Francesco de Martino (1908- 2002) fu un politico molto diverso da quelli di oggi. Ebbe un grande senso delle istituzioni, ricoprì incarichi importantissimi e fu anche un grande accademico.
Iniziò come allievo di Enrico de Nicola, illustre studioso del diritto e dell’economia romana. Insegnò storia del diritto romano nelle Università di Messina, Bari e poi alla “Federico II” di Napoli, dove si era anche laureato. Fu accademico dei Lincei ed autore di opere storiche fondamentali, come la Storia della costituzione romana in sei volumi, tra le maggiori trattazioni romanistiche del Novecento, lodata dal Nicholas Purcell che fu a sua volta romanista ad Oxford e grande studioso di storia sociale antica.
Non possiamo dimenticarci la pluritradotta Storia economica di Roma antica, in cui De Martino esponeva tra l’altro le sue idee sul carattere giuridico, e non necessariamente militare e ostile, dei rapporti internazionali di Roma affermando che in determinati periodi l’hostis era per i romani lo straniero amico. L’opera ebbe grandissima fortuna.
Il Professore fu esponente del Partito d’Azione fin dal 1943, e dopo lo scioglimento confluì nel Psi. Eletto parlamentare nel 1948 con il Fronte Popolare, fu direttore di Mondoperaio nel 1959, vicesegretario del partito con Nenni e poi più volte ai vertici del PSI.
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Le tre segreterie, il tentato golpe Borghese e la mancata elezione alla presidenza della Repubblica.
De Martino fu segretario del Partito Socialista in tre occasioni, potremmo anche dire tre e mezzo, e in passaggi politici importantissimi. Nel primo governo Moro di centro sinistra (1963), con Nenni vicepresidente del Consiglio, De Martino fu eletto alla segreteria del Partito rimanendovi fino al 1966. Il suo programma comprendeva l’apertura ai comunisti, la prospettiva di una ricomposizione delle fratture a sinistra, la collaborazione con la sinistra democristiana e anche con le punte più avanzate del mondo laico.
Nel passaggio successivo, segnato prima dall’unificazione tra PSI e PSDI e poi dal suo fallimento, De Martino sarà co-segretario del PSU fino al 1968 assieme al socialdemocratico Mario Tanassi. Il PSU era anche detto “partito della bicicletta” visti i simboli affiancati dei due partiti socialisti italiani, che tra rotondi soli e raggi ricordava proprio due ruote di bici. Le elezioni del 1968 segnarono il fallimento della riunificazione socialista in termini di consensi dato che in alcune regioni del Centro-Nord i due partiti, presentandosi insieme, arrivarono alle percentuali del solo PSI nella precedente tornata del 1963, mentre in alcuni collegi questo risultato non fu neppure raggiunto.
Ad esempio, nelle province di Massa, Varese e Venezia il PSI ed il PSDI unificati persero oltre il 10 % dei voti ottenuti nel 1963, quando si erano presentati in liste separate; anche in Umbria il PSU scivolò, perdendo tre punti percentuali rispetto alle sole liste PSI delle politiche precedenti, senza contare i voti (tutti persi) del PSDI.
Altrove era andata meglio, ma insomma la bicicletta andò poco lontano facendo perdere non solo voti, ma anche esponenti prestigiosi.
Il pensiero va al grande industriale Fermo Solari, come De Martino prima azionista e poi socialista, già comandante partigiano e vice di Ferruccio Parri; Solari nel 1958 fu eletto contemporaneamente sia al Senato sia alla Camera e dopo aver generosamente sovvenzionato il PSI fin dal dopoguerra lasciò il partito in forte polemica con la prospettiva dell’unificazione.
