“L’attuale filiera del nucleare di terza generazione – senza parlare della quarta e della fusione nucleare che non esistono ancora – è considerata la più sicura di tutte le filiere energetiche. Lo dicono i dati scientifici”. Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed economia dell’energia e di impianti nucleari all’Università di Padova, nonché responsabile Energia e Ambiente di Azione di Carlo Calenda, analizza con Beemagazine la vicenda dell’operaio contaminato da plutonio nel centro Enea di Casaccia: “Da quanto si capisce, probabilmente ha inalato una piccola quantità durante la svestizione. Grazie alla somministrazione di chelanti non corre pericoli ma sarà sottoposto a monitoraggio costante. È giusto che la vicenda sia stata messa in risalto dalla stampa, ma le procedure sono accurate: non parliamo di controlli a campione ma sistematici. L’importante è che sia stato individuato subito. In questa vicenda Sogin (ossia la società di Stato incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ndr) ha rispettato tutte le procedure”.
Professore, cosa è successo al centro ricerche Enea di Casaccia a Roma? E che pericoli corre l’operaio contaminato?
Anzitutto, si può parlare di incidente quando c’è qualcosa che coinvolge il cattivo funzionamento di un impianto. A quanto si legge sui giornali, comprese le dichiarazioni dell’ad Sogin Gian Luca Artizzu, non è escluso che la contaminazione sia accaduta durante una manovra di svestizione dell’operaio dagli indumenti protettivi.
Un errore umano, quindi?
Non è nemmeno detto. A volte c’è un’inalazione togliendo gli indumenti. Da quanto si capisce è stata riscontrata la presenza di plutonio nella mucosa nasale, probabilmente è stato respirato. In caso di ingestione di metallo radioattivo la procedura prevede la somministrazione di pastiglie contenenti dei composti chimici – si chiamano chelanti – che lo fanno espellere tramite feci o urina. Non si sa la quantità ingerita, ma è stata piccola: l’espulsione è la procedura normale poiché un lavoratore a contatto con elementi radioattivi è sottoposto a controllo costante.
L’operaio corre rischi?
Sta bene, è sotto osservazione e sarà sottoposto a controlli periodici per mesi. L’importante è che sia stato individuato subito, a fine turno. Grazie alla piccola dose ingerita e ai chelanti non corre pericoli. È giusto che la vicenda sia stata messa in risalto dalla stampa, ma le procedure sono accurate: non parliamo di controlli a campione ma sistematici, di un monitoraggio costante per evitare anomalie che sebbene rare possono accadere. L’importante è che vengano scoperte immediatamente.
Al di là del singolo caso e del fatto che le procedure di controllo funzionano, oggi la tecnologia nucleare può dirsi sicura?
Assolutamente sì, lo dicono i dati scientifici. L’attuale filiera del nucleare di terza generazione – senza parlare della quarta e della fusione nucleare che non esistono ancora – è considerata la più sicura di tutte le filiere energetiche. Lo sostiene il rapporto del Centro comune di ricerca (CCR) redatto per dalla Commissione europea nell’ambito della tassonomia europea. Non c’è nessuna prova scientifica che il rischio per l’uomo e per l’ambiente sia superiore rispetto alle altre fonti tassonomiche, cioè le energie rinnovabili.
Scusi, significa che le vittime e i danni di un incidente – ad esempio – ad una centrale idroelettrica sono comparabili con quelli di un guasto a una centrale nucleare, vedi Chernobyl che è fissato nella memoria di una generazione?
Tuttavia: l’ambiguità non rimane un fattore di preoccupazione?
La percezione dell’opinione pubblica, però, ma anche di parte dei media e della politica, è molto diversa.
In Italia si è acceso il dibattito per individuare il luogo in cui costruire un deposito nazionale di scorie radioattive. Nessuno dei territori individuati lo vuole, ci sono mobilitazioni degli abitanti. Sindrome Nimby o comprensibile preoccupazione?
In Italia però il temporaneo diventa facilmente definitivo: si possono biasimare le aree magari agricole o turistiche che non li vogliono?
Se il problema fosse questo, questi contenitori si potrebbero portare di nuovo nelle centrali da cui provengono. La loro destinazione finale resta un deposito geologico di profondità, che secondo la direttiva europea potrebbe anche essere in un altro Paese europeo, a seguito di un accordo per la costruzione di un deposito condiviso tra due o più Paesi. Ad esempio si potrebbe trovare un accordo e pagare una tariffa di conferimento alla Finlandia, che ne ha già uno, e portarli lì. Personalmente non escluderei di costruirne uno in Italia, risparmiando quell’esborso o persino incassando noi la tariffa di conferimento, perché è un business interessante, ma ogni scelta è legittima.
Tolte le scorie ad alta attività, quelle a bassa intensità non comportano pericoli?
I rifiuti sia ad alta che a bassa attività sono inerti, inglobati in una matrice di vetro (i primi) o di cemento (i secondi). Non comportano pericoli per l’agricoltura: in Francia le centrali nucleari (dove pure vi sono processi attivi) sono circondate dai vigneti di vini pregiati e il deposito sarà nell’area dello Champagne. Nei depositi gli incidenti sono impossibili: la radioattività si riduce rapidamente quando ci si allontana dalla sorgente: ci sono principi fisici che impediscono la radioattività fuori dal deposito: tanto è vero che gli strumenti non la misurano.
Federica Fantozzi – Giornalista