La Galleria di Eufemi. Calogero Mannino, enfant prodige della politica

"Rileggere i discorsi di Moro". Con il suo assassinio si volle sconfiggere la capacità, il ruolo della Dc di mediare, fare sintesi. Quando Vassalli comunicò la scelta di Falcone direttore degli Affari penali, Andreotti domandò: come nasce questa cosa? Risposta di Vassalli: La vuole Cossiga Nazionalizzare l’energia elettrica fu un errore gravissimo. Bastava irizzarla. Quando Gorbaciov mi ringraziò

Oggi parliamo con Calogero Mannino, enfant prodige della politica, essendo stato eletto giovanissimo in tutte le istituzioni, da quelle locali a quelle nazionali. Leader politico della Dc, deputato e senatore, più volte ministro della Agricoltura, dei Trasporti e della Marina Mercantile. Non parliamo delle sue drammatiche vicende personali, della tragedia giudiziaria che lo ha visto vittima di un trentennale calvario, neppure della sua profonda cultura musicale o dei suoi hobby enologici coltivati nell’ amata Pantelleria, ma di Politica, quella vera, autentica, di un impegno culturale e politico lungo tutta una vita rileggendo gli avvenimenti attraverso i suoi ricordi.

Partirei da molto lontano. Il primo esordio in politica?

La mia avanzata adolescenza, gioventù, si caratterizza per la militanza attiva nella Gioventù italiana di azione Cattolica (Giac) all’interno della quale assumo delle responsabilità, sia a livello diocesano sia regionale. L’esperienza della Giac, in una fase storicamente molto importante, quella del trapasso dalla Presidenza di Carlo Carretto e Mario Rossi alla presidenza di Enrico Vinci.

Con tutte le polemiche e le tensioni che c’erano state negli Anni Cinquanta!

Sì, con tutte le polemiche, con quel fervore di idee e con quell’entusiasmo, la partecipazione attiva a tutte le forme di organizzazione della vita e dell’Azione Cattolica. Ricordo proprio sotto questo profilo, con qualche nostalgia, le occasioni molteplici di conoscenza, di esperienza, e di formazione, strettamente legata a questa è l ‘esperienza della Fuci. (Federazione universitari cattolici italiani)

A Palermo?

Sì, la Fuci aveva a Palermo una presenza fortemente caratterizzata. Dovrei ricordare tutti i grandi professionisti e i politici che sono usciti dalla Fuci di Palermo.

 

 

Chi ricorda di quel periodo?

Ferdinando Russo e Lello Rubino che sono gli esponenti politici di qualche anno più grandi di me, con i quali compiró l’esperienza politica che porta dentro la Democrazia Cristiana. Siamo  già al 1956 – 58 quando la Segreteria di Fanfani,  rompendo l’equilibrio della classe dirigente democristiana che si era formata attorno a De Gasperi,  provoca l’immissione di giovani energie. Noi siamo più giovani, siamo più ragazzi, ma siamo al seguito di questo movimento che si va formando e che porta al rinnovamento generazionale delle elezioni politiche del 1958. Il Movimento Giovanile della Dc diventa la piattaforma di accoglienza di tutte queste esperienze che si sono formate nella Giac e nella Fuci. Il movimento giovanile guidato nel passaggio che va da Franco Malfatti a Celso de Stefanis.

Chi ricorda in particolare?

Vorrei ricordare tutti gli amici che si sono formati e costituiti politicamente come soggetti importanti nella vita e nella storia della DC. È un dovere ricordare tantissimi nomi, tantissime esperienze, ma io voglio ricordare soprattutto il clima culturale in cui attraverso l’arrivo di Fanfani alla Segreteria della Dc, la formazione di quella classe dirigente che si richiama a una corrente, Iniziativa Democratica,  rappresenta però la saldatura con tutte queste esperienze culturali che dal dossettismo e accanto al dossettismo – che non è l’unica esperienza all’interno del mondo cattolico, sia  della Giac sia della Fuci – e che è una delle più importanti e una delle più attive. Questo è il paesaggio all’interno del quale vado costituendo e organizzando il mio impegno politico. In quello stesso contesto, quando poi terminati gli studi universitari, siamo nel 1961, passo all’Università di Torino come assistente volontario di Siro Lombardini nella cattedra di Politica Economica, insieme a Francesco Forte, c’è un salto di livello nella mia formazione, nella costruzione, nel mio essere soggetto di pensiero politico e quindi di diventare in qualche modo un soggetto attivo. È il tempo in cui inizio a collaborare anche con la Cisl.

A Torino?

Sì, si, ma intanto in Sicilia, perché non perdo mai i contatti, è diventato deputato Peppino Sinesio che viene dalla Cisl e quindi quando sto a Torino stabilisco rapporti con Donat- Cattin e attraverso Donat- Cattin, proprio perché collaboro con Siro Lombardini, divento un collaboratore di Vincenzino Saba.

 

Che poi diventerà presidente della Fondazione Pastore?

