A proposito delle celebrazioni del geniale autore della saga “Il Signore degli anelli“, una filologa fa chiarezza su fantastico e fantascientifico.
E fa l’esempio di Italo Calvino: egli “ha dimostrato nelle Cosmicomiche come si possano coniugare tensione fantastica, conoscenza scientifica e pensiero critico, vedere cioè il rovescio delle cose, il lato oscuro della Luna”.
Poi la filologa esprime un sospetto: “la seduzione esercitata da Tolkien sui nostri fanciulleschi e sorridenti governanti non sarà legata alla sua formula sostanzialmente rassicurante?”
Le “celebrazioni”(fortemente volute dal nostro governo con amplificazione mediatica) del geniale autore della saga “Il Signore degli anelli”, mentre ne amplificano la caratura letteraria, esondano verso esegesi del testo in chiave etico-sociale che scomodano archetipi filosofici e religiosi, finiscono col ridurre il valore intellettuale e la cultura di Tolkien, presentandolo semplicemente come uno scrittore di fantascienza. In realtà egli tentò per due volte l’approccio a questo genere narrativo impegnandosi nel tema del “viaggio nel tempo”, senza però arrivare a buon fine.
Ciò dimostra materialmente che la sua opera appartiene piuttosto alla grande categoria del fantastico o -come si ama dire- del fantasy, anzi dell’high fantasy. Il successo popolare di The Lord of the Rings, fin dalla sua apparizione nel 1965- in edizione pirata e nell’immediato sconfessata dall’autore- ne consacrò malgré lui la fama di scrittore fantascientifico, assimilabile ad Asimov e comunque al genere che privilegia il sense of wonder, almeno per i lettori non specialisti.
Tra fantastico e fantascientifico, pur essendo facili la confusione, la contaminazione o addirittura la sovrapposizione, in realtà corre una sensibile differenza in termini di purismo letterario. Differenza che lo stesso Asimov contribuì a cancellare, quando manifestò pubblicamente la sua ammirazione per l’opera di Tolkien, che definì un “capolavoro”. Da allora la dislocazione di quella saga così letta e apprezzata dal vastissimo pubblico del genere fantascientifico fu trascinante, nel senso che trascinò con sé tutte quelle opere seriali successive che dovrebbero in realtà essere collocate in altre caselle, ad esempio in quella dell’hero fantasy.
Anche a un lettore non appassionato di fantascienza appare oggi chiara quest’assimilazione in un unico corpus poltaceo di testi eterogenei che in comune hanno quasi esclusivamente la rappresentazione di mondi alternativi organizzati e strutturati, come accade nel prototipo della Terra di mezzo tolkieniana. L’incanto psicagogico esercitato da questo mondo di finzione tra il mitico e il metafisico è cosa diversa dall’interesse legato al mondo dell’hard science fiction che, soprattutto nella sue versioni migliori, è davvero un salto nel futuribile e comunque mobilita conoscenze scientifiche come pre-requisiti dell’incursione nell’immaginario narrativo.
Ma è incontestabile che Tolkien abbia aperto la strada a una fantascienza diversa, a un gusto diffuso per storie dove si mescola l’eroismo individualistico del fantasy con l’universalismo del racconto fantascientifico. Nel primo l’esito è prestabilito, mentre nell’altro è definito in corso e inizialmente non prevedibile. Gli addetti ai lavori si sono impegnati da molto tempo a precisare in termini teorici e classificatori i caratteri del modo fantastico, le cui radici moderne affondano nei racconti del tardo Settecento e nel filone cosiddetto “gotico”. Grande il lavoro svolto da Todorov in questo ambito. Ma senza entrare in un campo così specialistico, mi preme qui almeno sottolineare che si sono create due linee critiche, una fortemente selettiva che “contiene” il modo fantastico entro i canoni della letteratura fantastica del romanticismo europeo (canoni strettissimi tanto da escludere un autore come Edgar Allan Poe) e l’altra, oggi prevalente, che amplia in misura spesso extralarge il campo d’azione del fantastico a tutta la produzione letteraria comprendente il fiabesco, il romanzo horror, il fantasy, il gotico ecc..
