolini.

Ma il Presidente Meloni ha avuto il merito di aver rilanciato (scusate il bisticcio) il fattore del valore e del merito cambiando anche l’intestazione del Ministero della Pubblica Istruzione in questo senso.

Ora si aspettano iniziative conseguenti rispetto a questo rilancio, in un quadro in cui la sinistra su merito e meritocrazia non ha quasi mai capito niente e ancor meno capisce oggi.

Spadolini, però, che teneva sempre alto il valore del merito, avendo tra l’altro seguito una carriera basata solo di esso, sapeva bene che non ci può essere sana meritocrazia senza concorrenza, e viceversa.

Forse le menti più illuminate della destra, e la stessa presidente del Consiglio, dovrebbero riconsiderare tale aspetto, perché mentre sul merito ci sono state giuste e importanti dichiarazioni di intenti, sulla concorrenza i ritardi della destra, così come i ritardi della sinistra, sono ancora troppi. E oltretutto, senza quella concorrenza, sorella gemella del merito, non si può sostenere, attivare e liberare una crescita significativa del PIL.

Alla fine, guarda caso, recupero del senso della memoria storica e impegno contro il presentismo, impegno per sanare il grave divorzio tra cultura e politica e contro il dilettantismo, impegno per l’affermazione della meritocrazia e della concorrenza sono i tre punti di fondo dell’Academy Spadolini, dedita al rilancio e alla valorizzazione di quei fattori insiti nella figura di Spadolini necessari più che mai per il risanamento del sistema politico ed economico.

 

Luigi Tivelli – Giurista, politologo, editorialista, scrittore, già Consigliere Parlamentare della Camera dei Deputati, Capo di Gabinetto in collaborazione con Francesco Spartà

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