In conclusione la batosta elettorale portò alla nuova scissione del 1969 con l’uscita dei socialdemocratici ed il ritorno alle due sigle separate, provocando la conseguente caduta del primo governo Rumor. Dopo la parentesi di Mauro Ferri (novembre 68 / maggio 69) De Martino verrà rieletto alla guida del Psi in un momento storico e politico difficilissimo; oltre alla spaccatura socialista ed alle dure lotte sociali, ambienti oscuri ed influenze esterne scatenarono la strategia della tensione portando al tentato golpe Borghese nella notte tra il 7 e l’ 8 dicembre 1970.
De Martino resterà segretario fino all’aprile 1970, per poi diventare presidente del partito dal marzo 1971; in quell’occasione venne approvato un documento che andava nella direzione di una “convergenza” con il Pci.
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La candidatura alla presidenza della Repubblica.
A dicembre del 1971 il Parlamento, in un’atmosfera di incertezza, doveva eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Nei primi scrutini il professor De Martino venne votato da tutta la sinistra, mentre il candidato democristiano Amintore Fanfani non riuscì a passare. Lo stallo si protraeva ed al 21° scrutinio si tenne l’assemblea dei grandi elettori democristiani dove il centrista Giovanni Leone prevalse di strettissima misura su Aldo Moro, uomo ben più aperto alla sinistra ed al rinnovamento della democrazia italiana.
Nonostante l’accordo tra la DC e i partiti di centro la candidatura Leone non decollava, tanto che al 22º scrutinio, per un solo voto (503, contro i 504 del quorum richiesto) egli non verrà eletto. A questo punto De Martino si ritirò e le sinistre proposero come candidato Pietro Nenni, sperando di raccogliere i voti dei sostenitori di Moro e di spaccare la DC.
Le cose andarono diversamente ed il 24 dicembre 1971, al 23º scrutinio, Leone con 518 voti su 1008 “grandi elettori” venne faticosamente eletto capo dello Stato con l’appoggio determinante del Movimento Sociale Italiano.
Il patriarca socialista Pietro Nenni prese 408 voti cogliendo un buon successo personale e politico, mentre la tormentata elezione di Leone non fu solo la più lunga della storia repubblicana, ma anche quella con i numeri più risicati. Iniziava così una presidenza difficile e destinata a finire tra le polemiche.
Il 1972 è un anno di grandi novità.
Con le nuove elezioni il quadro politico cambiò con un netto spostamento a destra. Il Psiup (nato da una scissione a sinistra del Psi, che raccolse i contrari al centrosinistra) non supererà la soglia di sbarramento e non rientrerà in Parlamento, mentre il Pli prenderà una sonora batosta crollando dal 5,8 al 3,7 %, con una parallela crescita a destra del Movimento Sociale Italiano.
In questa situazione i socialisti si rifiutarono di partecipare alle trattative per un nuovo governo che comprendesse anche i liberali e quindi il presidente della Repubblica Leone incaricò Giulio Andreotti. Riuscì a mettere in piedi un governo appoggiato da una maggioranza di centro/ centrodestra, cioè lo stesso schieramento, opportunamente ristretto, che alla fine del 1971 aveva portato all’elezione di Leone al Quirinale.
Anche i repubblicani restarono fuori (appoggio esterno come il PSDI) e si arrivò quindi ad un governo di centrodestra Andreotti-Malagodi tra Dc e Pli, partito che fu ben ricompensato ottenendo quattro ministri con soli tre punti percentuali alle elezioni. Occorre ricordare le proteste degli studenti contro il ministro dell’Istruzione Oscar Luigi Scalfaro, considerato incompatibile con le istanze giovanili di rinnovamento, e la trovata del rigoroso segretario liberale Giovanni Malagodi, già grande oppositore del centrosinistra, il quale per rinnovare le schiere dei gran commis dello Stato diede via libera alle cosiddette pensioni d’oro che stiamo ancora pagando! Il governo infatti emanò i decreti attuativi della l. 24 maggio 1970 n. 366 “Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati”, testo di iniziativa parlamentare che una volta approvato causò un fortissimo e progressivo aumento dei costi previdenziali.