Sì, in quel tempo Giulio Pastore è ministro dell’intervento Straordinario nel Mezzogiorno. Vincenzo Saba era il dirigente dell’ufficio formazione del centro studi della Cisl.

La Cisl  era molto attiva a Torino?

Sì. Io mi vado collocando nell’arco di rapporti anche personali. Non posso non ricordare,  anche per l’esito purtroppo incidentato della sua vicenda politica, Celso de Stefanis, che fu dirigente del movimento giovanile della Dc con le caratteristiche di un vero e proprio leader,  di un vero e proprio caposcuola, di un vero e proprio capofila. Questa è la stagione in cui nel Movimento Giovanile Dc c’è una frangia; ricordo Franco Mazzola e tante persone che non ci sono più. È appena uscito Bartolo Ciccardini, ma rimane collegato a quel livello di esperienze politiche. Altri amici che non ci sono più. Arriviamo alla fine di questo percorso in cui c’è Mario Tassone, Gilberto Bonalumi.

E Giuseppe Gargani!

Il Vescovo di Agrigento nel 1960, un vescovo molto, molto forte, importante nella storia della Chiesa Italiana, è Mons GiovanBattista Peruzzo, un autentico Maestro di vita,  innanzitutto religiosa, di vita morale, ma al tempo stesso un animatore di esperienze politiche. È un Vescovo che già alla fine degli Anni Trenta ha introdotto nella organizzazione degli studi in seminario l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. Siamo ancora in un tempo molto primitivo della elaborazione della dottrina sociale della Chiesa. Il documento più importante con la Rerum Novarum e la Quadrigesimus  Annus, però Mons Peruzzo, piemontese, nominato vescovo di Agrigento dopo essere stato ausiliario di Mantova. era stato mandato prima in Calabria, poi ad Agrigento perché a Mantova era stato ucciso dai fascisti un giovane dirigente dell’Azione Cattolica e dirigente del Partito Popolare e il vescovo ausiliario era insorto, si era ribellato a quel triste eccidio. Aveva preso una posizione molto forte, polemica nei confronti dei fascisti, del movimento fascista nella fase avanguardista, quindi era un Vescovo di carattere e di tempra molto forte.

Era anche un formatore?

Nel 1960 mi obbliga a candidarmi alle elezioni provinciali. Lo ricordo ancora con devozione e affetto. Vorrei dire anche con qualche intento didattico, Mons Peruzzo mi manda a chiamare in Vescovado e mi dice “allora sei candidato nella lista della Dc”. Rispondo “ma eccellenza non avrei alcuna speranza di essere eletto”. “Tu non devi essere eletto; tu devi stare in lista per essere un canale dei giovani che devono scoprire la Democrazia Cristiana e la devono votare”. Il risultato invece fu straordinario perché fui eletto secondo in provincia di Agrigento quindi con un suffragio quasi clamoroso,  la sua sfida era stata  in una lista per essere un canale di dialogo con i giovani elettori. Ecco l’importanza, la sua visione molto didattica; come tutti i grandi maestri non rinunciava ad essere un docente di piccole esperienze. Esperienze meno rilevanti che risultavano le più significative.

Quindi con la elezione alla Provincia termina la esperienza alla università di Torino alla facoltà di economia e commercio in Piazza Albarello?

No, continua ancora per alcuni anni. Tra l’altro, coltivavo la speranza di essere ammesso in uno dei rari concorsi per assistente ordinario, occasione che invece non mi si presentò e in un tempo successivo dovendo fare i conti con la vita, cominciai a partecipare ad alcuni concorsi, li vinsi quasi tutti, poi scelsi l’Amministrazione Finanziaria, dove mi calai,  perché era giusto,  come pretendeva mio padre. Ricordo a proposito uno scontro con mio padre. “Io non ti impongo di non fare politica, perché non potrei, però ti impongo innanzitutto di trovarti un lavoro, una sistemazione dove la tua vita non dipenda dalla politica anzi dimostri di essere autosufficiente e autonomo. E vinsi  il concorso nell’ Amministrazione Finanziaria!

Dopo la esperienza alla provincia?

Si presentarono le elezioni regionali del 1967. In quel tempo gli amici della CISL erano entrati in arco di collaborazione politica con la sinistra di Bbase, anzi il titolo Forze Nuove è il titolo che riassume questa nuova aggregazione della sinistra Dc componente Cisl, una rinnovamento democratico che faceva capo e riferimento a Donat -Cattin e la componente Base faceva riferimento a Albertino Marcora; due leader, due maestri della vita politica italiana, due combattenti e anche due eroi. Proprio voglio dirlo ricordando di Donat -Cattin, la tempra di sindacalista moderno, di sindacalista capace di affrontare anche il confronto con la CGIL, e con il Partito comunista su un terreno non più  caratterizzato dal ricorso al populismo, ma sul terreno della capacità di interpretare le linee e le esigenze del mondo del lavoro in rapporto al mondo produttivo, al mondo industriale, e anche al mondo agricolo.

Quindi attento ai problemi e al dinamismo della società!

