La Galleria di EUFEMI. Nicolini: ecco come Moro mi spiegò le “convergenze parallele”

Per la prima volta la spiegazione argomentata della famosa formula attribuita letteralmente a Moro, lo statista Dc espresse questa tesi ma non con questo slogan. La figura di Renzo Nicolini, esponente della Dc umbra e nazionale

Parliamo oggi con un “giovane” di 89 anni, protagonista di una vicenda sociale e politica di primo piano, vissuta dal dopoguerra in diversi settori di impegno. Un ruolo importante nella Democrazia Cristiana di Terni e dell’Umbria; da avvocato ha espresso una presenza professionale efficace sul territorio.

Giovanissimo è stato Consigliere ed Assessore al Comune di Terni, dal 1960 al 1970, con una parentesi parlamentare durante la quinta legislatura.

Ha ricoperto l’incarico di Presidente nazionale del Credito Sportivo dal 1975 al 1991. Poi, esperienze bancarie nella BNL, nella Cassa di Risparmio, nella Camera di commercio, nel Rotary di Terni, nel settore sportivo, nelI’associazionismo.

Insomma, un legame profondo e attivo nella comunità territoriale.

Come è avvenuto l’incontro con la politica?

Le mie prime esperienze le ho fatte neII’Azione Cattolica di Terni, con un impegno a carattere diocesano. Verso i miei 18 — 19 anni, il Vescovo di Terni Giovanni Battista Dal Prà (Vescovo di Terni dal 1948 al 1973, dopo la grande parrocchia operaia di Padova, n.d.r.) al quale ero molto legato, mi disse ch’era giunto il momento di impegnarmi nella vita pubblica, nel servizio pubblico.

Gli risposi che mi trovavo bene neII’Azione Cattolica. Sì – mi spiegò – nelI’A.C. tu servi la comunità ecclesiale, mentre, se ti impegni nella vita politica, servirai la comunità dei cittadini. Rimasi colpito da questo suo invito, perché già nel movimento studentesco, al Liceo classico, partecipavo ai dibattiti ed alle iniziative culturali.

E l’ingresso nella Democrazia cristiana?

Mi sono iscritto alla D.C. di Terni nel 1952. In quel tempo, a Terni, un politico molto popolare era l’on. Filippo Micheli. Feci la prima campagna elettorale e devo dire che la vita politica di quel periodo era molto diversa da quella di adesso. Il confronto serrato era soprattutto sui valori e sui programmi, non su una visione individualistica dei problemi sociali.

Il periodo universitario fu una esperienza importante?

Mi iscrissi aII’Università “La Sapienza” di Roma. Venivo da una famiglia molto modesta, mio padre era operaio e non c’erano le risorse per la frequenza dell’Università. Quindi, soltanto in virtù dei voti che avevo riportato al liceo, ebbi diritto di accedere alla Casa dello studente.

Come si presentava politicamente il mondo universitario?

Era un periodo contrassegnato dal confronto acceso soprattutto tra comunisti e democristiani sulla questione dei prigionieri in Russia che non ritornavano. Si tenevano dibattiti molto aspri anche nell’ambiente studentesco. C’erano gruppi che si scontravano: alla facoltà di legge dove ero iscritto prevaleva la destra; a Lettere prevaleva l’lntesa, perché c’erano molti Sacerdoti e Suore; ad Architettura i comunisti; a Matematica i radicali. Era l’epoca di Pannella e di Craxi.

Fu un periodo un po’ turbolento nel mondo della scuola.

Ricordo un incontro – scontro sulla scalinata di Giurisprudenza. Mi permisi di intervenire. Mi chiesero: Tu chi sei? Risposi: Sono una matricola, sono un cattolico! La loro replica fu: Voi siete tutti …. E aggiunsero una parola volgare. Ad uno di loro mollai un pugno che Io fece rotolare per le scale. Comunque, era tutto un fatto di spintoni. Non si usavano ancora le spranghe e le chiavi inglesi.

Non c’era da aver paura per tali episodi violenti?