Era la prima volta dal 1957 che l’Italia era retta da un governo del genere, ispirato ad una formula politica datata e percepita come inadatta alle nuove esigenze del paese, tanto che persino un leader molto moderato come Forlani aveva avanzato tutti i suoi dubbi. L’esperienza fu di breve durata e terminò nel giugno del 1973 quando Andreotti si dimise; l’occasione fu data dal ritiro dell’appoggio esterno del PRI, ma il motivo vero era un altro. Il XII Congresso nazionale della Democrazia Cristiana, con gli “accordi di Palazzo Giustiniani” tra Amintore Fanfani e Aldo Moro, aveva infatti approvato un documento che caldeggiava il ritorno alla maggioranza di centro-sinistra.
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De Martino rieletto al congresso di Genova.
Nel 1972, ottantesimo compleanno del PSI, si tenne a Genova il 39° congresso. De Martino, già presidente del partito, fu rieletto segretario dall’alleanza tra la sinistra e gli autonomisti. Nell’ufficio di segreteria arrivano i quarantenni e tra i nuovi vice c’era anche il giovane milanese Bettino Craxi, un fedelissimo di Pietro Nenni di cui sentiremo ancora parlare. Al vertice del partito era stato collocato un “Ufficio Politico” composto dai maggiorenti come De Martino, Craxi, Mancini, Bertoldi e Lombardi, formalizzando in sostanza il sistema delle correnti organizzate che a parole si voleva superare.
Nel 1972, altra grande novità per la politica italiana. Berlinguer segretario del Pci.
Dopo una rapida carriera Enrico Berlinguer venne eletto segretario generale del Partito Comunista Italiano. Berlinguer era già membro della direzione dal IX congresso del partito (1960) quando, su richiesta di Luigi Longo, era stato nominato responsabile dell’organizzazione al posto di Giorgio Amendola. Nel 1962, al X congresso del Pci, il quarantenne Berlinguer aveva fatto un bel salto diventando non solo membro della segreteria, ma anche responsabile dell ufficio di segreteria del PCI e della sezione Esteri. Da qui in avanti la linea politica del Pci sarebbe cambiata radicalmente.
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Il compromesso storico, il referendum sul divorzio e le elezioni del 1976.
Nei primi anni Settanta il quadro politico in Italia era offuscato da molte ombre. La destra eversiva ed i suoi ispiratori esercitavano un ruolo oscuro nelle vicende politiche del Ppaese, ed il golpe cileno del settembre 1973, con l’assalto al palazzo della Moneda e la morte del presidente socialista democraticamente eletto Salvador Allende fu un grave segnale d’allarme per le forze democratiche.
Il segretario del Pci Enrico Berlinguer, consapevole che in Italia uno schieramento progressista non poteva governare con il solo 51%, tra settembre ed ottobre 1973 propose un cambio di strategia politica in tre articoli pubblicati su Rinascita (Imperialismo e Coesistenza alla luce dei fatti cileni, 28 settembre 1973; Via democratica e violenza reazionaria, 5 ottobre 1973, e soprattutto Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, 12 ottobre 1973).
Le sue riflessioni prendevano le mosse proprio dal golpe cileno, proponendo la strategia del compromesso storico nella consapevolezza che in Italia il Pci poteva arrivare al governo solo attraverso l’incontro con il mondo cattolico ed una grande intesa con la Democrazia Cristiana.
In Italia comunque il vento stava cambiando. Nel ’74 ci fu un segnale chiarissimo quando non passò il referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini sul divorzio, che venne confermata con il 57 % dei voti; la responsabilità politica della sconfitta venne attribuita al segretario democristiano Fanfani, che nella consultazione si era esposto moltissimo su posizioni decisamente antagoniste al fronte laico.
Fanfani verrà ritratto in una serie di caustiche vignette di Chiappori ma, soprattutto, di Forattini. Indimenticabile la sua “Tappo ti stappo”, uscita subito dopo la sconfitta referendaria, dove si vede una bottiglia di spumante con l’etichetta NO, la data 1974 e un Fanfani a forma di turacciolo che vola via.