Quindi un sindacalismo non piu paternalista, ma un sindacalismo altamente politico, altamente maturo. La battaglia di Donat- Cattin dentro il sindacato era una battaglia anche difficile perché esistevano altre linee interpretative del ruolo e della funzione sindacale, però io mantenendo sempre il rapporto con l’ufficio studi della Cisl ormai ero nell’agone politico. D’altra parte, avendo un lavoro autosufficiente, compatibilmente con il lavoro, operavo in politica. Si presentarono le elezioni regionali del 1967. Nel 1967 il segretario nazionale della Dc era Mariano Rumor. Ricordo che Donat- Cattin e Peppino Sinesio erano orientati a lanciarmi nell’agone elettorale. Avevo maturato la mia disponibilità, ma certamente non era facile, ero molto giovane. La Dc in quel tempo aveva delle presenze politiche molto forti, per esempio a livello delle elezioni regionali in provincia di Agrigento gli esponenti Dc erano tutti di primo piano, di grande livello. Deputati regionali erano stati Peppino La Loggia, poi Presidente della commissione Bilancio alla Camera, l’On Angelo Bonfiglio che verrà anche in Parlamento nel 1983, quindi esponenti politici molto qualificati. Per la verità la Dc di Agrigento e quella siciliana non mi inclusero nella lista e ricordo per darne merito, per sottolineare il valore di certe leadership nella Dc, l’on. Rumor segretario nazionale della Dc il giorno in cui era riunita la Direzione per approvare le liste della Sicilia chiamando la lista di Agrigento per prima per ragioni di ordine alfabetico, in questi termini testuali, il segretario organizzativo  allora era Nino Gullotti, un leader politico, molto temprato soprattutto ad esercitare qualità organizzative e forte anche della sua inclinazione e natura diplomatica, però non ero stato inserito in lista né ad Agrigento né a Palermo.

 

Allora l’On Rumor chiamando la lista di Agrigento disse “Gullotti introduci la lista di Agrigento. Mannino è in lista; ovviamente è il numero 1”.Non ci fu discussione. A Gullotti non fu possibile dire “ma no la proposta della commissione provinciale, della commissione regionale … etc perché Mariano Rumor aveva deciso che Mannino fosse in lista. Mariano Rumor era il leader dei Dorotei, Donat -Cattin non gli aveva neppure parlato. Aveva fatto un cenno. “Non vorrei che ci fossero delle difficoltà. Il problema noi lo porremo”. Rumor anticipò tutto. C’erano le correnti, ma non erano paratie stagne che non comunicavano tra di loro.

Come possiamo valutare l’atteggiamento di Rumor verso il movimento giovanile e il pluralism interno?

Un segretario come Rumor guardava all’insieme delle esperienze, dei valori delle persone delle rappresentanze che la Dc doveva raccogliere. E Rumor non si faceva mancare l’occasione di mettere accanto a grandi personaggi politici come Bonfiglio, un ragazzo di 25 anni appena. Lo sottolineo per dire come in quel tempo già molto difficile,  perché stiamo in una stagione di centro sinistra avanzato con il Governo presieduto da Moro con rapporti sempre più difficili, conflittuali contraddittori con il Partito Socialista con una società italiana , siamo nel 1967 che accenna già e anticipa quello che esploderà l’anno appresso con il 1968.

 

E con intelligenza politica anticipatrice Rumor indica nella candidatura di un giovane di 25 anni l’apertura della Dc al mondo giovanile la capacità di raccordarsi alle giovani generazioni. Una battaglia complessa quella della mia elezione. Poi accadono le cose paradossali della vita politica. Fui addirittura il primo eletto con diecimila voti di differenza sul secondo che era un personaggio politico importante:  l’on. Angelo Bonfiglio, peraltro in quel tempo era l’ assessore regionale ai lavori Pubblici. Quindi ero il piccolissimo Davide senza che Bonfiglio fosse Golia, perché era una personalità politica di grande rilievo però rappresentava il potere, il potere tradizionale, tra l’altro già suo padre era stato deputato regionale e presidente della Assemblea Regionale siciliana, quindi era un mondo consolidato, un mondo sociale,  un ceto integrato dentro la Dc contro un giovane outsider, un giovane che rompeva le fila.

Quello che esploderà nel 1968 sul versante che i partiti politici non furono in condizione di potere interpretare perché, non dobbiamo dimenticarlo,  il problema più importante era la linea che seguiva il PCI, di preservazione intransigente della politica del Partito e quindi tutti I tentativi di irruzione esterna non venivano minimamente accolti benché mai mediati.

Infatti in quel periodo c’è la stata la scissione del “Manifesto”

Senza volere dare giudizi storici che meritano approfondimenti particolari cosa fu la scissione del Manifesto?: la chiusura del gruppo dirigente togliattiano in una  difesa intransigente della tradizione storica. Valore politico degno di grande rispetto, ma che non poteva ignorare l’istanza, l’iniziativa di quel gruppo politico di dirigenti, di giovani. Il più giovane era Lucio Magri che proveniva da una storia del movimento giovanile Dc.