Finita la manifestazione, mi diressi verso la Casa dello studente. Mi accorsi che mi stava seguendo una persona. Mi fermai e gli chiesi, con una certa grinta: “Cerchi me?” Rispose: “No, Collega. Sono Andrea Damilano, il Presidente della FUCI a Roma”. Era il padre del giornalista Marco Damilano. Meno male, perché pensavo fosse una persona minacciosa.

Forse sarà rimasto sorpreso per il tuo atteggiamento di poco prima.

Aggiunse: “Ho assistito alla scena dello scontro a Giurisprudenza. Tu devi essere più calmo, hai detto di essere cattolico e poi gli hai mollato un ceffone”. Mi disse ancora: “Noi ci riuniamo in previsione delle elezioni universitarie. Ci presentiamo come Intesa Universitaria. Siamo insieme alle Congregazioni Mariane, i democristiani, l’Azione Cattolica, la FUCI e gli studenti del Massimo. Ci riuniamo a Piazza Sant’Agostino, vicino al Senato. Se vuoi venire, io ti invito”.

Era una Unione delle Organizzazioni cattoliche.

Sono andato alla riunione. Mi chiesero se mi volevo presentare alle elezioni per la facoltà di Giurisprudenza. Dissi loro: “Io vengo da Terni e non posso fare una presenza di facciata. Se mi devo candidare, farei il capolista”. Forse una pretesa la mia e il loro commento fu: “Ma questo chi si crede di essere!”. A Terni, avevo già una posizione: ero membro del Comitato provinciale della D. C.

Cosa decisero quelli dell’Unione?

Mi telefonó successivamente Damilano, per dirmi che avevano accettato la mia richiesta di candidatura perché “a Legge – disse lui – ci sono i fascisti e potrai essere un osso duro per loro”. Mi misi in movimento e andai a trovare i delegati provinciali della D.C. di  Chieti, Rieti, Latina, Viterbo e Terni. Li sollecitai a venire tutti a Roma a votare. Feci una vera e propria campagna elettorale.

In quale modo?

Ho organizzato i pullman. A Giurisprudenza, votarono molti giovani Cattolici e riuscii il primo eletto e diventai, per due anni, il Segretario del Consiglio di Facoltà. All’epoca, Franco Maria Malfatti era il segretario del Movimento giovanile nazionale democristiano.

Dopo l’università, è iniziato l’impegno a Terni?

Sì, è cambiato il mio impegno, non più nell’Azione Cattolica, ma nella Democrazia Cristiana locale e regionale. Dicevano che parlavo molto bene e mi mandavano a fare i comizi in provincia. Avevo il sostegno e l’amicizia dell’On. Filippo Micheli al quale debbo moltissimo. Era un esponente autorevole del Partito ed è stato fondatore della D.C. In Umbria. Deputato per 11 legislature, dal 1948 al 1994. Più volte sottosegretario all’Industria e alle Finanze. E successivamente, Segretario Nazionale amministrativo del partito.

Dei personaggi politici di allora chi ricordi in particolare?

Ecco, appunto: Filippo Micheli. Voglio vivere in grazia di Dio, quindi parlerò solo di chi ho conosciuto sino in fondo e ho stimato. Micheli era un interprete della carità cristiana. Ha dato tutto se stesso alla azione politica. Era un personaggio inattaccabile. Per esempio, partiva da Roma per andare a Cerreto di Spoleto a giocare a carte con il Sindaco. Parlo dei primi anni ’50, un Sindaco che mandava telegrammi al Presidente della Repubblica di questo tenore: “Qui piove che se fina. Chi ce dà i quattrini per riparare il tetto?” Micheli è stato veramente un uomo di popolo, vicino alla gente. In campagna elettorale, faceva anche 4 – 5 comizi al giorno.

Quale la prima candidatura a livello nazionale?

