Forse sbaglierò, ma credo che non si siano mai registrati tanta partecipazione e così tanto manifesto dolore per la fine tragica di una donna, quanto per la morte della giovanissima Giulia. Il suo viso ancora bambino, i suoi atteggiamenti adolescenti, il suo brillante traguardo di studi, sono entrati nelle nostre case e hanno lasciato un segno. Profondo. Come a sostenere l’ impossibilità di un gesto cruento, bestiale, nei confronti di un’anima così gentile, fragile. Credo mai come ora, discussioni tanto accese, anche se talvolta con cadute di stile per alcuni inutili tratti di ideologismo o per appartenenza politica, continuano a succedersi su testate giornalistiche, trasmissioni televisive, nelle piazze o nelle sedi istituzionali dalle scuole, alle Università, ai luoghi del potere politico. Il tema della violenza sulle donne, portato all’estremo inconcepibile dell’assassinio, ci interessa tutti, ma riguarda soprattutto il mondo maschile, quel mondo che dopo millenni di impostazioni di ruoli definiti, certi, che non si modificavano se non con timidi o intelligenti compromessi vede, da pochi decenni, una mutazione nel rapporto uomo-donna; si registra, infatti, un capovolgimento di funzioni, di capacità e di raggiungimento di obiettivi sociali ed economici che appartengono alle donne e non solo o non più, come in alcuni casi accade, agli uomini. Il terreno di sicurezza, di stabilità che non poneva in discussione equilibri, negli ultimi 50, 60 anni è saltato e il genere maschile non è ancora pronto ad accettare la rivoluzione sociale in atto; una condizione mutata che alimenta vertiginosamente incomprensioni, scontri, violenze per incapacità di gestire un rifiuto o un abbandono. Uomini di ogni classe sociale e di varie appartenenze culturali agiscono violenza nei confronti delle proprie compagne, o ex, e nella maggior parte dei casi vengono definiti dall’esterno educati e impegnati sul lavoro, affidabili padri di famiglia, cortesi nelle