Il Covid e il Potere

Per il Potere il pericolo esterno è stato sempre croce e delizia. Croce, perché si combatte all’insegna della “mors tua, vita mea”. O si uccide o si è uccisi. Ma al tempo stesso delizia perché il pluralismo istituzionale caratteristico delle democrazie liberali si attenua e il Potere si concentra in pochissime mani. A più forte ragione ciò vale per il Covid. A più forte ragione perché il Covid non rappresenta un pericolo esterno ma molto di più. Difatti è entrato nella nostra cittadella standosene nella pancia di un nuovo cavallo di Troia. E già che è tra noi, con astuzia sopraffina si è mimetizzato. Pensate, ha assunto perfino le sembianze del nostro fratello, del nostro più caro amico, del conoscente dal quale non si ha nulla da temere. Come nelle pellicole cinematografiche di spionaggio, il Covid ti può aggredire alle spalle.

Mentre cammini sul marciapiede con tanto di mascherina e badando alla distanza dal tuo prossimo, senti il fiato sul collo del ciclista che pedala standosene bel bello sul tuo marciapiede o, peggio, senti il fiato sul collo di chi fa un salutare podismo, ma – guarda un po’ che strano – è esentato dal portare la prescritta (per i comuni mortali appiedati) mascherina. Orbene, tutti costoro sono per noi dei pericoli pubblici numero uno. Perché senza volerlo possono contagiarti, mandarti all’ospedale in terapia intensiva o addirittura spedirti all’altro mondo.

A volte penso che in questa guerra – perché con buona pace dei formalisti che spaccano il capello in quattro, di vera e propria guerra si tratta – ci siano delle anime belle (si fa per dire…) che si comportano come quegli intellettuali dei miei stivali che tanto tempo fa dichiaravano la loro equidistanza sia dallo Stato sia dalle Brigate Rosse. Finché Rossana Rossanda non ebbe l’onestà intellettuale di scrivere sul “Manifesto” che le (tutt’altro che sedicenti) Brigate Rosse altro non erano che pagine di un albo di famiglia. Per non fare nomi e cognomi, dell’album della famiglia comunista. Ecco, le sullodate anime belle, in nome di una presunta libertà, non solo non hanno più messo le mascherine e non hanno prestato attenzione al contagio, ma si sono riversate nelle piazze per manifestare contro i vaccini e contro il lasciapassare verde. Addirittura con la sfacciata pretesa che fossimo noi contribuenti a pagargli i tamponi.

Che questa società civile ormai sia ridotta ai minimi tempi, lo sapevamo da gran tempo. L’ignoranza è tale che si abbracciano teorie antiscientifiche come fossero vangelo. Con il rischio che a vincere non si sia noi che facendoci inoculare il vaccino cerchiamo di metterlo fuori combattimento, ma quelli là, disertori che fanno il tifo per il nostro nemico. Si dice che la classe politica è lo specchio fedele nel bene e nel male della società civile. Verissimo. Ma è proprio questo il guaio.

Oggi più che mai ci vorrebbe una classe dirigente di una spanna superiore alla sullodata società. E una rondine come Mario Draghi non fa da sola primavera. Perciò è da biasimare quello spicchio di classe politica che, per ingraziarsi contestatori che peraltro non voteranno mai per lor signori, fa loro l’occhiolino con il bel risultato di perdere l’elettorato moderato che ha la testa sul collo.

Dopo la croce, ecco la delizia. Sì, è vero, il Potere si è concentrato in poche mani. Ma questo già accadeva da tempo. Difatti il potere legislativo perde colpi di continuo nei riguardi del potere esecutivo, che nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama fa il bello e il cattivo tempo da quando legifera a colpi di decreti legge e pone di continuo la questione di fiducia su maxiemendamenti che interrompono qualsiasi discussione. Il fenomeno si è accentuato con il Covid.

Il Parlamento ha rischiato di chiudere i battenti a causa del virus ed è stato merito dei presidenti delle Camere di essersi opposti a un esito del genere. E i governanti si sono ridotti a due: gli inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi. Tanto più è intervenuto Mattarella, quanto più la compagine ministeriale, figlia di una partitocrazia allo stremo, dimostrava tutta la propria insufficienza.

In tali frangenti un professore universitario spuntato per caso dai ranghi universitari ha assommato in sé gran parte del potere e ha governato con i chiacchieratissimi decreti del presidente del Consiglio per carità di Patria giudicati conformi alla Costituzione dalla Consulta. Batti e ribatti, anche per Giuseppe Conte sono arrivate le Idi di Marzo. Indossando le penne del pavone, Matteo Renzi se n’è attribuito il merito. In realtà Pd e Cinque stelle hanno finito per non sopportare più la propria irrilevanza e sono stati ben lieti di servirsi del Machiavelli fiorentino in formato sedicesimo per il cosiddetto lavoro sporco.

Con Mario Draghi si è verificata una evoluzione delle nostre istituzioni. Come nel Regno Unito, abbiamo un governo del Premier contornato da una squadra di tecnici di propria fiducia, e cioè l’Inner Cabinet britannico, e da ministri designati dai partiti ma senza più l’arroganza di una volta. E Mattarella svolge una funzione diversa da prima. Mentre ammoniva e metteva in guardia Conte dai passi falsi, adesso con Draghi si è ritagliato la parte di Elisabetta d’Inghilterra. Per parlare parla, eccome se parla. Ma parla soprattutto ai suoi concittadini, indicando loro la diritta via. Mentre a Draghi tutt’al più sussurra all’orecchio, nella consapevolezza che Palazzo Chigi per ora è in buone mani.

*professore ordinario di Diritto pubblico comparato

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