Nel 1968, giocai la carta di candidarmi alla Camera dei Deputati. Il comitato provinciale di Terni si espresse pressoché alla unanimità. Quasi, in quanto Micheli si astenne. Ebbe timore della mia presenza in lista. A Rieti – disse – c’era Malfatti che avrebbe fatto il pieno; a Perugia Radi e lui, Micheli, a Terni dove la D.C. faticava a prendere i voti. Gli spiegai che il mio impegno era finalizzato ad avere, a Terni, il secondo Deputato.

Non prese bene la tua presenza in lista.

Con i Dorotei si lamentó dicendo: “Perché mi avete fatto lo scherzo di candidare Nicolini, che ho creato io?”

Lo rassicurarono: “Nicolini, seppure con il sostegno della sorella, molto attiva nel CIF, prenderà al massimo 2 – 3 mila voti”.

Invece come fu il risultato?

In quella occasione, presi quasi 17 mila preferenze. Successivamente, circa 27.000. I voti da me riportati erano, in gran parte anche di Micheli. Comunque un importante suffragio. Ottimi risultati su Perugia e Rieti e ben 11.000 a Terni che è piccola come provincia. Non potevo non presentarmi: la concorrenza era forte e, mi dissi, se faccio passare qualche altro anno, io sparisco, perché non ho nessuno alle spalle. Ero moroteo e lo sono ancora. Moro mi voleva bene. Ai miei figli non lascerò eredità economiche, ma una lettera autografa di Moro nella quale dice: “Caro Renzo, la tua eccezionale dirittura morale non potrà non dare, prima o poi, un forte contributo a soddisfare le esigenze dei giovani”. Mi disse ancora: “Troviamo qualche cosa che ti impegni nel campo della organizzazione”. Fui nominato dal Governo Presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo, dove sono rimasto per 16 anni.

Una esperienza di notevole responsabilità.

Dopo 12 anni, il massimo consentito dalla legge, decisi di lasciare, ma comunisti e democristiani vollero che rimanessi. Apportai molte novità con la legge che attribuiva risorse finanziarie. Quando lo presi, il Credito aveva un capitale di 10 miliardi; quando l’ho lasciato, la capacità operativa era di 700 miliardi. Puntavo non allo sport come oggi, ma alla pratica sportiva. Ebbi un forte scontro con il Governo Craxi, in occasione dei Campionati del mondo di calcio del 1990, quando si voleva caricare all’Istituto la spesa per la costruzione o ristrutturazione degli stadi.

Cosa accadde?

Venne da me il Ministro ad illustrare il progetto, gli dissi: “Il Credito Sportivo finanzia solo gli impianti per la pratica sportiva”. Mi fu riferita una frase pronunciata nel Consiglio dei Ministri: “Ma chi è questo Nicolini?” Qualcuno rispose: “È un democristiano, ha De Mita dietro”. Allora fecero una legge speciale – la n. 65 del 1997 – nominarono Carraro Ministro (Turismo e Soettacolo, dal 28 luglio 1987 al 6 febbraio 1990, n.d.r.) per amministrare soprattutto i fondi speciali per gli stadi, perché mi ero opposto ad utilizzare quelli del Credito. I comunisti hanno sempre condiviso le mie scelte. I morotei godevano di ampia stima. Oggi, personaggi come Moro e Berlinguer non ci sono più.

Hai vissuto la fase della Azione Cattolica. Anche quella del tormento, quella di Carretto e di Rossi?

Condividevo la linea di Carretto. Fu un confronto molto difficile. Io ero già impegnato in politica quando a Terni si fece un dibattito sul divorzio in merito alla proposta di legge Fortuna, non c’era nessuno della D.C. mentre erano presenti i rappresentanti di tutti i partiti divorzisti. Mi chiamò il vescovo Dal Prá il quale mi stimava molto. Mi disse: “Renzo vai a rappresentare la nostra tesi”. Una sala gremita.

Come si svolse la discussione?

