Scajola: Forza Italia sia una casa più grande per moderati e riformisti

Parla l’ex coordinatore azzurro degli anni d’oro, oggi sindaco di Imperia: "Con Tajani si sta tornando ai valori fondativi. Meloni è una leader che guida la Destra Repubblicana, il progetto di Salvini non ha avuto successo. Dissi a Berlusconi di non giocare la partita per il Quirinale"

Claudio Scajola, oggi sindaco di Imperia, deputato azzurro per quattro legislature, è stato coordinatore nazionale di Forza Italia dal 1996 al 2001 e più volte ministro nei governi Berlusconi. Per Bee Magazine analizza il futuro del partito berlusconiano: “Sono fiducioso che con Tajani si stia tornando ai valori fondativi popolari, garantisti, liberali, europeisti, atlantisti. Bisogna dare una casa più grande ai moderati e ai riformisti che sono maggioranza”. Quanto allo spazio al centro lasciato dagli alleati, l’ex titolare del Viminale distingue: “Giorgia Meloni ha un profilo da leader, guida un partito di Destra Repubblicana lontano dalle origini e spero che prosegua in questo percorso”. Mentre “il progetto di Lega Nazionale di Matteo Salvini non ha riscosso successo”. Scajola, da ultimo, si dice favorevole al terzo mandato per governatori: “Chi parla di potentati cerca pretesti, i cittadini sono capaci di scegliere”.

Per un quindicennio cruciale lei ha avuto in mano la macchina organizzativa di Forza Italia. Che, per essere nato come “partito di plastica”, si sta dimostrando inaspettatamente resiliente.  Secondo lei, sopravviverà al suo fondatore?

Forza Italia era chiamata partito di plastica nella sua primissima fase, dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel ‘94. Poi il Cavaliere volle che mi impegnassi per dare a Fi la fisionomia di partito. Fu un grande cambiamento: introducemmo lo statuto, regole per le elezioni dei dirigenti locali. Rendendo l’iscrizione libera a chi si riconosceva nei valori popolari, garantisti, liberali, europeisti, atlantisti, arrivammo a tenere grandi assemblee con 200mila iscritti. Fu la “traversata nel deserto” che si concluse con il primo congresso nazionale di Assago e portò alla grande vittoria alle elezioni politiche del 2001.

Dopo l’età dell’oro, però, sono arrivate molte spine: vicende giudiziarie, fughe e diaspore, la salute del leader. Nell’ultimo decennio prima della morte di Berlusconi Forza Italia era un partito in declino. Può invertire la tendenza?

Negli anni c’è stata un’involuzione. Sono fiducioso e lieto di vedere che con Antonio Tajani si sta tornando ai valori fondativi e ad un partito più aperto. Ma sono cambiate le condizioni storiche: oggi bisogna aprire ad altri partiti e movimenti per dare casa ai moderati che anche per toni, modi e linguaggio sono maggioranza. Si tratta di dare casa al buon senso.

Il primo test saranno le Europee di giugno. É un progetto che può avere spazio al centro anche grazie alla linea di destra di FdI e Lega?

Bisogna fare un distinguo perché siamo in una fase di transizione politica. Giorgia Meloni ha un profilo da leader e lo sta dimostrando. Non ha scheletri nell’armadio, non è condizionabile e mostra capacità di governo. É molto diversa oggi da alcuni anni fa, quando era a capo dell’opposizione. La sua adesione alla linea atlantista ed europeista è distante dalle origini da cui nasce FdI. É un altro mondo: Meloni guida un partito di Destra Repubblicana e spero che prosegua in questo percorso.

Il passaggio della Lega Nord a partito nazionale invece è fallito?

Mi pare che il progetto di Lega Nazionale avviato da Matteo Salvini non abbia riscosso il consenso che si augurava, inoltre i suoi toni e atteggiamenti lo collocano su posizioni più estreme. In questo quadro c’è davvero bisogno di una casa comune per europeisti e moderati, per la tradizione e il rinnovamento, e per il riformismo.

Lei è sindaco di Imperia, la sua città, per il quarto mandato non consecutivo. Alla luce di questa esperienza che ne pensa dell’ipotesi di terzo mandato per governatori e primi cittadini che fa litigare Lega e FdI?

Sono diventato sindaco di Imperia a trent’anni, ero il più giovane d’Italia e oggi sono tra i più anzianotti, ma continuo a farlo con la piena convinzione di essere utile al mio territorio. Non condivido il limite ai mandati e premetto che vista l’età parlo in termini oggettivi – cartesiani direi – e non per interesse personale. Ma perché non dovrebbe essere il popolo a scegliere chi vuole?

L’obiezione è che, oltre un decennio, si creerebbero dei potentati sui territori. 

Ma quali feudi. In Sardegna i governatori uscenti sono sempre stati sconfitti, in Abruzzo anche fino al bis di Marco Marsilio. In Liguria il mio amico Sandro Biasotti non è riuscito a conquistare il secondo mandato, e nemmeno Francesco Storace nel Lazio. Quanto ai sindaci, cito Letizia Moratti, Gianni Alemanno, Virginia Raggi… Se Luca Zaia deciderà di tentare di nuovo, saranno i cittadini a promuoverlo o bocciarlo. Chi sostiene di voler evitare la creazione di potentati con il terzo mandato o non sa dove vive o cerca dei pretesti.

Lei è stato ministro dell’Interno e presidente del Copasir, che idea si è fatto dell’inchiesta di Perugia? È vero che nell’indagine che la vide coinvolto in Calabria con l’accusa di favoreggiamento alla latitanza dell’ex deputato Amedeo Matacena (per cui è stato condannato in primo grado e adesso è in Appello) l’ufficiale della GdF Pasquale Striano aveva un ruolo?

Striano era uno dei pilastri dell’indagine nel caso Matacena e Federico Cafiero De Raho era il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Mi rimane il sospetto che quell’inchiesta avesse l’obiettivo di “buttarla in caciara” e che con un processo mediatico si potesse eliminare un politico che faceva il suo lavoro.  In parte ci si è riusciti, anche se dopo anni in cui mi ero rinchiuso in me stesso la mia città mi ha eletto sindaco senza l’appoggio di nessun partito. E questo per me è stato il processo più importante.

Con Berlusconi vi conoscevate dal ‘95. Vuole condividerne un ricordo?

Ci sentivamo ancora una volta al mese più o meno. Accadde anche durante l’elezione del capo dello Stato che si concluse con il Mattarella-bis. Squillò il telefono, era lui, mi disse che gli serviva un consiglio. Risposi che ero fuori dai giri, ma replicò: “Tu sei sempre schietto. Mi spingono a fare il presidente della Repubblica e mi dicono che ci sono i numeri”. Non ebbi dubbi: “Sono cattivi consiglieri”. Berlusconi rimase in silenzio poi aggiunse: “Ma sono amici”. Io insistetti: “Diffida”. Dopo tre giorni ha incontrato degli amici veri e ha capito che non doveva giocare quella partita.

É stata l’ultima volta che l’ha sentito?

In realtà no, mi richiamò due mesi prima di morire proprio mentre cominciavo la campagna elettorale a Imperia. Coltivava l’idea di una Forza Italia di nuovo maggioritaria e mi invitò ad andarlo a trovare. Purtroppo non ho fatto in tempo.

 

Federica FantozziGiornalista

 

 

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