Così procedendo, il fantastico ha finito col rappresentare l’anti-realistico, confondersi con il metastorico, il meraviglioso e l’occulto e quindi contaminarsi con il magico, il misterico e l’esoterico e via discorrendo. Come decretò lo scrittore americano John Barth, è un bene che la letteratura se ne occupi, visto che la realtà è sì piacevole da visitare, ma alla lunga stanca e annoia. Gli fece eco Tolkien stesso asserendo: “La fantasia è un’attività umana naturale[..]La fantasia creatrice infatti si fonda sulla tenace accettazione che le cose nel mondo sono proprio come ci appaiono alla luce del sole; sull’accettazione di quelli che vengono definiti i fatti e non però su una schiavitù nei loro confronti[..]. Se gli uomini non sapessero davvero distinguere fra gli esseri umani e i rospi, le favole sui principi-rospi non sarebbero mai potute nascere”.
Con questi pensieri l’autore contribuisce non poco a orientare il fantasy verso l’invenzione fiabesca e quindi a disorientare gli studiosi. Corre l’obbligo allora di contestualizzare il genere, innanzitutto distinguendolo dalla fantascienza vera e riportandolo a una precisa tradizione testuale, molto diffusa nel primo Ottocento, che legava il “fantastico” a quello che Freud definisce Das Unheimliche (il nostro perturbante). Non occorrono nani, elfi, vecchi senza tempo, orchi, unicorni e simili per destabilizzare la visione che il lettore ha del mondo e inquietarlo prepotentemente, farlo sentire “fuori casa”, oggi si direbbe catapultato lontano dalla sua zona comfort.
Non è un caso, infatti, che la migliore letteratura fantastica mostri forti legami con l’umorismo, non solo in termini di parodia e gioco di straniamento retorico, ma anche come riferimento agli strati più profondi della coscienza. Il fantastico non va confuso con le storie d’invenzione convenzionali abitate da fate, maghi, folletti ecc., ma piuttosto ricondotto alla sua vera radice, cioè l’intrusione di uno o più elementi misteriosi e non codificabili secondo ragione nel normale tessuto della vita quotidiana.
Mi riferisco, ad esempio, ai racconti di Hoffmann, Gautier, Maupassant, James, Cortàzar, Borges; per non parlare di Calvino, che ha dimostrato nelle Cosmicomiche come si possano coniugare tensione fantastica, conoscenza scientifica e pensiero critico, vedere cioè il rovescio delle cose, il lato oscuro della Luna.
Nei racconti di Tolkien invece tutto è ben codificabile e riconoscibile, anche se appartiene a un altro mondo. I buoni sono sempre e totalmente buoni e i cattivi altrettanto. Neppure nelle fiabe questo accade sempre e in modo così radicale, direi assertivo. La violazione della regolarità- che si può collocare nella categoria dell’inammissibile, o sul piano della psiche dell’inesplicabile- è assente come funzione di rottura di un ordine prestabilito o come apertura di varchi d’interpretazione del reale davvero alternativi. Nessun turbamento, nessuna alienazione, nessuna inquietudine.
Ma allora non si tratta di fantascienza, perché solitamente in essa l’esplorazione degli aspetti coercitivi della storia ha una funzione liberatoria e conoscitiva. Mi viene allora un sospetto: la seduzione esercitata da Tolkien sui nostri fanciulleschi e sorridenti governanti non sarà legata alla sua formula sostanzialmente rassicurante? Per non parlare poi degli aspetti nostalgici nei confronti della cristianità e del mondo medievale che sono motivi ricorrenti nella saga. L’esotismo romantico sembra allora tradotto in forme di escapismo, che è poi la critica rivolta spesso al grande maestro: fuga dal reale e scrittura per bambini. O debbo credere che sono io in errore, io che ancora mi sento turbata dagli occhi di Olympia?
Ma sì certo: la nostra psiche è molto più semplice di quanto crediamo. Con buona pace di Freud.
Caterina Valchera