Dal movimento giovanile di Bergamo!

Aveva nei suoi precedenti anche questa esperienza, questa militanza dentro la Dc. Magri è uno di quegli esponenti di quel frammento di mondo cattolico che in quel tempo, non più appagati dalla storica linea del “Centro”, del rapporto con il Psi, vagheggiava ipotesi politiche anche diverse come si usava dire in quel tempo “più avanzate”. Ma nel mondo comunista l’istanza del Manifesto era molto diversa rispetto alla semplice esigenza di ricambio generazionale, perché era l’istanza fondamentale della affermazione della libertà, l’esperienza del Manifesto da noi giovani Dc fu seguita con simpatia. Devo ricordare questi aspetti perché in quel tempo c’era una linea di confronto, di comunicazione con i giovani del Psi e del Pci e soprattutto con i giovani che partendo dal ci animavano spinte che più in avanti di rileveranno purtroppo tragiche, quelle che portano a movimenti terroristici.

La presenza e il ruolo del Manifesto di Lucio Magri, Luigi Pintor, Luciana Castellana, Rossana Rossanda, Valentino Parlato rispetto al Pci era più intellettuale che non numerica.

Esercitò una influenza, una “impressione” sull’area giovanile democristiana e socialista. Si forma la sinistra socialista che avrà come leader Claudio Signorile che stava dietro a Riccardo Lombardi, che è un protagonista del centro sinistra di Moro. È uno degli autori di un provvedimento importante.

La nazionalizzazione della Energia Elettrica! C’è un articolo di Gianni Riotta che recensisce un libro di Gotor sulla generazione Anni Settanta. Sui misteri inconfessabili di quegli anni da Piazza Fontana a Calabresi. C’è il ricordo della coincidenza tra strage di Piazza Fontana e approvazione in Senato dello statuto dei lavoratori!

Stiamo conducendo un ragionamento che non coincide con la tesi di Gotor, ma nella Dc stessa c’è un fermento politico molto intenso soprattutto nelle fasce giovanili che per la loro esperienza anche culturale a volte sono sul confine della Cisl, sul confine delle Acli che avranno una funzione particolarissima. Di li a qualche tempo ci sarà il movimento di Livio Labor (Acpol e MPL ndr) per il secondo partito cattolico.

Però al di sotto di questo subbuglio giovanile che esploderà dopo nel 1968,  il paese che aveva realizzato compiutamente gli esami del grande  miracolo economico, gli altri  dieci anni del centro sinistra, che aveva rivoluzionato quello che aveva potuto rivoluzionare; certo il Psi era sempre inappagato con il governo Moro che viene accusato spesso di essere un governo lento. Moro come capo di governo non ha avuto molti apprezzamenti e molti applausi anzi è stato contestato,  ma invece il suo merito è stato quello di fare le cose che si dovevano fare per l’accordo e l’intesa politica con il PSI  dentro una certa misura che tuttavia ha impegnato la finanza pubblica in una maniera esorbitante.

Che giudizio si può dare dopo tanti anni di quella scelta?

Sessanta anni dopo, ragionando, possiamo dire che la nazionalizzazione della energia elettrica,  con quella procedura, con quella modalità fu un errore gravissimo. Sarebbe bastata, come volevano alcuni democristiani, ma anche alcuni dirigenti dell’Iri, la irizzazione. Sarebbe bastato preservare un’area, uno spazio di coabitazione della iniziativa privata, anche all’interno di un’unica struttura perché la funzione dell’Enel come ente nazionale era quella di unificare la rete elettrica e il sistema di produzione in una fase in cui l’Italia  era in una fase di paese industriale avanzato. Sono giudizi storici. Tutto questo risveglio, tutto questo subbuglio del mondo giovanile si presta – questa è la tesi di Gotor – a infiltrazioni. Sessanta anni dopo con qualche documento che è venuto fuori possiamo certamente concordare. L’interrogativo è che portata abbia avuto questa infiltrazione esterna che palesemente ha due origini, periferiche: la Russia, l’URSS e i paesi di oltrecortina che nel sistema comunista erano parte essenziale anzi erano la parte  più intransigente, tedeschi orientali e cecoslovacchi, per non parlare poi dei bulgari, che erano gli operativi molto attivi, si davano da fare per attraversare, per infiltrare le aree sociali e culturali del dissenso e stabilire dei fili che non erano solo di riflessione e di pensiero politico e di dialettica politica; purtroppo erano dei fili che portavano a iniziative anche strumentali.

Di pari passo, dall’altra parte,  il sistema occidentale, non si fidava più, sicuramente della Dc, a questo punto è giusto ricordare una cosa, caro Maurizio: sono gli anni purtroppo della guerra del Vietnam e della esplosione di un dissenso in tutta Europa, ma in Italia particolarmente, di un  dissenso giovanile e non solo giovanile nei confronti degli Stati Uniti.

E della Nato !