Il segretario democristiano, già in forte difficoltà, continuò a guidare il partito con l’opposizione delle correnti di sinistra ma fu sconfitto anche alle regionali del 1975 che videro una strepitosa vittoria della sinistra. Equi c’è un’altra vignetta famosissima di Forattini con Fanfani pattinatore sul ghiaccio, già piuttosto fasciato e malconcio, che ad occhi chiusi si avviava a precipitare in una buca con la scritta “elezioni regionali”.
Il risultato delle amministrative fu rovinoso per il partito, che toccò il suo minimo storico; Fanfani fu sfiduciato dal Consiglio Nazionale e nel luglio successivo fu eletto segretario Benigno Zaccagnini, la faccia pulita della DC.
De Martino lancia la formula degli “equilibri più avanzati”, e il governo Moro-La Malfa cade.
Nel cambio di fase politica si fece avanti De Martino che inventò una formula nuova, quella degli «equilibri più avanzati». L’idea fu proposta da un articolo di fondo dell’Avanti del 31 dicembre 1975, intitolato “Soluzioni nuove per una crisi grave” in cui il segretario socialista metteva in discussione la maggioranza, attaccava la DC sorda alle proposte dei socialisti e chiedeva un coinvolgimento del Pci nel programma di governo.
L’iniziativa, non concordata, lasciò a dir poco perplesso il presidente del Consiglio Aldo Moro; grande fu anche la preoccupazione del segretario comunista Berlinguer, che si adoperava in ogni modo per realizzare il compromesso storico con i democristiani.
Solo pochi mesi dopo, nel marzo 1976, al 40° congresso del PSI fu approvata unanimemente e senza mozioni contrapposte la linea dell’alternativa socialista: una graduale transizione al socialismo, ma nel rispetto della democrazia e della libertà.
Francesco De Martino fu riconfermato alla segreteria, con due vice su posizioni speculari: il lombardo Giovanni Mosca, molto vicino al segretario nonché padre della prima giunta di centro sinistra d’Italia (Milano 1961, sindaco Cassinis) e l’autonomista Bettino Craxi, fedelissimo di Pietro Nenni. La composizione del Comitato Centrale fu stabilita dai capicorrente in proporzione al peso delle rispettive aree, senza votazione.
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Elezioni del 1976, Psi al minimo storico, De Martino defenestrato al Midas Comincia la fase di Craxi.
La presa di posizione di De Martino sugli “equilibri più avanzati” portò alla crisi del IV governo Moro e si arrivò così alle nuove elezioni politiche anticipate del 20 e 21 giugno del 1976, le prime con il voto ai diciottenni.
Come qualcuno ha scritto queste elezioni del 1976 furono vinte dal Pci (che alla Camera giunse al record del 34,4 % aumentando di 3.545. 000 rispetto a quattro anni prima) ma non furono perse dalla DC, che a sua volta guadagnò 1 297 000 voti rispetto alla precedente tornata, rimanendo il primo partito.
In questa polarizzazione dei consensi ben diverso fu il risultato del Psi, che venne fortemente ridimensionato e dal 12 % delle regionali del 75 scivolò al 9,64 % alla Camera, mentre al Senato si attestava sul 10. Per quanto si trattasse di una riconferma al ribasso dei risultati delle politiche 1972 la botta fu forte, tanto che Giovanni Mosca, il vicesegretario demartiniano, si dimise subito dall’incarico.
I risultati elettorali videro anche un forte calo del PSDI (meno 1,76 % alla Camera e 2,25 al Senato) e una debacle sia della destra liberale sia di quella missina; il Msi in particolare sia al Senato sia alla Camera perse più del 2,5 %. Sul fronte opposto entrarono in Parlamento il Partito Radicale, il quale allora poteva anche sembrare una formazione di estrema sinistra, e Democrazia Proletaria.