Spiegai che ero venuto a parlare non a nome della DC, ma come cittadino. “Perché – sottolineai – quelli in discussione sono valori morali valori etici che riguardano la società non deve essere una questione partitica. Parlo anche come padre, come marito e come avvocato. E come appartenente all’Azione Cattolica che è contraria al divorzio. Sono favorevole a una legge che aumenti i casi di nullità o di annullabilità del matrimonio. Soprattutto riguardo la parte più debole e impegnata della famiglia. Lo prevedeva pure il diritto romano. Io ritengo percorribile questo itinerario”. La stessa cosa dissi in un’assemblea di parlamentari: il divorzio non è negativo in quanto tale. È negativo invece perché creerà una mentalità di costume e un modello di vita che farà dire alla gente prima la sposo e poi se non va bene ci separiamo.

Si potrebbe considerare un matrimonio uso e getta.

È una questione che seguo attualmente. Soffro quando mi accorgo che, in TV, non si trova un cattolico che risponda con coraggio, con logica quando si parla della famiglia, dei diritti civili di famiglie, di due uomini e due donne.  La famiglia sono secoli che è un istituto tra marito moglie e figli. Se se ci sono due uomini o due donne che si piacciono, affari loro. Chiamatele unioni civili, ma non famiglia. È un rapporto di amore che mi pare strano, ma rispetto.  Peró non si può chiamare famiglia. Io in  Parlamento votai contro il divorzio.

Quando fu approvata la legge sul divorzio, Andreotti fece intervenire in Aula tutto il gruppo Dc, 265 deputati e venne pubblicato il libro “In opposizione al divorzio”.

Il Vaticano si impose a Fanfani, il quale in sede di referendum non ebbe il coraggio di De Gasperi che rifiutò l’operazione Sturzo per una alleanza con la destra fascista nelle elezioni per il sindaco di Roma. De Gasperi ci ha sofferto,  ma non ha ceduto. Mi commuovo quando ricordo questi fatti. Uomini che hanno dato la vita per l’Italia. Moro è morto perché stava aprendo una prospettiva politica diversa, di riforme nell’azione culturale e di governo.

Quale è stato il rapporto con Aldo Moro.

Di stima, rispetto e l’amicizia. Ricordo una sera a cena. In risposta alla mia domanda riguardante il principio delle “convergenze parallele”, disse : “Renzo tu conosci come funziona il binario ferroviario. Ha due rotaie. Se due partiti – la DC e il Pci – condividono i valori della libertà e della democrazia perché non operare per l’affermazione di quei valori? Questa è una fase in cui il socialismo reale sta dimostrando il suo fallimento; per lo stesso Berlinguer il comunismo ha perso la sua carica rivoluzionaria. Ognuno – DC e PCI – può restare nella propria valutazione della politica, ma le rotaie ti possono portare insieme alla stazione. Le rotaie non si incontrano mai, possono essere utili per raggiungere la stazione. Il PCI prende il 34 per cento dei voti: possiamo ignorarlo secondo te? Oppure scontrarci nelle piazze?”.

Una tesi forte e di difficile lettura per gli elettori democristiani.

Sottolineó: “Un binario che vuole andare alla stessa stazione ha due rotaie. Noi abbiamo due visioni diverse. Vedremo se si impegnano nella difesa di alcuni valori fondamentali, quali la libertà di opinione e di stampa di democrazia”. La scomparsa di Moro e Berlinguer ha segnato la fine di una prospettiva politica che fu denominata compromesso storico. Ha segnato una grave perdita pure la morte di Papa Montini che fece notevoli interventi per salvare la vita a Moro. Pronunciò la famosa frase: “Dio, mi domando perché non hai voluto ascoltare la mia voce”.

Abbiamo parlato della GIAC il movimento giovanile della azione cattolica lo hai frequentato?

Poco, perché, nel 1952 dopo il contatto con il vescovo del quale ho parlato, mi sono impegnato nell’attività politica e dell’intesa universitaria a Roma.

Terni, l’Umbria, l’industria, le vicende dell’acciaieria, le privatizzazioni chi difende oggi questi interessi rispetto alla crisi della rappresentanza?