È un tempo in cui l’Italia si distacca psicologicamente dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, in Italia, nel ’46-’47 si era presentati come il paese campione della libertà e campione della democrazia. Gli Stati Uniti erano coloro che avevano sconfitto il nazismo, sconfitto il fascismo, gli Stati Uniti ci portavano un modello di vita, i film di Frank Capra tutti ispirati all’ottimismo proprio di una società che vive in libertà e che vive di libertà e che si dà  degli obiettivi di felicità umana. Ho ricordato i film di Capra, ma non soltanto, i film di quel tempo, la cinematografia americana  è importante in quella stagione, in termini culturali,  perché creano un modello degli Stati Uniti in quegli anni.

E invece presso i giovani del 1968, gli Stati Uniti per effetto del Vietnam,  non sono più i campioni della libertà e questo cosa provoca l’apertura di quel gioco di fuoco,  quell’intreccio  purtroppo mostruoso che coinvolge il deepstate cioè Sezioni, segmenti degli apparati di stato.

Sono cose delicate, anticipo una mia opinione, che ci portano al 1992. Anzi che nel 1992 trovano un loro tragico epigono. Nel momento in cui è caduto il muro di Berlino queste forze si devono ritirarsi dal campo, ma per ritirarsi dal campo non possono abbandonare reclutati, alleati, mercenari, truppe varie,  anche ideologiche. Il 1992 è la conclusione di questo processo che si apre proprio  in quegli anni ‘67-‘68, negli anni del dissenso, della attacco alla politica, ma quale  si va sviluppando,  tra l’altro,  in una condizione in cui l’economia italiana adesso ha delle necessità di essere difesa e protetta, il che avviene molto spesso anche in ragione delle negoziazioni sindacali con  il ricorso al debito pubblico. C’è una polemica sempre sul debito pubblico, ma non c’è una ricostruzione storica molto onesta perché se ci fosse, dovrebbe mettere li in quegli anni l’avvio delle politiche deficitarie di bilancio di formazione del debito pubblico, perché bisogna  affrontare la spesa previdenziale in termini emergenziali. C’è un intreccio-Il quadro di tutto,  il quadro del dramma è ancora aperto in questo Paese.

Nel 1992 si è rotto l’equilibrio che era già posto in crisi e si era sostanzialmente dissolto e questo equilibrio non è stato più ricomposto. La condizione storica dell’Italia proprio  è dentro questa voragine, la voragine  non del debito pubblico, ma la voragine  del sistema, la voragine dei valori al punto tale che la forma politica dominante è ormai quella del populismo cioè della irresponsabilità!

La rottura dell’equilibrio viene cifrata con la morte di Moro?

La morte di Moro è la sconfitta che le forze del deepstate proprio in collegamento e in collaborazione con questi segmenti della società che si sono costituiti in organizzazioni terroristiche vogliono infliggere alla iniziativa della democrazia italiana di mediare, di  recuperare e sintetizzare.

Quindi vogliono bruscamente interrompere questo percorso?

Vogliono interrompere un processo in cui bisognerebbe veramente a volte rileggere i discorsi di Moro e rileggere anche frammenti delle nostre riflessioni. Ho sempre stabilito una relazione molto stretta tra lo sviluppo del discorso politico di Moro e le premesse politiche, che sono date dai convegni di San Pellegrino.

Chi ha partecipato ai convegni di San Pellegrino può ricordare una delle cose che impressionò tutti che in nomine patris filii et….  l’apertura del primo convegno di San Pellegrino era dato da alcune relazioni sulla formazione dell’unità di Italia sui processi politici che avevano trovato compendio nella unità di Italia e che questa unificazione non fosse un dato definitivo, ma un dato da cui ripartire perché l’unità di Italia andava ricomposta, ricostituita innanzitutto a livello delle classi sociali con la ragione compromissoria  del centro sinistra e la strategia dell’attenzione, immediatamente dopo, cioè un processo unitario che ha  conquistato e dato la forma Stato Unitario nel 1860 sul piano politico deve ulteriormente compiersi.

Credo che questo criterio metodologico sia sempre una costante in Moro, ma è una costante che la Dc da De Gasperi in poi ha avuto: comporre la società italiana e ricomporla rispetto alle divisioni ideologiche alle divisioni di appartenenza – non ignoriamo – a sistemi che si contrappongono. A quel tempo la divisione del mondo era un fatto reale e la divisione del mondo autorizzava l’Italia. Apro un’altra parentesi. Oggi qualche storico ha incominciato ad esplorare. In quale momento durante la seconda guerra mondiale le forze antifasciste e antinaziste, cioè Stati Uniti e Regno Unito e URSS stabilirono che l’Italia potesse rimanere unita? Noi abbiamo dati documentali, cronache precise, dell’interesse dell’Unione Sovietica a prendersi un pezzo d’Italia, non soltanto Trieste, dell’interesse di De Gaulle, addirittura, in uno dei vincitori, a mettere le mani anche su Savona oltre che sulla Val d’Aosta.

Chi ha difeso l’unità  d’Italia?