Dopo il pessimo risultato la vecchia guardia del Psi dovette fronteggiare la “rivolta dei quarantenni” che ponevano un urgente problema di linea politica, chiedendo conto di un grave errore: l’aver posto al centro della campagna elettorale la “questione comunista”, cioè il sostegno alla partecipazione del PCI al governo del Paese.
Nel luglio 1976, a soli 4 mesi dal congresso, si arrivò alla storica riunione dell’Hotel Midas che porterà a novità importantissime.
Tutto iniziò il pomeriggio del 12 con l’introduzione di Nenni e la relazione di De Martino. Il giorno dopo, 13 luglio 1976, il Comitato Centrale approvò all’unanimità un documento presentato da Enrico Manca, già pupillo del segretario, in cui si chiedeva al partito di “dare concreta operatività al superamento del sistema delle correnti organizzate”, slegando in tal modo i singoli esponenti dal gruppo di appartenenza.
Una volta approvato il documento i rappresentanti della sinistra che sedevano nella Direzione si dimisero allo scopo di promuovere il rinnovamento delle strutture del partito ed invitarono gli altri membri a fare lo stesso, cosa che avvenne puntualmente non appena De Martino lasciò la segreteria.
Si poneva quindi il problema di eleggerne una nuova Direzione, che a norma di statuto avrebbe dovuto eleggere a sua volta il segretario nazionale. Il nuovo organismo fu votato a scrutinio segreto dal Comitato Centrale e nella notte tra il 15 e il 16 luglio vennero eletti 31 membri, tra cui 18 parlamentari di vario orientamento; la maggioranza relativa era rappresentata da 13 ex demartiniani , ed oltre a loro si contavano 7 manciniani, 6 lombardiani e 3 autonomisti. De Martino decise di rimanere fuori. E lanciò, deluso verso i rampanti vincitori del nuovo corso socialista l’accusa di praticare “un empirismo senza principi”.
A questo punto mancava solo il nuovo segretario. In quel momento i tre candidati forti erano Antonio Giolitti, Enrico Manca e Bettino Craxi.
In un’intervista del 1992 a Giolitti si espresse così: “Ricordo ancora bene i titoli dei giornali: “Duello Craxi-Giolitti” . Ma non fu così. Almeno, io non l’ho vissuta in questo modo. Sapevo che Craxi era il segretario in pectore. Ma circolavano anche altre ipotesi, come quella di Giacomo Mancini. Tutto si svolgeva nei corridoi. Fu lì che incontrai Craxi e gli chiesi: “Quando parli?” Lui mi rispose a brutto muso: “Perché? C’è bisogno che parli?”.. Alla fine del mio intervento, Riccardo Lombardi venne a dirmi che s’era commosso. Ma aveva affidato tutto a Claudio Signorile e lui tirava la volata per Craxi”. (1)
Enrico Manca, deputato dal 1972, era stato vicinissimo a De Martino e questo rendeva impossibile la sua ascesa alla segreteria, per cui fu momentaneamente congelato. Manca dovette avere pazienza ma ebbe comunque un ruolo incisivo negli anni successivi, prima come oppositore di Craxi e poi come suo alleato, e quindi come presidente della Rai.
Nella rosa dei candidati prevalse Bettino Craxi, nenniano ed autonomista di ferro sostenuto direttamente dall’ex segretario Giacomo Mancini, fermo oppositore degli “equilibri più avanzati” ed a sua volta autonomista, nenniano nonché antagonista storico di De Martino.
E così il 16 luglio 1976 Bettino Craxi fu eletto segretario nazionale del Psi con 23 voti a favore e 8 astenuti.
Va ricordato un articolo di Fausto de Luca su Repubblica del 16 luglio 1976, così intitolato: Un tedesco del Psi che non ama il Pci.
In due parole il compendio di un personaggio e di un programma politico.
Fu un cambiamento di epoca per il Psi, con l’inizio della fine della vecchia guardia.
Nel frattempo, subito dopo l’elezione, Riccardo Lombardi si limitò a dire che l’elezione di Craxi era stato il fatto più negativo del recente Comitato centrale, ma ciò non lo preoccupava visti i poteri estremamente limitati del nuovo segretario.