Micheli ha difeso sempre Terni e l’Umbria a spada tratta. Però due cose non le ha potute spuntare. La  prima, far entrare il nostro territorio nelle aree svantaggiate del Centro Nord per gli interventi della Cassa del Mezzogiorno. Ci si poteva arrivare perché vi inserirono parte della provincia di Rieti. L’amarezza fu poi più cocente quando fu nazionalizzata l’energia elettrica e la società Terni venne privata del suo enorme patrimonio di centrali. Ci furono Lombardi e Nenni che dissero “se non prendiamo anche il settore elettrico della Terni,  noi facciamo la crisi in quanto l’Enel senza la Terni non parte”.

Fu fatto un gravissimo errore in tale occasione.

Ci fu un emendamento Anderlini – Radi, purtroppo, accolto dalla maggioranza e Lombardi e Nenni diedero avvio alla nazionalizzazione e al centro sinistra. L’emendamento venne inserito nel testo dell’articolo 5,  comma 5, nella seduta della commissione speciale del 14 luglio 1962. Gli stessi presentatori Anderlini, Radi, Riccardo Lombardi, Battistini, Isgró, Oronzo Reale presentarono in Aula un ordine del giorno sulla destinazione dell’indennizzo allo sviluppo della siderurgia della soc. Terni il 7 agosto 1962 accolto dal ministro dell’industria Emilio Colombo. La questione della situazione economica dello sviluppo dell’Umbria fu esaminata con specifiche mozioni nel febbraio 1960.

Dovevano fare la “Irizzazione”.

È un discorso troppo lungo. Dico solo che salvarono la Fiat, la Edison e altri perché erano autoproduttori. Significava che l’energia prodotta, per la maggior parte era consumata dall’azienda stessa, così come avveniva per la soc. Terni. L’altra amarezza, legata a questa vicenda, riguardo all’indennizzo dei 600 miliardi che dovevano andare alla società Terni. Che ti fanno il governo, i socialisti e l’Iri? Fanno la fusione tra la soc. Terni e la Finsider e i  600 miliardi finiscono a Taranto. Diventai  matto per trovare una o più azioni della soc. Terni e contestare in sede legale la fusione che era palesemente truffaldina. Le azioni erano introvabili. Hanno fatto di peggio: presi 600 miliardi hanno rincorporato la soc. Terni che è diventato operativa soltanto nel settore siderurgico.

Attualmente l’economia ternana come va? Prima era una one town company.

Ha avuto alti e bassi. Adesso sembra che l’acciaio della soc. Terni  sia di altissima qualità e valore. Feci una conferenza al Rotary di Terni nel 1992 e  dissi: “Attenzione che se la globalizzazione si affema senza un governo mondiale, con poteri forti nel mondo della finanza e dell’economia industriale, i ricchi diventeranno sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Ci sarà una concorrenza non più solo italiano ed europea, ma anche mondiale e sarà dominata dalla finanza”. L’ acciaio cinese e coreano vale la metà rispetto a quello dell’attuale Acciai Speciali Terni, ampiamente più diffuso in Europa. Questo non va bene nella concorrenza mondiale. Solo chi ha il potere politico può influire.

Chi difende oggi il territorio con questa legge elettorale che ha ridotto la rappresentanza e, in Umbria, ancora di più?

Nessuno. Stanno facendo cose assurde. La Regione, prima sempre dominata dei comunisti, con i democristiani che si accontentavano delle briciole, ora è  ferma. Il mondo cattolico non ha più voce in capitolo. Non c’è un leader in questa regione, né cattolico né laico. Il  professor Luca Diotallevi, Presidente dell’Azione Cattolica di Terni in un articolo di fondo del 27 ottobre 2022 sul Il Messaggero parla di geopolitica. Lui è un uomo di fede, ma la politica non la vuole fare perché ritiene che non esistano le condizioni. Le condizioni però non devi aspettare che esistano, le devi creare. Si sta battendo per una presenza diversa, ma è difficile. L’Umbria non ha nessuno che la rappresenta al governo oppure nelle sedi decisionali. C’è Arvedi, il nuovo proprietario della A.S.T che sembra innamorato di Terni. Speriamo bene!

