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Evidenza

Giuseppe Zollino: “Caso plutonio, Sogin ha rispettato tutte le procedure. Il nucleare di terza generazione? È la filiera energetica più sicura di tutte”

Parla il docente dell’Università di Padova: “È giusto che l’episodio al centro Enea di Casaccia sia stata messa in risalto, ma le procedure sono accurate: non parliamo di controlli a campione ma sistematici, di un monitoraggio costante per evitare anomalie che, sebbene rare, possono accadere”

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Economia

Borse di studio per laureati in economia che faranno i giornalisti. Una iniziativa dell’Associazione “Guido Carli”, annunciata dal nipote Federico

In tempi globalizzati come questi, in cui l’economia, la finanza, i mercati, le Borse hanno acquistato un rilievo centrale nei sistemi produttivi e sociali dei Paesi e, di riflesso, nella vita dei cittadini e delle imprese, è necessario che anche l’informazione economica sia all’altezza. Per questo, il professor Federico Carli, docente di economia nell’Università internazionale di Roma, e presidente dell’Associazione intitolata allo storico Governatore della Banca d’Italia,  ha annunciato la istituzione di una borsa di studio riservata ai laureati in Economia che però abbiano in programma di diventare giornalisti. L’iniziativa, sostenuta dal presidente della Banca IFIS  Ernesto Furstenberg Fassio, è stata annunciata da Federico Carli  al termine del secondo di un ciclo di “Incontri” per ricordare il Governatore, di cui quest’anno ricorre il trentennale della morte, e i suoi articoli scritti a quattro mani per l’Espresso insieme con Eugenio Scalfari, e firmati con lo pseudonimo di Bancor. In verità, come una volta ha raccontato lo stesso Federico Carli, Scalfari conversava con il Governatore di Bankitalia sulle calde questioni del momento, poi il direttore dell’Espresso elaborava e scriveva. Non sempre riportando l’esatto pensiero di Guido Carli, ma il Governatore- è sempre il nipote che ce lo racconta – pur non riconoscendosi sempre e in tutto nel testo di Scalfari non gliene ha mai fatto rimprovero. Tornando alla Borsa di Studio, essa ha il duplice scopo di favorire le condizioni per l’esercizio di una informazione economica che spieghi la effettiva realtà dei fenomeni, con la massima competenza nella materia e anche con una robusta consapevolezza storica, del passato e del proprio tempo, con un occhio alle prospettive future. È questa una delle più importanti lezioni o lasciti di Guido Carli, di cui il nipote, con l’attività dell’Associazione culturale che fa capo al nonno, si fa divulgatore, interprete e continuatore. Con una particolare attenzione

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Evidenza

Ucraina, Alberto Negri: per Putin è già una sconfitta arrivare a Kiev e non conquistarla

Alberto Negri, oltre ad essere saggista e documentarista, consigliere dell’Ispi, docente in varie università, è tra i giornalisti italiani più esperti di politica internazionale. Ex inviato di guerra per il Sole 24 Ore, adesso scrive per il Manifesto ed è spesso ospite della trasmissione Piazza Pulita su La 7. È specializzato in Medio Oriente, Asia centrale, Africa e Balcani. Ha seguito sul campo i principali conflitti degli ultimi quarant’anni cominciando dalla guerra civile in Libano, la guerra Iran-Iraq, l’Afghanistan, la prima guerra del Golfo nel 1990-91, le guerre civili in Somalia, Mozambico, Angola, Algeria (1992 -2000) Kurdistan (1991-2017), oltre a Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali. È stato testimone della liberazione di Nelson Mandela in Sudafrica e della fine dell’apartheid. Nella ex Jugoslavia è stato all’assedio di Sarajevo e alla guerra in Croazia; ha coperto il conflitto in Kosovo, le rivolte in Albania, l’arresto di Milosevic. Negli anni Duemila ha seguito la guerra in Afghanistan prima e dopo l’11 settembre, la guerra in Iraq con la caduta di Saddam fino al ritiro americano, la guerra civile in Siria con reportage da Aleppo e Kobane, è stato sul fronte con l’Isis durante l’assedio di Mosul, ha raccontato il colpo di stato in Turchia. Ha visto la fine di tre autocrati: Ben Alì, Mubarak e Gheddafi. Con “Bee Magazine” Negri parla della situazione in Ucraina, in occasione del Premio Federico Caffé che gli è stato conferito il 10 marzo alla Camera dei Deputati. Il 24 febbraio scorso la guerra in Ucraina ha compiuto un anno. Che bilancio ne fa?  Anzitutto, è una guerra che forse nessuno si aspettava, anche se le radici affondano nel 2014 quando Mosca si annesse la Crimea e con i successivi accordi di Minsk delineati ma non rispettati. In termini generali, per Putin è già una sconfitta essere arrivato alle porte di Kiev ma non averla conquistata né aver abbattuto Zelensky. Ha dovuto arretrare, anche se ha tenuto il Donbass e la città di Mariupol, che è la sua conquista più notevole. Da parte loro, gli ucraini non hanno riconquistato i due oblast del Donbass ma hanno ricacciato indietro i russi attestandoli lungo la linea del fiume Dnipro,