Infatti nella segreteria, nominata su proposta dello stesso Craxi, la sinistra nelle sue varie anime era maggioritaria: da una parte due ex demartiniani come Enrico Manca e Salvatore Lauricella, dall’altra Claudio Signorile esponente lombardiano. Solo Antonio Landolfi era autonomista, amico di Craxi e molto vicino a Giacomo Mancini.
Craxi era consapevole della sua debolezza, ma soprattutto di quella del partito. Usava dire che “Il partito socialista è molto malato, è malato nel sangue. La battaglia col Pci non la possiamo vincere con le armi, ma solo con le idee, e non so se sarà possibile”.
Dopo aver lasciato la segreteria, per De Martino iniziò un periodo difficile anche dal punto di vista personale.
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Nel 1977 a De Martino, candidato alla presidenza della Repubblica rapirono il figlio Guido.
Le parole di Nenni sul drammatico dilemma: cedere o resistere alla richiesta dei rapitori.
Nell’aprile 1977 egli venne toccato anche negli affetti più cari con il rapimento – non solo a scopo di estorsione, ma con chiare finalità politiche – del figlio Guido, organizzato da una “talpa” che aveva accesso agli ambienti della federazione socialista di Napoli. Si trattava di un certo Vincenzo Tene, esponente del sindacato portuali CGIL nonostante fosse molto vicino ad una famiglia con simpatie di estrema destra, a sua volta titolare di una ditta che lavorava in porto; egli aveva fornito ad un gruppo di criminali delle informazioni – profumatamente pagate – relative ai movimenti del giovane Guido.
Il 9 aprile le BR diffonderanno un duro comunicato stampa; il sequestro durerà circa 40 giorni per poi risolversi con il pagamento di un riscatto ammontante a quasi un miliardo di lire, raccolto con una colletta; successivamente la famiglia restituì il denaro al partito.
Il Tene si costituì ai magistrati nel novembre del 1977 dichiarando di aver ricevuto l’incarico di rapire Guido da Umberto Palmieri, importante esponente socialista campano; in seguito il Tene cambiò versione riferendo di aver agito in cambio di un posto di lavoro su richiesta di Tammaro di Martino, un quasi omonimo sindaco democristiano di Boscoreale.
Tutto ciò avveniva, con sospetta coincidenza, proprio nel momento in cui ambienti della sinistra (e non solo) avevano proposto il nome dell’ex segretario socialista per la presidenza della Repubblica; evidentemente non si trattava di un caso.
Nenni chiarì a Craxi il significato del rapimento: “Ci hanno messo in questa difficile situazione – disse il vecchio capo socialista. Se cediamo alla richiesta di riscatto criticheranno la mancanza di senso dello Stato, se resistiamo e rifiutiamo qualsiasi trattativa diranno che per motivo di avanzamento di rango politico i socialisti e De Martino sono disposti a sacrificare la vita di un figlio. Così anche a Francesco è stata sbarrata la strada per il Quirinale”. (2)
L’inchiesta sul rapimento finì in un vicolo cieco.
Tammaro di Martino era deceduto pochi mesi dopo e non poteva più parlare; i terroristi erano scomparsi e solo negli anni successivi vennero condannati per sequestro di persona 15 esponenti camorristi come esecutori materiali del rapimento; qualcuno ipotizzò un collegamento tra costoro e il clan di Francis Turatello, importante esponente della criminalità organizzata milanese che però pochi giorni prima del sequestro era già stato arrestato sotto altra imputazione. Turatello nel 1981, a soli 37 anni, verrà ucciso in carcere da Pasquale Barra (detto ‘o Animale), uno spietato killer responsabile di 67 omicidi.
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Il “sentiero stretto” della linea politica di Craxi tra Dc e Pci.
