L’antifascismo in televisione. Paralogismi di Santoro e mutismi di Floris

Nella trasmissione “di Martedì” del 23 gennaio, Giovanni Floris ha concesso a Michele Santoro la tribuna per un comizio dei suoi, più lungo del sopportabile. Il solito Santoro, verrebbe da dire, se servisse a qualcosa. Un punto del suo sproloquio merita tuttavia il commento per metterne a nudo la faziosità, non dico l’ignoranza, frammista ad errori. Al culmine dell’intemerata contro l’Occidente, gli Americani, i fascisti, il capitalismo, i guerrafondai, eccetera, Santoro ha citato un episodio a sostegno della sua posizione su fascismo e antifascismo. Anni fa intervistò Gianfranco Fini sulla svolta di Fiuggi, (dal neofascismo del vecchio Msi alla trasformazione in Alleanza nazionale).

 

 

 

L’intervista fu allargata ai presenti alla trasmissione, ai quali fu concesso di porre domande a Fini. Qui Santoro ha superato sé stesso con i peculiari paralogismi che usualmente adopera per discorrere e comiziare. Dunque egli ha ricordato che in quell’occasione si alzò dal pubblico un giovane che pose Fini con le spalle al muro rivolgendogli la più straordinaria domanda che egli avesse mai udito e che lui stesso (forse) non avrebbe saputo formulare: “Onorevole Fini, nella seconda guerra mondiale Lei sarebbe stato con Hitler o con Stalin?” La rievocazione dell’episodio ha scatenato applausi scroscianti in studio. Santoro ha appagato la sua vanità. L’ineffabile Floris ha sorriso compiaciuto chissà perché.

 

 

 

Con tutta la comprensione per l’età, in realtà il giovane aveva posto una domanda alquanto stupida. Cionondimeno Santoro ha confermato di considerarla perfetta, un’infallibile cartina di tornasole che, a suo dire, smascherò l’ipocrisia della conversione antifascista di Fini. Giovanni Floris non ha replicato a Santoro. Il pubblico in studio non poteva intervenire. Così la strepitosa domanda dell’ingenuo giovanotto, esaltata da Santoro, è stata consegnata a Floris, al pubblico in studio e ai telespettatori in tutta la sua subdola falsità. Perciò devo porre a Santoro la domanda pertinente: “Caro Michele, a che fase della seconda guerra mondiale ti riferisci?” Stalin e Hitler non furono nemici per tutto il tempo della seconda guerra mondiale. Al contrario, furono mai amici ma alleati sì, come due mafiosi per concludere affari politici di comune interesse.

Mentre Regno Unito e Francia dichiaravano guerra a Hitler che aveva invaso la Polonia (1° settembre 1939), Russi e Tedeschi, sovietici e nazisti, intavolarono negoziati politici conclusi con il patto Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939), che nel protocollo aggiuntivo segreto contemplava la spartizione dell’Europa orientale. Stalin e Hitler, di comune accordo e con reciproca soddisfazione, si divisero la Polonia, commettendovi i crimini per i quali poi divennero famosi. L’alleanza nazicomunista durò due anni su cinque di guerra mondiale! Di questo, caro Santoro, stiamo parlando: n’era consapevole quel giovanotto apparsoti geniale quanto te?

Hitler, sbaragliate le principali potenze in guerra dell’Europa occidentale, eccettuato il Regno Unito, ruppe il patto e invase l’Unione sovietica (22 giugno 1941). Solo dopo tale data Stalin divenne l’irreconciliabile nemico di Hitler alleandosi con le potenze capitalistiche che lo combattevano già da due anni. L’antifascismo di Stalin non equivaleva all’antifascismo di Churchill, Roosevelt, De Gaulle: questi erano antifascisti liberali, quello era antifascista totalitario. I quattro Grandi erano alleati per vincere il nemico comune incombente, ma le democrazie non avevano nulla in comune con la dittatura sovietica. Finché Hitler non aggredì Stalin, questi si accordò con il führer invece che combatterlo in nome della (presunta) incompatibilità ideologica tra comunismo e nazismo. Una brillante battuta di Churchill spiega la differenza: “Desidero stringere la mano al signor Stalin, ma quanto più a Est è possibile!”

La domanda provocatoria che bisogna porre agli antifascisti da salotto televisivo è la seguente. Premesso che le dittature di Stalin e Mussolini sono in parte pressoché coeve (gli anni venti/quaranta del XX secolo), un antifascista duro e puro, avendo le conoscenze odierne dei due regimi, in quel ventennio avrebbe preferito vivere in Italia o in Russia? Se avesse scelto l’Italia, sarebbe stato un antifascista sincero e intelligente; se invece avesse preferito la Russia, sarebbe stato sempre un antifascista sincero, però stupido. In che modo avrebbero risposto il giovanotto, Santoro, Fini, Floris?

Come curiosità, ma per connessione oggettiva (la questione è tuttora ahimè politicamente attuale e storicamente decisiva) riporto la letterina che inviai al Corriere della Sera: “Gentile Cazzullo, dalle Sue frequenti risposte su fascismo e comunismo ho tratto l’impressione che li giudichi equivalenti, come ideologie e come sistemi politici. Io detesto entrambi, ma non li considero uguali. Nel ventennio 1920-1940, nel quale Stalin e Mussolini li realizzarono, Lei avrebbe voluto vivere in Russia o in Italia, se costretto a scegliere? Io senz’altro in Italia. Vi si stava meglio e si correvano meno pericoli, rispetto alla Russia. Questa verità storica viene ancora sottaciuta. Per servo encomio del bolscevismo allora trionfante? Ma adesso, dopo il 1991? L’omissione getta luce sulla nostra nazione divisa”.  Aldo Cazzullo non rispose, fors’anche perché teorizza il luogo comune resistenziale quanto controfattuale secondo cui l’Italia è democratica perché antifascista mentre al contrario è antifascista perché democratica. Stalin divenne antifascista restando sempre antidemocratico, tirannico, sanguinario.

 

 

 

Infine, una stoccatina a Giovanni Floris. Egli, conducendo la sua trasmissione, può invitare chi gli pare e spesso mette in circolo esponenti di varie tendenze politiche e culturali, in omaggio al trito slogan del “pluralismo e completezza dell’informazione”. Ma se lascia a Santoro il pulpito per un solitario comizio infarcito di bolsa retorica, opinabilità politica, confusione storica, non può trarsi d’impaccio ponendo innanzi la libertà di parola dell’ospite. Qui l’ospite non è sacro se ne approfitta incontrastato, anzi avallato dall’autorevolezza del conduttore, sebbene all’apparenza condiscendente.

 

Pietro Di Muccio de Quattro

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