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Evidenza

La banalità del crimine. L’arresto di Matteo Messina Denaro, mezza Italia gioisce l’altra metà si domanda: perché solo ora?

L’interrogativo più ripetuto di questi ultimi anni, dettato dal senso comune, negli immaginari dialoghi tra due cittadini: come mai Matteo Messina Denaro continua a vivere latitante? Con un po’ di malizia aggiuntiva: ma pensi che non sappiano dov’è? E allora perché non lo arrestano? Ma forse perché è meno pericoloso da latitante che da arrestato. Chi lo immaginava in un posto misterioso e sconosciuto, perfino all’estero, rifugiato in chissà quale bunker inespugnabile. Invece il clamoroso arresto ha fatto cadere come birilli tutte queste ipotesi: Matteo Messina Denaro, detto “U siccu” ( il magro), apparso abbastanza ingrassato), e Diabolik, se ne stava in Sicilia, a Palermo. E si muoveva come un comune cittadino, forte dell’omertà diffusa e di evidenti protezioni e complicità. Nelle foto dopo l’arresto una signora molto osservatrice ha ravvisato anche una certa eleganza: il berretto beige chiaro intonato con lo stesso colore del giaccone. È stato detto che è una giornata storica.  Ed è vero.   Se i morti vedono e seguono le vicende umane, anche con qualche disgusto, tutte le vittime della mafia senz’altro si sentono vendicate: dai magistrati che hanno perso la vita nella lotta alle cosche, cominciando con la citazione di Falcone e Borsellino, e ricordandone tanti altri, tra cui il generale Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Pietro Scaglione, Cesare Terranova, il presidente della Regione Sicilia Santi Mattarella, Pio La Torre, uomini delle forze dell’ordine.   Una tragica Spoon River mafiosa, quale mi fu fatta visitare tappa per tappa per le vie di Palermo da un giovane collega, Daniele Ienna: dal bar dove fu freddato il commissario Boris Giuliano, via Carini dove fu ucciso Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti Carraro; via della Libertà che vide l’agguato mortale a Piersanti Mattarella; via d’Amelio, dove fu ucciso Borsellino; fino a Capaci, dove per uccidere Falcone, la moglie

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Evidenza

Covid, Lopalco: Cacciari ha ragione, il nostro ruolo è effimero. Si è fatta tanta confusione sulle competenze: virologi, epidemiologi, igienisti…

L’epidemiologo Pier Luigi Lopalco rivendica il ruolo degli “esperti” per scongiurare la confusione e la babele dei linguaggi: non si può far parlare di vaccini in tv una soubrette o un dj.   In una intervista sul ruolo degli intellettuali alla rivista online beemagazine il prof Cacciari chiama in causa i virologi.  Quale commento si sente di fare? Gli intellettuali cui si riferisce nell’articolo citato sono principalmente pensatori di scienze umane. Ha ragione Cacciari quando dice che il ruolo dei virologi in questo contesto è effimero e strettamente legato alla situazione pandemica.   Secondo lei, i virologi svolgono una funzione da intellettuali, cioè non solo di tecnici del ramo ma anche una funzione di orientamento dell’opinione pubblica? Nel senso stretto della parola, si. I virologi sono intellettuali. Usano appunto l’intelletto per svolgere i loro compiti quotidiani di studio e ricerca. Se parliamo di orientamento dell’opinione pubblica, certo, sono loro che dovrebbero indirizzare la classe politica e l’opinione pubblica. Ovviamente limitandosi strettamente ai temi di propria competenza.   Durante la fase acuta della pandemia, e ancora oggi, i virologi sono stati i protagonisti della comunicazione, ma il cittadino ha anche notato, e sofferto, una certa babele di linguaggi. Come lo spiega? Tanta diversità di posizioni non fa a pugni con il discorso scientifico che non dovrebbe avere declinazioni così divergenti? Innanzi tutto si è fatta una grossa confusione sulle specifiche competenze. Il virologo, l’epidemiologo, l’igienista, l’infettivologo sono stati compresi in un unico calderone di ‘esperti’ quando invece le loro competenze specifiche sono assai diverse.   E quindi? Purtroppo, davanti all’ebbrezza della comunicazione pubblica, molti esperti hanno anche fatto l’errore di travalicare i limiti delle proprie competenze e hanno creato confusione nel pubblico. A questo si aggiunge il problema della comunicazione dell’incertezza, tema assai difficile.   Può sviluppare questo concetto dell’incertezza? L’incertezza