L’Unità di Italia fu difesa da Roosevelt contro gli stessi Inglesi. Roosevelt difese la unità d’Italia escludendo che si potesse anche dividere l’Italia pur di salvare la Monarchia. In Roosevelt ci fu un disegno, poi morì nel 1945, piuttosto preciso sull’Italia che riguarda poi la funzione dell’Italia in Europa perché fu proprio andando dagli Stati Uniti a Casablanca, viaggiando insieme, che Roosevelt disse a Churchill, come è scritto in una bellissima biografia pubblicata l’anno scorso- : “Noi ci dobbiamo porre il problema dell’Italia perché se non risolviamo il problema dell’Italia i francesi e i tedeschi ci faranno la terza guerra mondiale”. E li Roosevelt che era il capo della massoneria mondiale fa una scelta in favore del cattolicesimo addirittura non ipotizza la formazione della Dc ma dice occorre che l’Italia con il Vaticano rappresentino il ponte di congiunzione tra la Francia e la Germania perché si faccia l’unità europea. Purtroppo i Presidenti degli Stati Uniti successori di Roosevelt non ebbero la stessa linea. La ebbe Truman che infatti fu un presidente molto favorevole all’Italia, molto favorevole a De Gasperi non la ebbe più Eisenhauer, non la ebbe Kissinger con Nixon.

I pessimi rapporti di Kissinger con Moro sono noti!

Arriviamo poi ai Clinton, i signori Clinton nominati da alcuni circoli pseudo intellettuali che hanno sempre giocherellato con le cose politiche dell’Europa e hanno considerato la Unità Europea un problema, considerato l’Euro un nemico, sono tutte cose che hanno contato nel 1992.

Questo ci riporta a chi ha voluto la fine della Dc nel 1992?

È questo il quadro nel quale la Dc viene assassinata!

 

C’è qualcosa da aggiungere. Di Donat- Cattin abbiamo parlato, poi De Mita e i rapporti con Andreotti.

Comincio da De Mita. Dopo il congresso del 1982 ho messo in crisi il mio rapporto con Donat- Cattin. Ero convinto che non si dovesse operare sulla logica chiamiamola “rigoristica” del preambolo, per una ragione tattica, per non lasciare alla sinistra Dc coltivare un feticcio che non c’era nella realtà: il rapporto con il partito comunista. L’assassinio di Moro è la liquidazione – e questo fa capire gli interessi all’assassinio di Moro – di ogni possibilità che in l’Italia il Pci vada al governo con la Dc ed è la fine di ogni possibilità che la Dc prenda i comunisti e li porti al governo. Per realismo politico bisognava pervenire a questa conclusione e a questa conclusione perviene il Preambolo. Però la concezione con cui viene gestito il Preambolo anche nelle alleanze dei tre frammenti, purtroppo dico una cosa molto dolorosa, molto affettuosa, Donat Cattin è un uomo che ha sopportato nella vita  una tragedia più grande della tragedia che la politica può a volte riservarti e la tragedia di una situazione che riguarda la sua esistenza, la sua vita personale, perché riguarda la vita di suo figlio e non è una cosa secondaria. È una cosa che merita riconoscimento e l’onore che si deve a Donat- Cattin che non è più il Donat- Cattin degli Anni Settanta è un Donat- Cattin che gioca in chiusura, in difesa.

 

E quindi?

Questa situazione porta la Dc a diventare il partner possibile del Partito Socialista, il coprotagonista con il Psi della sfida al Pci. Questo è un punto delicato. Nel 1982 ho tentato di trovare un accordo tra Donat- Cattin e De Mita. Non ci fu questa possibilità. Ma nel 1983, dopo le elezioni politiche al congresso di Agrigento, mi spiace usare questo pronome personale Io, io ho assunto la responsabilità della esclusione di Ciancimino dal comitato regionale Dc e dalla vita politica regionale della Dc siciliana. Nel 1983 non fui confermato al governo. Non è un mistero per nessuno che De Mita spiegava questa esclusione di Mannino dal governo Craxi in questo modo: Craxi voleva a ogni costo che rimanessi all’Agricoltura e quando De Mita pose un problema surrettizio che non esisteva e che cioè il Nord volesse il ministro dell’Agricoltura, Craxi aveva offerto una alternativa. Allora mandiamo Mannino al Mezzogiorno. De Mita scelse di mandare Salverino De Vito. Mi dispiacciono queste cose. Dopo il congresso di Agrigento in cui Io sono il responsabile della cacciata di Ciancimino non vengo confermato al governo. Però la storia è più grande delle miserie degli uomini! Nel 1984-1985 maturano le condizioni politiche per cui il Pool antimafia guidato da Falcone. Anche se il giudice istruttore era un galantuomo da Firenze venuto a Palermo, porta a compimento l’operazione che porterà al Maxiprocesso. Grande trauma, grande shock. De Mita è costretto a sciogliere gli organi di partito in Sicilia e chiede a me di fare il commissario della Dc regionale siciliana. Avrei potuto rispondere come si dice in siciliano “dove hai fatto l’estate, fai l’inverno”.

Beh si dice dappertutto.

Ho fatto un atto di amore alla Dc, ma anche – e adesso posso parlarne – un atto che mi è stato sollecitato.

