Dossieraggio, intervista a prof. Giuseppe Romeo

Giuseppe Romeo, docente incaricato di Relazioni internazionali presso l’Università del Piemonte Orientale e di Storia delle Relazioni internazionali per il modulo sulla politica estera russa e americana, e di Storia politica dell’integrazione europea per il modulo sulla Difesa europea presso l’Università di Torino, viene indicato oggi come un’Analista politico di rilievo internazionale anche per gli Affari Interni del Paese.

Con il suo ultimo libro “La Nato dopo la Nato. Perché l’Alleanza rischierà di implodere”  prova a offrire al lettore un quadro interpretativo della crisi tra Russia e Ucraina all’interno di un’analisi che riguarda l’Alleanza Atlantica, e il suo ruolo nel garantire la sicurezza e difesa continentale di fronte ad una idea ancora poco matura di Difesa europea che stenta ad affermarsi nel quadro delle politiche dell’Unione europea”. Quanto basta per cercarlo, e per cercare di capire con lui quanto sta accadendo in questi giorni in Italia.

-Professore parliamo del Dossieraggio e dell’inchiesta di Perugia di cui da giorni sono pieni i giornali. Un suo parere sulla vicenda di questi ultimi giorni?

“Guardi, le rispondo fornendo un mio personale punto di vista in una vicenda che, francamente, non mi sorprende e non credo debba sorprendere… purtroppo! Non mi sorprendo perché ogni gioco di potere, di un partito o di una lobby, dopo averne conquistato i termini e compreso i modi per governarlo tende poi a conservarlo. In questo senso, non vedo in che misura ci si meravigli di quanto accade oggi, al netto delle diverse interpretazioni delle norme a tutela della privacy e magari volendo non associare la stessa “profilazione” ad una sorta di dossieraggio consapevole, ma neanche troppo. Non ci sono dubbi che acquisire e conservare, se non utilizzare, informazioni che non rientrano nell’ambito di un’attività investigativa o perché ritenute, in quanto consentite, utili in materia di sicurezza nazionale configuri un comportamento illecito e penalmente perseguibile. Tuttavia, nel gioco di potere che in genere si affida al paradigma del do ut des, diventa difficile, se si configura un vantaggio o una perdita, che la vittima possa denunciarne l’uso se non in situazioni nelle quali il compromesso sia diventato insostenibile. O, meglio, se il pay off, il guadagno, non è più tale da giustificare perdite a monte senza possibilità di replica”.

-Sul fatto che dietro tutto questo ci possono essere i servizi segreti, la ritiene una ipotesi credibile?

Che la pratica di dossieraggio possa in qualche modo coinvolgere parti dell’intelligence non è certo da escludere. Semmai, però, è il verificare come, in che misura e con quali mezzi sono state raccolte informazioni personali e per quale finalità lecita; ovvero, legittimamente autorizzata. Dal campo del più semplice accesso alle banche dati che supportano i compiti investigativi e sottoposte ad un rigido regime di uso e di credenziali personalissime, sino alle informazioni che sono riconducibili alla sicurezza del Paese e il cui trattamento è altrettanto disciplinato da regole chiare non solo di accesso ma di responsabilità. È evidente che, servizi di intelligence o meno, al centro di ogni verifica, rimane la qualità dell’informazione assunta, il regime di protezione giuridica del dato o dell’informazione – oltre che della persona e delle sue qualità garantite dall’ordinamento costituzionale e norme conseguenti – e le autorizzazioni e i motivi relativi all’accesso che devono essere verificati.

-A chi gioverebbero simili operazioni?

“Chiedersi a chi giovano queste operazioni è una domanda che può essere considerata simpatica o contenere elementi di ingenuità. L’utilità del dossieraggio è in de rerum natura, cioè è nella natura delle cose; cioè, nella possibilità di coartare volontà contrastanti un determinato progetto o risultato che un gruppo di pressione, economico, politico o istituzionale, intende perseguire. Per motivi di competitività nel conquistare quote parti di una società, per minare la credibilità politica di un leader e incidere sul consenso dell’elettorato o sulla capacità di governance di un dato aspetto istituzionale o, semplicemente, per assicurarsi una promozione ed eliminare i concorrenti (nulla di nuovo insomma)”.

-Ricorda come storico e analisti di questi temi precedenti altrettanto clamorosi?

“Precedenti clamorosi? Direi che la storia offre molte occasioni di dossieraggio politico, oltre che economico, che hanno determinato cambiamenti repentini negli assetti di governo o delle società non solo in Italia, ma anche al di fuori del nostro Paese. Da un punto di vista di uso morale del dossieraggio per finalità politiche ed economiche di certo il Regno Unito ha molto da insegnare come anche gli Stati Uniti, visto che ciò rientra in una cultura che presenta ancora molti legami con un puritanesimo del passato e per il quale il “ricatto” morale rappresenta una efficace arma cui ricorrere nei momenti non solo di conquista del potere, ma di debolezza della stessa leadership. Dal dossieraggio attribuito allo stesso Hoover, creatore del Federal Bureau of Investigation nei confronti di John Fitzgerald Kennedy allo scandalo Watergate e alla fine della carriera politica di Richard Nixon, alla vicenda Iran-Contras e così via. Direi che in Italia si è cercato di farne un uso più discreto, ma per questo non meno efficace in molte circostanze se non attribuire, a tale prassi, anche aspetti di presunta legittimità durante Tangentopoli i cui obiettivi politici, al di là del mero dato etico-morale, penso siano ormai molto chiari e, come si potrà intuire oggi, non solo allora”.

 

Pino NanoGiornalista, Già capo redattore centrale della Rai

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