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Covid, Bassetti a Cacciari: parla di cose che non conosce. Replica al filosofo che aveva chiamato in causa i virologi

Intervista  Professor Bassetti che cosa risponde a Cacciari? Ho un grandissimo rispetto per il professor Cacciari come filosofo ma non quando parla di cose che non sa, come vaccini, green pass e argomenti affini. Quando il prof Cacciari dice quelle cose che ha detto in tv non fa il bene dei cittadini, perché parla di problematiche che non conosce. Sono affermazioni che un filosofo, un intellettuale non dovrebbe fare, perché non è il suo mestiere, non è una materia che conosce, e di fatto disorienta l’opinione pubblica.   Gli sta dando il consiglio che diede Apelle al calzolaio?: sutor ne ultra crepidam (calzolaio non andare oltre la scarpa, ma parla delle cose che sai)? Se vogliamo metterla così, il senso è proprio quello. In italia, si dice spesso, ci sono 60 milioni di commissari tecnici di calcio, ora  rischiamo di avere 60 milioni di virologi che parlano e sparlano di cose che non sanno e terrorizzano la gente, in ogni caso aumentano la confusione.   Però non può negare che quando parlano i virologi, che invece sanno, la gente ha notato, e sofferto, una certa babele di linguaggi Questa babele, come lei la chiama, c’è stata forse nella prima fase della pandemia, è vero. Ma nella seconda fase c’è stata una certa omogeneità di posizioni sulla linea da seguire per fronteggiare il covid e le sue conseguenze.   Ma il discorso scientifico non dovrebbe essere abbastanza univoco, o, detto in altre parole, non dovrebbe evitare declinazioni così divergenti, com’è successo in alcuni casi? Glielo dicevo prima: queste dissonanze ci sono state più nella prima fase della pandemia. Ma aggiungo: chi fa scienza, chi fa medicina è sempre davanti al dubbio. Noi poi cerchiamo di diradare i dubbi per approdare a conclusioni certe. Ma vivaddio, è bene che i dubbi li

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Evidenza

Legge elettorale, Lauricella «Servono clausole che spingano alla coalizione. Nella prossima legislatura si accentuerà la centralità del Governo»

Premetto che non credo che – di per sé – ridurre il numero dei parlamentari generi un vulnus alla rappresentanza. Di contro, le motivazioni che hanno condotto alla riforma mi lasciano profondamente perplesso, perché non solo non risolvono il tema dei “costi della politica” ma, soprattutto, rivelano uno scarso senso delle istituzioni e della stessa democrazia. Un dato è certo: la democrazia costa più di un sistema autoritario e su tale assunto è inaccettabile la logica del risparmio. Un’ipocrisia che ha riguardato anche il finanziamento pubblico ai partiti. Peraltro, il taglio del numero dei parlamentari non garantisce la qualità della rappresentanza. Questa dipende da chi forma le liste elettorali che, almeno fino ad oggi, ha perseguito e preferito la logica della “fedeltà” dell’eletto più che quella della “qualità” e della “dignità” della funzione del parlamentare. E in un sistema con un numero più contenuto di parlamentari tale criterio rischia di essere ancor più accentuato. Dirò di più: persino le liste bloccate avrebbero potuto (e potrebbero) essere un eccezionale strumento di selezione del parlamentare, ma in larga misura non è stato sfruttato in tal senso. Anzi, a volte è servito per sostituire un parlamentare non fedele, seppur competente, con un fedele acritico. Oggi la riforma è passata e non poteva che essere questo il risultato del referendum, alimentato soltanto dal senso di sfiducia e di “rivalsa” dell’elettorato rispetto alla classe politica. Dunque due interventi parlamentari – prioritariamente – si impongono: la modifica dei regolamenti parlamentari, per adeguarli alla nuova struttura parlamentare, e (almeno) la definizione dei collegi e delle circoscrizioni. Quanto alla legge elettorale, non ritengo che vi sia una essenziale connessione con l’esito della riforma. L’unica connessione che si ravvisa riguarda l’allungarne i tempi di discussione e approvazione, atteso che gli stessi parlamentari sono consapevoli della inevitabile sorte di un