La grande azienda siderurgica ternana, verso la fine del secolo scorso era in crisi.

Nel 1994 ero presidente del Rotary che aveva un certo peso propositivo nella comunità locale. Quando la Finsider decise di vendere l’acciaieria che perdeva, ogni anno, diversi miliardi, organizzai un convegno al cinema Fiamma. Parteciparono tutti i principali operatori del settore dell’acciaio: Arvedi, Marcegaglia, Agarini, la Thyssen Krupp. Ed anche il ternano Enrico Micheli, allora direttore generale dell’Iri. L’azienda è stata venduta per 600 miliardi, ma valeva di più perché l’IRi aveva fatto, nell’azienda, notevoli investimenti.

Esistevano altre proposte di rilancio?

C’era un progetto per fare una finanziaria con partnership tra diversi investitori industriali e cioè Riva, Falk, Agarini,  Thyssen Krupp. Sollecitai perché nella operazione ci fosse la presenza della comunità locale, ternana e umbra. Si dissero aperti alla proposta, ma, a Terni, non c’è la cultura della leadership.

Stai ponendo ancora molta attenzione alle vicende attuali ed a quelle del passato.

La mia fortuna è stata che portai l’Istituto per il credito sportivo a un elevato livello finanziario e operativo. Quando fu approvata la legge che aumentava il contributo del Totocalcio (c’era Spadolini), lo feci con un’azione complessa. Invece che al fondo contributo e interessi, il  maggiore contributo veniva destinato al patrimonio, per cui le capacità di emissione obbligazionaria aumentarono enormemente. Avevo portato una norma a stabilire che il Credito Sportivo poteva emettere obbligazioni fino a 50 volte il suo patrimonio. Una potenza finanziaria enorme. Per esempio se il montepremi del Totocalcio era di 35 milioni, il 3 per cento dell’Istituto era calcolato non su 35, ma su 90, in quanto il montepremi settimanale era un terzo dell’incasso totale del concorso. Ricordo che scendendo le scale del Senato dove ero  andato a spiegare queste cose, mi chiedevano: “Che cosa ci vuoi fare con tutti questi soldi?”

Insomma, quasi una rivoluzione.

La mia aspirazione era ampliare l’intervento del Credito Sportivo all’edilizia turistico – alberghiera. In futuro con quel fiume di denaro si poteva finanziare anche l’edilizia abitativa popolare. Quando celebrammo il  50º anniversario dell’Istituto al Teatro Eliseo di Roma, il nuovo presidente – bontà sua –  disse: “Abbiamo l’onore di avere tra noi chi ha fatto il Credito Sportivo, non il sottoscritto”. Scoppiò un grande applauso che mi commosse. Ho lasciato, quell’incarico e volevano farmi fare il direttore generale. Dissi a Carraro che dopo 16 anni, avevo  bisogno di altre motivazioni professionali. A me piace più creare e attivare iniziative che gestire per tanto tempo quelle realizzate anche con successo. Sono tornato a Terni a fare politica come Assessore comunale.

Quella attuale è l’etá delle soddisfazioni familiari.

Ho fatto studiare i miei figli perché non volevo che stessero a Terni per avere né i vantaggi e né gli svantaggi. Un figlio ha frequentato Harvard, fa l’avvocato internazionale, scrive di alta finanza. Un altro  è astrofisico e sta in Brasile. Ha scelto una strada piuttosto “gandhiana” quella di stare dalla parte dei poveri. Ce l’ha con il mondo ingiusto e pieno di disuguaglianze. Infine una figlia che ha vissuto in Svizzera poi a Milano. Per effetto della globalizzazione ho figli sparsi per il mondo. Figli e anche nipoti – cinque – che hanno studiato  a Parigi, Londra, Cina e Canada.

Si potrebbe dire una famiglia internazionale.

A Natale, ci riunivamo prevalentemente all’estero, tra Miami e New York. Ora però la mia età mi ha fatto dire basta: incontriamoci dalle mie parti.

Maurizio Eufemi – Già senatore nella XIV e XV legislatura

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