Sulla natura della poesia. E su certi dittatori che scrivevano poesie

Dopo il libro di Sonia Giovannetti, “La poesia, malgrado tutto”, recensito il 4 settembre, un intervento di Rita Rucco, che peraltro dirige una collana di narrativa, saggistica e poesia, “Pluriverso femminile”

La poesia è con-fusione. “Se ti bisbiglia un fruscio in mente e non l’annoti/ non cede il passo a parola alcuna”, scrive Valeria Serofilli. Ti spegni la finestra al mondo, ti neghi a quella voce che non dice, ma che diventa canto dolcemente, aggiungo.

Sì, il Poeta è sollecitato da un bisbiglio che non tace mai, da una voce interiore che ha urgenza di essere esplicitata, ma ciò che “ditta dentro” non è pienamente esprimibile con la parola e ciò che si dice può apparire una finzione: “Il poeta è un fingidor, finge cosi completamente/ che arriva a finger ch’è dolore/ il dolore che davvero sente”. Così il poeta portoghese Fernando Pessoa con i suoi tre eteronimi, esprime i suoi tre alter ego: 1- il poeta che dice; 2- il poeta che pensa di dire ciò che pensa; 3- il poeta che pensa che ciò che pensa sia vero.

 

 

 

Si giunge, dunque, a non distinguere il reale dal sogno, il passato dal presente e dal futuro, si confondono i piani del razionale e del metafisico in una nebulosa che nega distinzioni, che annulla i limiti. E ancora: “I poeti, che brutte creature/ogni volta che parlano è una truffa” (F. De Gregori, Le Storie di ieri, Rimmel, 1975), sono, questi, i versi che accolgo come una provocazione per riflettere, brevemente, sul rapporto fra poeti e poesia. La suddetta citazione è la conclusione del verso: “Mussolini ha scritto anche poesie”.

Aggiungiamo che non solo il dittatore-Mussolini ha scritto poesie, nello specifico poesie religiose, di cui una su Gesù Cristo, ma anche Nerone, allievo del grande Seneca, anche Stalin scriveva liriche alla luna e ai boccioli di rosa, mantenendo, in seguito, un rapporto privilegiato con poeti ed artisti. Khomeini ha scritto poesie di amore mistico. Ricordiamo ancora che Hitler ha coltivato il sogno della pittura e della musica.

 

 

 

Allora la domanda è: “I dittatori sono artisti falliti”? Siamo convinti che oltre a questi nomi, altri uomini e donne malvagi, altri dittatori scrivono, hanno scritto, scriveranno poesie. Perché? Perché anche quando il Male si presenti come Assoluto all’esterno, in verità una distinzione manichea tra Bene e Male è impossibile in quanto ciascuno di noi cerca, e talvolta, trova, la propria illuminazione, la propria Bellezza, la propria rivelazione nel dire poetico. Perché la parola, la musica, le forme più astratte e più universali dell’espressione del mondo interiore, diventano carne e sangue. Si incarnano ferendoci, o forse assolvendoci.

E allora la Poesia è la Bellezza che si palesa. È la Verità di un attimo, il varco dal dolore, il medicamento lenitivo, la ribellione, l’impegno, l’illusione di arrestare la fugacità del Bene e del Male. La poesia è con-fusione col mondo esterno attraverso i sensi che con esso ci mettono in comunicazione. La Poesia è sentire insieme, è pensare oltre i limiti, le convenzioni, le banalità. E in questo sentire interviene la ap-percezione, ovvero la coscienza della percezione, del sentire stesso che consente di dare un senso oltre i cinque sensi e di offrire un significato differente a ciascun lettore… Perché, dopo l’atto di vanità del dire, di chi dice, si aprono letture e interpretazioni che chi legge fa proprie, oppure rifiuta le sensazioni le illuminazioni, le dolcezze, le bellezze o le riflessioni altrui.

Dunque la provocazione iniziale si stempera, si risolve, o almeno si può risolvere così: ben vengano le dolcezze, le bellezze dei versi, anche di quelli di Mussolini, di Stalin e di Nerone, di altri uomini e donne perversi e/o destabilizzanti. Ben vengano perché, anche se sono solo un granello di sabbia in un deserto o un unico fotone nell’universo, testimoniano comunque di un mondo sommerso che in seguito “si disperde coi suoi canti”; testimoniano di un amore per il dis-amore, di una parola amorevole rivolta all’altro per indurlo ad essere più umano, come vuole Ungaretti.

 

 

 

Ben vengano i fruscii, i bisbiglii, le finzioni poetiche perché la poesia è il vestito buono dell’anima che talvolta veste, scomodamente, anche il Male. La poesia, allora, è farsi Umanità.

 

Rita Rucco – Docente di lettere – Direttrice di Pluriverso femminile, collana di saggistica, poesia e narrativa, edizioni Milella

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