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Ambiente

G20 di Roma e Cop 26 di Glasgow, i problemi lasciati aperti

Con il G20 di Roma e poi con il COP26 di Glasgow, la lotta ai cambiamenti climatici si è trovata al centro dell’attenzione, anche spinta da considerazioni geopolitiche sul rinnovato ruolo dell’Italia nel contesto globale. Per comprendere la reale portata della posta in gioco è necessario accennare alle conseguenze socio-economiche del veloce e repentino innalzamento della temperatura del globo, nonchè richiamare le norme, e i vincoli, internazionali che dovrebbero limitare tali conseguenze nei prossimi anni. Ne parliamo con il prof. Francesco Bruno, ordinario di diritto ambientale presso l’Università Campus Bio-medico di Roma. Cosa è emerso dai principali consessi internazionali che si sono tenuti in questo periodo? La comunità scientifica, più o meno unanime, ritiene che il riscaldamento globale, avrà un impatto sulla produzione industriale, che dovrà essere ridotta e delocalizzata in molte aree che non saranno più adatte come territori e climi di riferimento. Gli organismi internazionali stimano una diminuzione del prodotto interno lordo annuale per i maggiori paesi industrializzati, tra i quali l’Italia, tra il 5 e il 10 per cento a partire dal 2030. I cambiamenti climatici avranno delle conseguenze a livello globale sulla produzione di cibo e la sicurezza alimentare, soprattutto nelle aree in cui già attualmente fame e malnutrizione sono frequenti. Quali saranno le regole da adottare per prevenire o contrastrare i cambiamenti climatici? Il sistema adottato dalla comunità internazionale è articolato ed intricato e contrappone i paesi del G7 e le nazioni che negli ultimi 20 anni hanno raggiunto dimensioni economiche paragonabili ad Usa e Ue che sono attualmente i maggiori inquinatori del pianeta. Tutto nasce dall’accordo- quadro del 1992 che, per valutare i passi in avanti fatti dai vari Stati, ha previsto che ogni anno siano organizzati  incontri internazionali formali sul cambiamento climatico. Con l’ultimo COP 26 non sono stati fatti sostanziali passi in

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Evidenza

Il Covid e il Potere

Per il Potere il pericolo esterno è stato sempre croce e delizia. Croce, perché si combatte all’insegna della “mors tua, vita mea”. O si uccide o si è uccisi. Ma al tempo stesso delizia perché il pluralismo istituzionale caratteristico delle democrazie liberali si attenua e il Potere si concentra in pochissime mani. A più forte ragione ciò vale per il Covid. A più forte ragione perché il Covid non rappresenta un pericolo esterno ma molto di più. Difatti è entrato nella nostra cittadella standosene nella pancia di un nuovo cavallo di Troia. E già che è tra noi, con astuzia sopraffina si è mimetizzato. Pensate, ha assunto perfino le sembianze del nostro fratello, del nostro più caro amico, del conoscente dal quale non si ha nulla da temere. Come nelle pellicole cinematografiche di spionaggio, il Covid ti può aggredire alle spalle. Mentre cammini sul marciapiede con tanto di mascherina e badando alla distanza dal tuo prossimo, senti il fiato sul collo del ciclista che pedala standosene bel bello sul tuo marciapiede o, peggio, senti il fiato sul collo di chi fa un salutare podismo, ma – guarda un po’ che strano – è esentato dal portare la prescritta (per i comuni mortali appiedati) mascherina. Orbene, tutti costoro sono per noi dei pericoli pubblici numero uno. Perché senza volerlo possono contagiarti, mandarti all’ospedale in terapia intensiva o addirittura spedirti all’altro mondo. A volte penso che in questa guerra – perché con buona pace dei formalisti che spaccano il capello in quattro, di vera e propria guerra si tratta – ci siano delle anime belle (si fa per dire…) che si comportano come quegli intellettuali dei miei stivali che tanto tempo fa dichiaravano la loro equidistanza sia dallo Stato sia dalle Brigate Rosse. Finché Rossana Rossanda non ebbe l’onestà intellettuale di scrivere sul

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