Da chi?

Da Giovanni Falcone che, leggendo sui giornali che non avevo accettato la nomina a commissario regionale della Dc mentre al comitato provinciale era stato nominato Martella, mi chiese un incontro e in questo incontro mi incoraggiò a prendere questa responsabilità facendo un discorso molto importante: “Noi abbiamo l’occasione di sconfiggere ‘Cosa nostra’. Voglio che su questo la Dc faccia l’operazione che ha fatto con il terrorismo; la Dc e il PCI sul terrorismo non hanno giocato a strumentalizzarsi e a strumentalizzare la lotta contro il terrorismo. Così bisogna fare con la mafia, perché la mafia ha una capacità di intrigo, una capacità di utilizzazione di risorse occulte che richiedono invece una grande assunzione di responsabilità politica da parte di partiti importanti”. È stato questo discorso che mi ha convinto ad accettare! Come segretario regionale ho fatto le elezioni amministrative del 1985 con quasi tutti i Comuni della Sicilia con le liste rinnovate tranne Palermo, dove Mattarella trovò la sua linea di ricomposizione. In tutti i comuni Catania, Messina le liste furono rinnovate. Alle elezioni regionali ho levato 32 deputati uscenti della Dc, quindi ho fatto una operazione di ricambio complessivo del Partito.

Generazionale!

Ha consentito alla Dc di vincere le amministrative del 1985 e delle regionali del 1986, al punto tale che il risultato consenti a De Mita di gestire l’operazione Presidente della Repubblica con forza perché non era più il De Mita che aveva perduto 6 punti alle politiche del 1983. Quindi il risultato del 1987 in cui la Dc recupera. Ho fatto l’errore di rimanere sul luogo della mia responsabilità perché avrei dovuto capire che De Mita non sarebbe stato più nelle condizioni di rappresentare le linee di una leadership politica progettuale soprattutto con l’insuccesso del suo governo. Chiamiamo le cose con il loro nome.

Un anno di governo, il doppio incarico di presidente del Consiglio e segretario di Partito.

Se avessi avuto buon senso avrei dovuto in quel tempo comunicare le mie dimissioni dal Parlamento e il mio ritiro dalla vita politica. Invece ho portato a compimento il 1992 perché nel 1992 l’obiettivo importante per me non erano le elezioni politiche,  ma la conclusione del maxi processo che è stata possibile per tutta una serie di operazioni politiche. Qui do atto ad Andreotti di un grande atteggiamento di lealtà. Quando Giuliano Vassalli, ministro della Giustizia ha portato ad Andreotti la proposta per la nomina di Falcone a Direttore Generale degli Affari Penali, Andreotti con la carta in mano alzando gli occhi verso Vassalli chiede “ma dove nasce  questa cosa?”. Risposta testuale di Vassalli (qualcuno potrebbe dire ma come la sai?)

Me l’ha raccontata lo stesso ministro socialista. Vassalli rispose: “Me la sta imponendo Cossiga, ma è una cosa che sta gestendo Mannino”. Avevo molta confidenza con Giuliano Vassalli con cui avevo preparato – Maurizio dovresti ricordarlo – la memoria di difesa di Donat- Cattin nel processo che gli avevano fatto i comunisti in Aula. Ero vicepresidente del Gruppo.

Ricordo  infatti che il penalista,  l’avvocato Vittorio Chiusano venne  al Gruppo Dc nell’ufficio di Mannino, dove ascoltó attraverso la radio d’Aula la seduta comune di Camera e Senato per la messa in stato di accusa di Francesco Cossiga presidente del Consiglio pro tempore per il collegamento alla vicenda di Donat Cattin (quaranta anni fa non c’erano ancora il web,  né le trasmissioni in diretta, né televisori in tutti gli uffici, ma solo un piccolo altoparlante negli uffici dei dirigenti politici dei gruppi parlamentari ndr)

Sei prezioso perché eri un politico maturo e completo. Andreotti ha tenuto la linea di governo nella fase finale in cui con la nomina di Falcone e con l’assunzione da parte del governo dei provvedimenti che sono stati una sfida alla mafia e sono stati l’elemento di sostegno all’indirizzo che la Cassazione poi avrebbe preso di conferma della sentenza di condanna da cui la reazione. Ma questo è un altro capitolo. Alla domanda, cui mi risponderai: io con gli andreottiani non andavo d’accordo.

Certo!

Però devo dare atto ad Andreotti di avere convalidato anche silenziosamente, perché dopo quell’incontro con Giuliano Vassalli, Andreotti non ha mai chiesto a me nè ha mai cercato Falcone. Non ha mai chiesto a me dove nascesse questa iniziativa. Punto e basta. Come devo dare ad Andreotti atto quando come ministro dell’Agricoltura non aveva responsabilità dirette nel sistema difensivo, che sono del ministro della Difesa e collateralmente del ministro degli Interni. Il ministro della Agricoltura aveva l’Aima e l’Aima era uno strumento della Difesa. La preghiera che ti do: tira fuori il verbale della commissione di inchiesta sui Consorzi Agrari presieduta da un magistrato di origine agrigentina  (Melchiorre CIRAMI, seduta del 6 giugno 2000 in parte segreta ndr) nel quale ho raccontato tutta la vicenda dell’Aima e ciò che aveva nell’ambito della Difesa perché doveva mettere da parte…

Le scorte strategiche!

