“Ecocene, per un postumano tecnopolitico o ecopolitico?”

"L’era ecologica dell’egualitarismo ecosistemico"

Il corposo saggio “Ecocene, per un postumano tecnopolitico o ecopolitico?” di Santa De Siena, ed. Orthotes, Napoli- Salerno, pp 363, prende le mosse da una delle domande più intriganti del dibattito filosofico di sempre, dal sapore teleologico perché il Dove andiamo, il dove siamo diretti? è ciò che riguarda il fine ultimo dell’esistenza umana.

A tale problematica, affrontata con estrema cura, con approfondimenti, ricchezza di punti di vista e citazioni fondanti sia di carattere squisitamente filosofico, che di carattere scientifico e tecnologico, la nostra autrice, docente di Filosofia che si è occupata di epistemologia della complessità, di biopolitica, di estetica e di eco cittadinanza, sostiene una tesi che risolve l’interrogativo del titolo del lavoro con una risposta non modernista, e del tutto condivisibile.

Se il non-luogo verso cui siamo diretti è quello dello sviluppo ad libitum, quello del progresso tecnologico senza riserve, se la nostra è l’era dell’estremo, quella di una realtà aumentata fino a toccare un punto ultimo dove il contatto si sposta continuamente, resta lontano, perde distanza e se, come si prevede, saremo costretti a parlare e pensare in termini di Post-umano, anche nel significato di apertura alla fine dell’umano, la questione riguarda la scelta tra il tecnopolitico e l’ecopolitico perché non siamo davanti ad un cambio di paradigma, ma di civiltà.

Dovremo preparare, allora, il passaggio dall’evoluzionismo tecnologico dell’Antropocene, allo sviluppo ecologico dell’egualitarismo ecosistemico dell’Ecocene.

Non c’è dubbio, l’opzione preferita è la seconda. Perché se il progresso tecnologico si volesse leggere come irreversibile, non per questo dovrà essere soverchiante.

Ci si chiede, allora, se si stabilizzerà la dicotomia tra technè e humanitas, oppure se si può tendere ad una possibilità di risoluzione olistica che riassuma in un unicum i due paradigmi evitando la subordinazione, la condizione misera di assoggettamento dell’uomo alla tecnica.

E se ciò può essere pensabile, chi sarà il soggetto capace di fornire una soluzione possibile?

Ed è nella risposta della nostra   autrice che trovo si risolva in modo estremamente interessante la riflessione sul tema.

Santa si interroga e ci interroga, dal mio punto di vista come argomentazione essenziale, sullo sguardo e sul modus con cui il soggetto femminile abita il mondo. La sua non è una scelta femminista tout court, ma femminile. Non concorda con il modello cyberfemminista secondo cui “sia la procreazione il principio su cui si basa la dipendenza dall’uomo. Le tecniche di bioingegneria sottrarrebbero, alla   perpetuazione delle strutture socio-economiche dettate dal patriarcato che hanno storicizzato le identità femminili nei ruoli di genere” e nel rapporto binario donna/madre, liberando, così, la donna dalla subordinazione all’uomo.

Se, però, la procreazione assistita, nell’ottica del progresso scientifico da assecondare ciecamente, libera dalla dipendenza dall’uomo perché consente di compiere un atto di autodeterminazione, assoggetta, al contempo, ad una pratica economicistica del neo-liberismo. Come dire: le donne non dipenderanno più dai dettami naturali, ma dalla tecnica bioingegneristica che consente di reiterare, sotto altra forma, dipendenze e ingiustizie sociali.

E pur accogliendo le suggestioni provocatorie delle nuove filosofie vitalistiche e accelerazionistiche del post e transumanesimo, tuttavia ritengo un azzardo affidare alla scienza applicata i destini e la cura del vivente”.

Torniamo, dunque, allo sguardo femminile, al “soggetto differente”, alle “ differenze del soggetto” con tutte le implicazioni di significato del termine soggetto.

La risposta, dicevamo, è non solo nel femminile, nello sguardo sul mondo, ma nella natura del femminile.

“Mentre l’approccio tipicamente maschile pone l’esigenza di smontare l’io   per accogliere l’altro, al contrario il pensiero femminile  della differenza  non ha  affatto bisogno di aprire ad altre modalità  offerte dall’alterità, è già di per sé un pensiero relazionale, un pensiero genesico e ospitante perché nasce dall’esperienza della relazione”.

Condividiamo la posizione della Zamboni che intravede nella differenza una condizione non di negatività, ma un accrescimento di potenzialità.

Dunque, solo in questa ottica si può aprire ad un ecosistema della relazione, dell’ascolto, del linguaggio cosciente, o inteso come dono, un ecosistema che pluralizza il soggetto e diviene post-umano nel senso più nobile, nel senso di una rilettura del soggetto che interagisce non solo con gli esseri pensanti, ma anche con i “comportamenti o azioni svolti da  apparati cognitivi semplici o complessi messi in  atto da sistemi neuronali presenti nei vegetali e negli animali”.

Un sistema che sconfessa la superiorità della cybernetica e che rimanda all’essere umano e nello specifico a quello femminile, capace di aprirsi al mondo sociale, alla natura, all’altro da sé.

Perché è già in essere in questo soggetto l’ecologia della differenza,  la capacità di aprire l’uno al molteplice nell’essere donna. Ancora una volta l’accento è sul femminile, non sul femminismo.

Ecco, dunque, come può nascere l’ Ecocene, l’era ecologica dell’egualitarismo ecosistemico.

Dal qui al dopo, all’oltre, con una attesa pacificante, una speranza.

È questa la risposta di Santa all’interrogativo posto nel titolo del suo ultimo denso e nutriente lavoro.

È la risposta ad un interrogativo filosofico di primaria importanza a cui si accompagnano, nonostante la ricchezza dell’elaborazione tematica, uno stile piano e un lessico chiaro, privo di superflui equilibrismi, ma penetrante, scientifico e accattivante insieme.

 

Rita Rucco Docente – Direttrice della collana editoriale Pluriverso femminile Milella

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