Non c’è solo la guerra! C’è anche lo scempio dei diritti umani in tanti Paesi. L’Italia che fa?

Per l’Ucraina stanchezza e assuefazione, ma anche improvvisa accelerazione del conflitto. E per quanto riguarda il rispetto dei diritti civili e politici in tanti Paesi, l’Italia si scopre timida, impreparata, poco presente e poco attiva. Comunque non incide. Ecco una panoramica di varie situazioni nel mondo cosiddetto civile

Volodymyr Zelensky è disposto a un “corpo a corpo” (ipse dixit) con Vladimir Putin, a voler significare che è pronto a un duello all’ultimo sangue con chi, cioè Putin, ha invaso la sua terra, l’Ucraina, seminando lutti e distruzione. Ovviamente, per estensione di significato, e non ritenendo la sua una gag, non ha inteso dire che personalmente lo aspetterà all’uscita dell’osteria con spada, sciabola o pistola (all’occorrenza sceglierebbero il tipo di arma da usare), ma informare l’intero mondo che l’Ucraina è ormai pronta a fronteggiare la Russia, vis à vis, succeda quello che deve succedere, sino alle estreme conseguenze. Un proposito molto impegnativo e scenario diverso dal passato, dalle previsioni ancora più fosche.

 

 

Zelensky

 

 

Questo “pronunciamento” di Zelensky è  frutto del coraggio datogli dal suo valoroso popolo, militari e civili compresi, resistente oltre ogni previsione, e ancor più dall’aver ricevuto in tutto quest’anno una  messe di armamenti che gli provengono da mezzo mondo. Lo stesso governo italiano con la leader Meloni, nelle comunicazioni in Senato sull’Ucraina, non ha fatto una piega e ha tirato dritto; niente di diverso rispetto al precedente governo e, in tutta continuità, ha disposto l’ennesimo “pacchetto” in favore di Kiev, non mancando di una battuta inopportuna di fronte a chi manifestava perplessità per questa escalation militare (M5S ndr). Ed è stata quella di dire, con un paio di circonlocuzioni nel suo discorso: “Vorrei che mi aiutaste a capire cosa intendete quando parlate di avviare negoziati. Potete anche dirci cortesemente come si possono convincere i russi a ritirare le truppe? Possiamo proporgli un reddito di cittadinanza, non so”. E a non saperlo, noi stessi con lei. Meno ancora se si tratta di indovinare chi possa dire una parola sensata sull’argomento.

Da parte sua, il presidente Usa Joe Biden, che per la sua parte ha confermato l’aumento delle spese militari, pare essersi finalmente convinto di cedere a Zelensky un buon numero di batterie Patriot, missili terra-aria anti-aereo con una gittata di oltre 70km con i quali, oltre a difendersi dai bombardamenti, Kiev potrà sfondare in territorio russo e ingaggiare una guerra in campo aperto. Cosa che i militari ucraini hanno già cominciato a fare, con alcuni attacchi registratisi oltreconfine. Si tratta di un inedito, col rischio di un’escalation del conflitto che potrebbe coinvolgere ancor più soggetti di quanto oggi vi siano impegnati.

Senza poi contare la minacciata opzione nucleare, giornalmente evocata, ben consci del fatto che non si tratterebbe della prima volta (e, infatti, non è certo casuale il riferimento all’agosto 1945, quando gli americani sganciarono la bomba sulle città giapponesi di  Hiroshima e Nagasaki).

Come si vede, non pare esserci via d’uscita allo scoccare del decimo mese di guerra e, invece, si concretizza lo scontro “planetario”, per fortuna ancora “a bassa intensità” tra Russia e Stati Uniti, con l’Ucraina in mezzo a rivendicare il suo territorio conquistato con la forza da Putin, ma che rischia di essere la vittima sacrificale di un’idea di mondo dove c’è spazio soltanto per potenze imperiali. È il classico schema che probabilmente sarà utilizzato se si vorrà conseguire se non la pace, almeno una sua parvenza. Nemmeno tra gli analisti più accreditati, c’è chi si avventuri su quanto la guerra possa durare. Se ancora qualche mese o anni o decenni. E a tal proposito, anche se c’è tanto di diverso, di frequente si porta ad esempio la questione israelo-palestinese, con un conflitto sempre latente che si trascina da oltre cinquant’anni.

 

 

Putin

 

 

Per l’Italia, per l’attuale governo e quello di Draghi è stato sempre troppo complicato fare qualcosa di più. Proporsi, prendere un’iniziativa di pace, ritagliarsi un ruolo da protagonista nel mondo. Non l’hanno fatto in passato, non hanno la forza per farlo ora. Anche perché, colpevolmente, si è fatto trascorrere troppo tempo, utile soltanto a ragionare di guerra: il conflitto si è incancrenito, seminando morte e distruzione (un rapporto indipendente parla di 70 mila, forse 100 mila morti!). E fa impressione la mancanza di coraggio, la rassegnazione vistasi in giro, in tanti vacui dibattiti, dove la più alta partecipazione emotiva è quella di registrare gli accadimenti della giornata. Lo stesso movimento pacifista, che pure in Italia ha una sua storia da raccontare, si è trovato in palese difficoltà. Con la grande eccezione di Papa Francesco nella sua ostinata ricerca della pace. Ma la sua lezione, finora, non ha fatto breccia tra i protagonisti del conflitto, né tra i loro più vicini sodali.

