Dopo la lettera di Mattarella, di fronte all’evidenza delle immagini, su Ilaria Salis non ci sarebbe altro da aggiungere. Eppure proprio quelle immagini ci riservano ancora qualche sorpresa. C’è stata per così dire un’inquadratura inavvertita che ci porta a ulteriori riflessioni.
Durante le riprese tv del primo processo, l’obiettivo della telecamera è andato oltre l’aula e ha ripreso uno scorcio del cortile di trasferimento in cui si vedeva, di sfondo, un altro detenuto, anziano e grassoccio, che aveva la stessa andatura di Ilaria. I piccoli passi cui era costretto dalla breve catena al piede fissata ai due lucchetti che chiudevano i lacci di cuoio. E più in alto la gobba tipica che caratterizza chi la le manette ai polsi e una cintura alla vita cui è fissato il guinzaglio tenuto dall’agente di custodia. Una dettagliata procedura scritta minuziosamente a tavolino da qualche cultore “dei delitti e delle pene”.
Questo rituale degradante, risultato di un tuffo in un passato che qualsiasi persona civile riterrebbe chiuso per sempre perché incompatibile con il rispetto della dignità del detenuto e del valore della persona che dovrebbe essere oggi ormai acquisito ovunque, sembra non essere evidentemente un trattamento riservato alla nostra concittadina, ma una procedura attuata in un Paese, come l’Ungheria, che pur vanta antiche tradizioni di governi illuminati, ma che evidentemente ha subito un rigurgito della storia.
Questa condizione comune ai detenuti di quel Paese dovrebbe tranquillizzarci, sulla base del vecchio adagio “mal comune…”? Evidentemente no. Ci porta anzi ad affermare che il tema cui siamo davanti è tipicamente, profondamente politico. Esattamente il contrario di chi dice: “Non politicizziamo questo caso”.
Il caso è politico, estremamente politico, specie di fronte al tema dell’Europa Unita. Può ammettersi la partecipazione agli “Stati Uniti d’Europa” una nazione con una tale evidente palese lesione dei diritti fondamentali e della dignità della persona? Non di una, ma di tutte e persone da essa amministrate?
Di fronte a ciò c’è un precedente storico di enorme portata che non possiamo tralasciare. Gli Stati Uniti d’America hanno affrontato una questione analoga ben 160 anni fa e sono stati costretti a risolverla attraverso una guerra civile, la Guerra di Secessione, una guerra cruenta, fratricida, che ha rischiato di far fallire il progetto unionista. Ma Lincoln aveva capito che era impossibile perseguire l’unione degli Stati Uniti d’America senza sciogliere quel nodo, che come sappiamo era il nodo della schiavitù.
Ilaria Salis è un caso umano delicato e toccante. Ma purtroppo rinvia a un ben più grave scenario: quello dei valori comuni di una Unione Europea che, nata sul carbone e sull’acciaio, proseguita con la moneta unica e la libera circolazioni tra gli Stati ed anche con il programma Erasmus per i nostri universitari, ha però mancato l’occasione nel 2007 per darsi una Carta fondamentale. E noi italiani che abbiamo una Costituzione con valori condivisi di cui siamo orgogliosi, siamo anche tra coloro che più di altri dobbiamo insistere e lottare per una Carta dei valori europea.
Gianpiero Gamaleri – Ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi già alla Sapienza e a Roma 3