Cronaca nera a parte, le difficoltà del PSI avevano radici profonde e vie di uscita difficili. Mentre la crescita del Pci pareva inarrestabile il nuovo segretario Craxi aveva davanti a sé un sentiero strettissimo da percorrere, che richiedeva l’elaborazione di una proposta politica nuova.
Cercando l’intesa con la sinistra interna, in cui si andavano affermando come nuovi leader Claudio Signorile e Gianni De Michelis, il segretario propose la cosiddetta “Alternativa dei socialisti”, i cui contenuti furono compiutamente illustrati in un famoso libro da lui scritto e pubblicato nel 1978. La prefazione, sempre a firma Craxi, poneva l’accento sul cambiamento dei tempi sostenendo con decisione che nessuno poteva sapere cosa avrebbe scritto e pensato lo stesso Marx nel 1978, davanti ad un mondo così diverso.
L’Alternativa socialista come programma intendeva affermare con decisione la soggettività del PSI rendendolo un partito non subalterno a quello comunista, rispetto al quale venivano rimarcate tutte le differenze ideologiche; un ulteriore obiettivo era la rottura del bipolarismo tra DC e PCI, inserendosi come terza forza in lizza. Al congresso di Torino del 1978, una volta rieletto segretario, Craxi confermò la sua critica all’eurocomunismo ed al compromesso storico berlingueriano proponendo in termini nuovi l’alternativa di sinistra a guida socialista, da realizzarsi in primis con il riequilibrio elettorale a sinistra e con la crescita dei consensi di un PSI a vocazione occidentale.
Davanti a questo deciso cambio di linea politica De Martino iniziò a parlare con chiarezza di mutazione genetica, opponendosi alla linea del segretario.
In termini di schieramenti il Psi di Craxi diventerà un fedele alleato della DC del preambolo, cioè quella contraria ad ogni altro esperimento di governo con il PCI, seguendo nel 1980 gli orientamenti della segreteria di Flaminio Piccoli e del vice Donat Cattin, con l’opposizione dell’ Area Zac e di Andreotti; poi, dopo la parentesi antagonista di De Mita, Il PSI collaborerà con la nuova fase centrista di Andreotti – che aveva mutato avviso – e di Forlani.
In pochi anni nel PSI la sinistra interna si sfilaccerà con l’avvicinamento di Gianni de Michelis alle posizioni di Craxi e con le polemiche dimissioni di Riccardo Lombardi dalla presidenza del partito, mentre quasi solo De Martino continuerà a sostenere le ragioni di un rapporto privilegiato con il PCI.
Nel 1983 il Professore verrà ricandidato al Senato in una lista congiunta Pci-Psi, cogliendo un buon successo. Nel 1987, visto il mutato clima politico, la segreteria del PSI si dichiarerà indisponibile a nuove liste congiunte ed il Professore resterà fuori dal Parlamento rinunciando ad un collegio sicuro.
Nel 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo nominerà Senatore a vita. Il professor De Martino aderirà prima al gruppo del Psi per poi passare a quello dei Socialisti-Laburisti, entrando infine in quello dei Democratici di Sinistra.
Come ricordava Miriam Mafai in un suo ricordo su Repubblica l’ultima apparizione di De Martino sul grande palcoscenico della politica fu nel 1997, quando venne festeggiato in Senato per i suoi novant’anni. E ancora una volta, in quella sede, si espresse per l’unità di tutte le forze di sinistra. «Ma non basta» raccomandava «un po’ di ingegneria elettorale. Ci vuole altro: intelligenza, passione, generosità.» (3)
Il resto è storia.
Note
- GIOLITTI: “VI RACCONTO CHE COS’ É IL CRAXISMO”, Repubblica, 20 dicembre 1992
- 40 anni fa il rapimento di Guido De Martino: “Così colpirono mio padre per l’apertura al Pci”, di F. Saita, sito adnkronos
- MAFAI, Una vita per l’unità socialista dai governi con la Dc al Midas, Repubblica, 19.11.2002
Gianluca Ruotolo – Avvocato