Berlinguer, Gramsci e quella lettera bloccata da Togliatti

A proposito di una trasmissione tv sui 40 anni dalla morte del segretario del Pci

Caro direttore,

Se Berlinguer è in continuità con Gramsci, perché non leggere la storia nel verso giusto? La puntata che è andata in onda su La7, la sera del 4 marzo, “La Torre di Babele” condotta da Corrado Augias, dal titolo “Cosa resta di Berlinguer?”, è stata un “soffio di bellezza” sotto tutti i profili.

In primis quello culturale, e quello storico e politico. Augias ha cercato, in alcuni momenti senza trattenere l’emozione, di presentare la figura di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, come uno degli ultimi politici autentici che abbiamo avuto sulla scena politica italiana, ed internazionale, che è riuscito a farsi amare dalla gente.

A farsi amare perché, come ha esordito Augias all’inizio della trasmissione citando un testo della canzone di Giorgio Gaber, “qualcuno era comunista, perché Berlinguer era una brava persona”. Perché ci metteva le emozioni, la passione. Era un uomo eticamente corretto. E proprio per la sua bontà e virtù, si conquistò il consenso popolare “delle masse”, come si diceva una volta. Berlinguer, il suo largo consenso se lo conquistò sul campo, pronunciava, ad alta voce, le parole Pace, Democrazia, e ribadiva l’idea dell’integrità morale per coloro che esercitano, ed operano, all’interno delle istituzioni democratiche.

Diceva, alle donne, ai giovani, ai lavoratori, alla classe operaia, ai pensionati, che “la meta è la costruzione di una società socialista, se vogliamo un mondo di pace, di giustizia sociale, di libertà e di fraternità fra tutti i popoli”. Lo faceva in un periodo storico, dove la destra fascista (che storicamente ritorna sempre “sul luogo del delitto”) stava approfittando del caos, politico ed istituzionale, per compiere l’assalto contro la democrazia. Ricordiamo i poteri occulti, i servizi deviati, la P2, il colpo di stato in Cile, le stragi di stato.

Quelle di Berlinguer erano parole che se venissero pronunciate oggi da un politico, finirebbe per essere accusato di terrorismo, o di accostamento ai gruppi estremisti internazionali. E la fatica, e l’impegno Berlinguer, nel ribadire il suo progetto politico, lo sostenne fino all’ultimo istante della sua vita. Fino all’ultimo respiro, che le era rimasto in corpo, in quel drammatico comizio in piazza a Padova, in quel giugno del 1984.

Walter Veltroni, nella trasmissione di Augias, ha raccontato la storia politica del segretario. L’ha fatto con lo stile del politico d’altri tempi. A me è sembrato di tornare indietro di 40’anni, quando si partecipava ad un’iniziativa organizzata dal Pci, un convegno o ad una conferenza. E i dirigenti riuscivano a trasmetterti conoscenze e cultura.

In poche parole, Veltroni, con la sua capacità di sintesi ha trasmesso e rappresentato quella realtà, sociale, politica e culturale, catapultandoci indietro di decenni. Magari si poteva pure, in parte, non essere d’accordo con quel dirigente, ma nei suoi discorsi non c’era falsità o doppi fini. Ma solo emozioni e passioni, che cercavano, idealmente, di tenderti “la mano”, quasi per alleviare le tue sofferenze e solitudini. A differenza di oggi, dove l’aggressività e la violenza, non solo del linguaggio, e la volgarità, che impazza sui social, alla fine portano tanta solitudine.

Berlinguer, dunque, seppe esprimere, con grande coraggio, una linea politica autonoma, contrassegnando una cesura dal blocco sovietico. Infatti fino alla fine agli anni ’70 il Pci risentiva ancora dell’impronta potente ed influente, e per certi aspetti dolorosa, dello stalinismo.

Veltroni ha ricordato una cosa di notevole interesse, che di solito non emerge nei racconti degli esponenti politici dell’epoca, quando si parla della politica italiana del “periodo togliattiano”, degli anni precedenti alla segreteria di Berlinguer.

Ha ricordato l’avvicinamento, anzi la continuità (e qui devo fare le miei osservazioni) della linea politica di Enrico Berlinguer con Antonio Gramsci. Veltroni ha cercato di ricordare, forse in ritardo, ma ahimè senza approfondire, e mancando di evidenziare, un Berlinguer che con la sua strategia di distacco dall’Unione Sovietica, ha voluto identificarsi più in Gramsci, che in Togliatti. Bene, ma se così è devo, umilmente, fare un cenno storico, non per vezzo, ma per completezza.

C’è un carteggio, che molti militanti del Pci hanno appreso in ritardo, e in tanti non hanno mai conosciuto, di Gramsci che scrive una lettera, nell’ottobre del 1926, e la indirizza al Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Gramsci scrive a nome del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia. La lettera non giunse mai a destinazione, perché fu intercettata da Palmiro Togliatti (allora rappresentante a Mosca come funzionario del Pc d’Italia) su sollecitazione di Bucharin. Un filo stalinista, poi anche lui entrato in conflitto con Stalin, arrestato e condannato a morte nel ’38.

La lettera criticava duramente “i metodi di direzione che stavano imbavagliando l’opposizione, creando le premesse per l’espulsione di questa” (giunta poi un anno dopo) e soffocando definitivamente ogni possibilità di dibattito nel partito e nel paese”. Una lettera bloccata nel ’26, letta da pochi militanti, e ignorata per decenni. Pubblicata poi per la prima volta nel 1938 da Angelo Tasca, in Francia. Tasca venne espulso dal partito nel ’29, perché appunto antistalinista.

In quella lettera si poteva, già nel ’26, leggere l’involuzione successiva, etica e politica, del movimento comunista. Gramsci rimproverava a Togliatti il burocratismo, nel considerare inevitabile l’esistente. Bloccando quella lettera, da parte di Togliatti, si è voluto nascondere agli occhi della storia che il nascente dogmatico, e poi criminale, stalinismo avrebbe portato danni irreparabili al movimento comunista internazionale. Sarebbe bastato un solo piccolo riferimento, da parte di Veltroni, a questo episodio storico, che ancora oggi può sembrare irrilevante, se davvero si voleva legare la figura di Antonio Gramsci, come critico verso Togliatti e il burocratismo sovietico, a quella di Enrico Berlinguer. Avremmo finalmente letto la storia dal verso giusto, senza lasciare “falle” ingombranti.

 

Maurizio MaccagnanoSindacalista dissidente

 

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