Esattamente quelle per l’esercito e per il popolo tedesco. In commissione di inchiesta ho raccontato un episodio del 1982. Governo Fanfani. Fanfani mi manda a chiamare una mattina. Mi dice: “Devi incontrare l’ambasciatore sovietico”. Mi metto in allarme, era un tempo difficile, il governo in quelle settimane doveva formalizzare la decisione di installazione degli euromissili. Era un momento molto travagliato. Incontro riservatamente l’ambasciatore sovietico che mi fa una richiesta molto strana. Mi dice “Noi abbiamo un problema sanitario gravissimo in due Stati, in particolare in Georgia”, il ministro degli Esteri Shevarnadze era georgiano. Abbiamo bisogno della fornitura del latte a lunga conservazione UHT che ci potete dare perché abbiamo una mortalità infantile che non possiamo controllare’’. Tornai da Fanfani a portare questa richiesta. “Benissimo, Tu cosa vuoi fare?”

“Non io, ma cosa decide Lei!”. Abbiamo dato questo latte. Una cosa che ha del romanzesco perché il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica mimetizzò  due Hercules  con la bandiera della Croce  Rossa e portò questo latte al Cairo. Al Cairo fu fatto il travaso. Quando Gorbaciov venne in Italia preliminarmente chiese a Cossiga di incontrare il ministro Mannino. Cossiga era meravigliato: “Gorbaciov vuole parlare con te”, il cerimoniale sovietico chiede questo incontro. Al momento del ricevimento al Quirinale rompendo il rigido protocollo Gorbaciov mi viene incontro e mi abbraccia con grande meraviglia generale. “Ho ritardato un ringraziamento personale “disse Gorbaciov. Poi fui coinvolto in tutti gli incontri ufficiali. Quel documento della commissione di inchiesta va divulgato perché è significativo del modo di governare dei democristiani. Sapevano distinguere.

Abbiamo parlato di Aldo Moro, dei rapporti con Donat Cattin, come leader di Forze Nuove, con De Mita, segretario nazionale della Dc, con Andreotti, presidente del Consiglio, ma c’è un’altra persona con cui ha collaborato da vicino al Tesoro, Nino Andreatta. Che personaggio è? Che giudizio si può dare?

Un personaggio notevolissimo, grande intelligenza. Un liberal senza debolezze cattoliche – non gli tolgo niente – senza debolezze verso la esperienza politica dei cattolici. Era intellettualmente il meno disponibile alla esperienza Dc.

Era il più laico di tutti?

Si, ho sempre pensato che al momento della scissione della Dc e la nascita dei popolari  che portò alla Margherita e poi al Pd l’apporto intellettuale di Andreatta sia stato notevole. Ricorderai che con Nino Andreatta – gli sono grato, perché mi ha fatto fare delle esperienze grandissime- quando era al Tesoro ho gestito le leggi finanziarie in Parlamento.

Andreatta è stato un grande pensatore, eclettico. È riuscito a portare in politica le sue idee o sono naufragate?

Ha ripiegato sempre. Da liberal, nel senso inglese della parola, era decisamente contrario a tutte le forme di assistenzialismo, a tutte le forme compromissorie, aveva una concezione della politica aliena dalle preoccupazioni e dalle mediazioni di incontro. Ricordo che la prima volta che mi ha affidato la legge finanziaria in Parlamento mi disse: “Io ti autorizzo con uno scarto di 500 miliardi, se mi porti un centesimo in più troverò il modo di fartela  pagare”. Aveva questo modo, era strano. Gli portai uno scarto solo di 5 miliardi. Quando fui nominato ministro della Marina Mercantile piantò un casino perché voleva che rimanessi al Tesoro. Intervenne su Pertini, su Maccanico, su Andrea Manzella con cui aveva confidenza. Disse: “Mi faccio dare io le dimissioni e rimane sottosegretario”. Tutti a spiegargli che non era possibile!

Quanto manca oggi al sistema politico un partito come la Dc

Manca l’Italia, il problema più angoscioso. Questa stagione di tenore e di livello culturale che non ha trovato forme di identità anche antagonistiche ma capaci di dare una anima a una politica che è diventata soltanto amministrazione e alcune volte amministrazione delegata.

Manca una strategia del progetto Paese?

In questa crisi si riflette il venire meno non tra la Chiesa e la Dc, ma tra la Chiesa e la politica nella forma più alta come avrebbe detto Paolo VI, la forma della carità. Perché una parte del mondo cattolico ha ripiegato nell’alleanza con il PD per darsi un’anima che non ha, perché il PD è un partito radicale di massa, quindi il cattolicesimo anche democratico dentro il partito democratico si è annullato.

 

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