Intellettuali, quale ruolo nella società di oggi. Intervista a Massimo Cacciari

D –Sugli intellettuali, da Aron a Gramsci, si sono dette e scritte tante cose. Ma per cominciare da una questione preliminare, definitoria: oggi chi sono gli intellettuali? Che cosa caratterizza questa figura?

R – Intellettuale è semplicemente colui che usa l’intelletto per fare al meglio possibile ciò di cui è capace, ciò che ha studiato per esser capace di fare. ci sono tante specie di intellettuali quante sono le forme del fare.

D – Con il tramonto delle ideologie, è tramontato anche il ruolo degli intellettuali?

R -Ideologia e intellettuale fanno a pugni. Ideologia è mistificare la realtà in vista di ottenere fini particolari; chi usa l’intelletto deve prima di tutto conoscere la realtà e rappresentarla per come la conosce, senza guardare in faccia nessuno. Lavoro intellettuale, in ogni campo, significa anti-retorica, anti-populismo e anti-ideologia.

D – Di solito l’intellettuale è stato visto all’interno del rapporto tra cultura e politica. Gramsci teorizzò la figura dell’intellettuale organico, che doveva servire a esercitare e a far conquistare l’egemonia culturale nella società. Ha spazio oggi una tale figura?

R – Gramsci aveva in mente il lavoro intellettuale all’interno dell’organizzazione politica di massa. È una specie del lavoro intellettuale, quello politico. Gramsci sapeva che non si dà prassi politica efficace che non sia orientata strategicamente e che non ricerchi un consenso di massa intorno alle idee che la sostengono. In un’epoca in cui il Politico si riduce all’esecuzione amministrativa di “leggi” tecnico-economiche globali questo ruolo del lavoro intellettuale svanisce per forza.

D – Elio Vittorini, già negli anni Cinquanta, protestò contro questa figura di intellettuale organico, dicendo che lo scrittore non doveva ‘’suonare il piffero alla rivoluzione’’, di qui la rottura con Togliatti e l’uscita dal Pci.  Jules Benda, con ‘’ Il tradimento dei chierici’’ disegnò una figura dell’intellettuale che non tradisce ed è custode dei valori. Nel tempo presente, ha più senso e spazio la linea di Gramsci, di Vittorini, o di Benda?

R – L’intellettuale di cui Benda e gli altri parlano non deve suonare nessun piffero, è evidente – o nessun piffero in mano ad altri…

D – Al tempo della pandemia, non crede che i virologi, peraltro nella discordia più completa, sostenendo tutto e il contrario di tutto, hanno esercitato una funzione, sia pure provvisoria, di orientamento del cittadino sempre più confuso? In un certo senso, non si sono comportati da intellettuali abusivi?

R – l’egemonia di lavori intellettuali specifici, come quello, per dire, dei “virologi” è breve e precario per propria natura. Nessun specialismo può governare la strategia politica di un Paese. Se si dichiara l’emergenza perenne (evidente ossimoro) si dichiara la trasformazione dello Stato – non del lavoro intellettuale – in senso autoritario.

D – Per i tempi confusi di oggi, come dovrebbe essere un intellettuale?  Di tipo illuminista, per diradare la nebbia che avvolge il linguaggio, la comunicazione, le scelte politiche? O più una guida morale, che faccia riscoprire l’etica del dovere, il senso del diritto, del dialogo?

R – Il lavoro intellettuale, in ogni campo, ha come proprio valore la responsabilità – il dovere di dire le cose come stanno, come si è convinti stiano, fino a prova razionale contraria, il dovere di non cadere mai in settarismi o dogmatismi, il dovere di costruire il proprio punto di vista attraverso la pubblica discussione.

D – Qual è il rapporto tra gli intellettuali e i social?

R – Il rapporto è inevitabile – ma deve essere critico, come qualsiasi altro.

D – C’è chi paragona lo storico Alessandro Barbero a Sartre, un moderno maitre à penser. Lei che ne pensa?

R – Paragoni privi di ogni buon senso.

 

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