Tutto ciò fa oggi scoprire ritardo e debolezza nello scacchiere della politica estera. E se sull’Ucraina, l’Italia è pronta per l’ennesimo invio di armi, al contempo scopre la sua timidezza sul tema fondamentale della difesa dei diritti umani dell’area frontaliera mediterranea e non solo, con la martoriata Libia in testa, o dei due governi e dei rapporti ormai guastati, da cui provengono migliaia di migranti rinchiusi nelle carceri di quel Paese, sfruttati e torturati. O per la polveriera-Tunisia, alle prese con una gravissima crisi economica e politica, dove è in atto una rivolta di popolo (alle elezioni di questi giorni per eleggere i 2i7 membri del nuovo Parlamento solo l’8,8% è andato a votare!). Un Paese imploso.

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Lo scacchiere mediterraneo

Insomma, l’Italia che perde autorevolezza un poco alla volta e con qualche silenzio di troppo. Lo si è visto anche con la drammatica situazione in Turchia ed Egitto, Paesi dove non c’è spazio per gli oppositori, spietatamente repressi. Con la considerazione che all’estero Erdogan è prim’attore indiscusso (persino sulla guerra in Ucraina; ha il filo diretto con Putin, si è ritagliato il ruolo da mediatore sulla scena internazionale, poi sui migranti decide lui di volta in volta quanti cacciarne), mentre in patria fa il sultano e nega ogni spazio a chiunque gli si oppone. Spietata la repressione di giornalisti, intellettuali, artisti. Da rabbrividire per quanto è capitato al gruppo musicale Yorum, accusato di terrorismo.

Tre componenti della band, cantanti e attivisti (uno dei quali Helin Bolek di origine curda) sono morti nel 2020 per protesta contro il governo, dopo mesi di sciopero della fame. Nessun ascolto da parte delle istituzioni italiane, se non l’attenzione di un’associazione culturale salentina che ha invitato i superstiti del gruppo a Lecce in una serata di musica e dibattito sulla situazione in Turchia. Non vanno meglio le cose per i diritti umani in Egitto, dopo il colpo di mano che ha portato al potere Al Sisi; ed è quella stessa parte che aveva liberamente eletto Morsi a capo dei Fratelli Musulmani e l’ha poi rovesciato, con un governo accettato dagli stessi Stati Uniti. Il cambio di regime ha poi  procurato una violenta reazione che oggi, nel generale disinteresse, vede condannati al carcere duro e senza processo migliaia di aderenti della Fratellanza musulmana. E il caso-Regeni per il nostro Paese sta diventando un disturbo da evitare. A parte qualche atto dovuto, esteriore, nulla che faccia capire del rapimento, dell’assassinio del giovane ricercatore, delle responsabilità turche in questo crimine.

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La situazione in Iran

La stessa cosa sta succedendo con l’Iran, dove un feroce e sanguinario regime teocratico impicca i suoi giovani e fa marcire in carcere i suoi oppositori. Undici giovani condannati a morte e già due giustiziati: Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard con l’accusa di “moharebeh”,“inimicizia contro Dio”. Troppo prudente il nostro Paese di fronte a tanta ferocia.

Nessuna iniziativa di rilievo, ma con la scoperta (per tanti, non una novità) che su alcune armi della “polizia morale”, come i fucili a pompa, rimaste a terra durante le imponenti manifestazioni e scontri con decine di vittime, si leggeva stampigliato il nome di una nota fabbrica di armi italiana! E, di fronte alle sollecitazioni a intervenire da parte di ambienti culturali e politici, non si può certo rispondere come ha fatto un rappresentante del governo italiano che aspetta la formalizzazione dell’accredito dell’ambasciatore iraniano a Roma per decidere poi cosa fare. Intanto ci hanno pensato giornali e associazioni culturali a raccogliere centinaia di migliaia di firme e tenere viva l’attenzione sul massacro in atto.

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Anche in Cina, Hong Kong

Chiaramente sono numerosi i Paesi dove i diritti civili e politici sono conculcati. La strage di Piazza Tienanmen del 1989 è forse troppo lontana per parlare di Cina. E comunque, c’è tutto il tempo per rimediare. Lo si può, invece, fare per Hong Kong, passata da colonia britannica a far parte della Cina dal 1997 con amministrazione speciale. Economicamente è uno Paesi più solidi al mondo, però schiacciato dal governo cinese e dove ogni anelito di libertà sin’ora è stato soffocato nel sangue. Per fortuna, alcuni dei più decisi oppositori sono riusciti a riparare all’estero e da lì continuano a battersi. Cosa che non è riuscito a fare l’oppositore di Putin, Aleksej  Navalny, catturato e condannato a nove anni con accuse inventate. E dunque, che fare se non ascoltare, seguire gli eventi. E cercare di aiutare i tanti combattenti per la libertà. È dovere di ogni Stato libero difendere libertà e democrazia.

L’Italia non può rischiare di vivere in una sorta di straniamento nel contesto internazionale, causa ed effetto di una insito calo di rappresentatività, sino a far scoprire una sorta di timidezza delle sue istituzioni in fatto di difesa dei diritti civili e politici. È auspicabile, pertanto, una più coerente evoluzione, portata a un livello superiore di partecipazione e credibilità. E ciò può essere ben ricordato da quanti in passato hanno partecipato attivamente alla vita politica. Un tempo succedeva soprattutto nei partiti della sinistra.

Una testimonianza può essere rivelatrice. Tutte le volte il segretario cominciava la sua relazione con uno sguardo alla politica internazionale, esaminando le crisi del momento (e la materia per dibattere certo non mancava nemmeno allora) per poi passare ad altra materia, semmai parlando della strada da asfaltare, dell’asilo che mancava, di alcuni servizi pubblici da migliorare (un modesto suggerimento di programma, in vista del congresso Pd). Non si trattava di capriccio o stravaganza, ma di impegno; un modo per cercare di capire meglio il mondo. È valso allora, varrà ancora.

 

Luigi NanniPubblicista. Analista politico

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