L’ondata di soddisfazione, che ha travolto gli estimatori di Donald Trump, è giustificata dal successo elettorale superiore alle previsioni della vigilia. Ancora una volta i sondaggisti e i sondaggi sono apparsi come gli aruspici e i vaticini ricavati dal fegato degli animali sugli altari pagani. A cose fatte, cioè ad elezione avvenuta, simpatizzanti e antipatizzanti sprecano energie nello sforzo di individuare le ragioni della vittoria così vistosa da sembrare un trionfo, che viepiù colpisce perché inaspettato.
Una delle ragioni prospettate, forse la prevalente, colpisce perché sembra contraddire non solo le altre ma la stessa logica elettorale, se di regola le elezioni avessero una chiara logica.
Imprevedibilità, ecco il motivo! Una parola che affascina, adesso, non solo i compiaciuti trumpiani della prima ora, ma anche gli acrobatici assaltatori del “carro MAGA” dell’ultim’ora. Davvero l’imprevedibilità è una virtù dell’uomo politico, se non addirittura dello statista propriamente detto? L’imprevedibilità non coincide con la capacità di sorprendere in positivo.
Imprevedibile è senza dubbio la politica, come in genere il futuro. Tuttavia, quando scegliamo un candidato per farcene governare, siamo orientati piuttosto dalla prevedibilità, che dovrebbe assicurarcene l’azione entro canoni preannunciati e affidabili. Se la democrazia consiste, a cadenze prestabilite, nel deporre pacificamente i governanti sgraditi ed insediare i graditi, la prevedibilità, nei limiti dell’umana natura, ne diventa un elemento caratterizzante.
Quanto agli Stati Uniti e all’Unione europea, l’imprevedibilità del presidente Trump non lascia al momento intravedere completamente se porti bene o male all’America e all’Europa, a ciascuna o entrambe, oppure bene all’una e male all’altra. L’Ucraina sarà la cartina di tornasole, almeno per chi crede che quella nazione aggredita e martoriata sia stata perciò essa stessa, a sua volta, la dimostrazione che ha rivelato, incontrovertibilmente, la natura violenta e brutale dell’aggressore Putin.
Il neoeletto presidente americano ha dichiarato più volte, nella campagna elettorale e nel discorso dell’elezione, che fermerà la guerra in quarantott’ore, ma non ne ha anticipato il come, seppure avesse potuto. Le guerre, insegna la storia che almeno in questo impartisce lezioni da imparare, possono finire con onore e nel disonore, sia dei combattenti che degli alleati. Per esempio, stando alla storia nazionale, nessuno potrà riscattare Mussolini dal disonore di aver precipitato l’Italia nella disonorata sconfitta della guerra mondiale.
Quanto all’Ucraina, dunque, non solo è immaginabile, ma addirittura certo che i destini di Usa e Ue siano intrecciati. Né l’America né l’Europa dovrebbero ritirarsi, cioè trarsi fuori dal conflitto, adducendo voglie di pace o soldi finiti. Benché irrinunciabili per gli ucraini, libertà e indipendenza dell’Ucraina sembrerebbero tuttavia sacrificabili alla luce della prevedibile imprevedibilità del presidente Trump, mentre Ursula von der Leyen non può surrogarlo nel sostenere l’Ucraina perché non presiede uno Stato federale equivalente agli Usa per politica estera e forze armate.
L’imprevedibilità trumpiana dovrebbe spingere gli Stati europei a serrare le file di fronte a Vladimir Putin, che muove guerra ai loro confini, e costringere finalmente l’Ue a considerare che potrà restare sola e dovrà contare su sé stessa per sopravvivere politicamente. Una sopravvivenza per altro improbabile nelle condizioni risultanti di fatto dall’abbandono americano sia dell’Ucraina sia dell’Europa.
L’Ucraina, lasciata sbrandellare da Putin, sarebbe il disonore degli americani e degli europei (dopo i loro affidamenti!), non degli ucraini.
L’imprevedibilità del presidente non potrà, dunque, comportare il sacrificio dell’Ucraina senza comportare la fine dell’affidabilità degli Stati Uniti. Se l’imprevedibilità del presidente americano gl’impedisse di vedere che l’abbandono dell’Ucraina sic et simpliciter hic et nunc, comunque mascherato, significherebbe regalare a Cina e Russia, che egli afferma di voler contrastare, le nazioni oscillanti o esitanti o emergenti, oggi alleate o amiche o simpatizzanti dell’America perché confidenti nella sua affidabilità; ebbene una tale imprevedibilità ne farebbe un presidente piuttosto cieco che imprevedibile, perché le conseguenze sarebbero ineluttabili, come lanciarsi in mare con una màcina al collo.