Famiglie arcobaleno, il punto di una scrittrice su un fenomeno controverso

Il bisogno primario di qualunque bambino – questo tutti i genitori lo sanno – è sicurezza, cura, affetto indefettibile da parte degli adulti, di qualunque genere siano le persone che li garantiscono

Recentemente c’è stata a Roma l’ennesima manifestazione delle famiglie “arcobaleno”, che si sentono discriminate.  Chi conosce il tema solo per sentito dire, a volte prova un senso di disagio alla sola idea che ci siano famiglie di questo tipo. Quel che disturba non è che ci possano essere madri single (ormai questa condizione – che un tempo faceva scandalo –  è stata del tutto assorbita), né tantomeno genitori vedovi, e neanche coppie di divorziati che crescono in comune i figli avuti da precedenti matrimoni. Quelle che creano disagio sono le famiglie con genitori omosessuali.

Nell’interesse dei bambini, si dice, perché sarebbe nel loro assoluto interesse avere genitori di sesso diverso, un padre e una madre, così come per concepire un essere umano ci vuole un gamete maschile e uno femminile. Indubbiamente dal punto di vista biologico questo è un fatto, ma a differenza di quanto tendiamo a pensare, questo non significa che a crescere i bambini e metterli al mondo, nel senso non solo fisico ma affettivo e culturale, debba essere la stessa coppia etero da cui provengono biologicamente. O che questa sia la soluzione ottimale.

Dimentichiamo che al mondo gli esseri umani per millenni sono cresciuti in modelli di famiglia diversissimi: da quello tribale, in cui tutti i piccoli vengono allevati in comune, a quello patriarcale in cui il padre si disinteressa totalmente dell’allevamento e della cura, lasciata alle donne di casa, e interviene solo come autorità e giudice, partecipando all’educazione episodicamente, in circostanze memorabili. Per non parlare di quante generazioni delle classi agiate sono state affidate nell’infanzia a persone estranee, che poi non rivedevano più: balie, nutrici o famiglie surrogate in campagna dove si cresceva coi “fratelli di latte”. O dei bambini che, senza neanche passare dall’adozione formale, venivano affidati da famiglie numerose a genitori senza figli, e questo non solo per bisogno, ma – si riteneva – nell’interesse dei bambini stessi, che avrebbero goduto di altrettanto affetto e opportunità maggiori.

Quella che ora ci sembra la famiglia naturale, il nucleo mamma-papà-bambini che forma una cellula a sé, non è sempre esistita come tale e tanto meno nei tempi in cui l’uomo era più privo di tecnologia e più in balia del mondo naturale.

Del resto se c’è una cosa che fa parte della natura umana è il fatto di essere portati a trasformare l’ambiente con le più svariate tecniche e a costruirsi, interagendo con gli altri, un mondo culturale continuamente modificabile e modificato dalle tecniche suddette e dalle nuove possibilità che schiudono. Oggi queste inaudite possibilità comportano la possibilità di fecondazione in vitro, di fecondazione eterologa, di gravidanza per conto di altri.

È comprensibile che tutto ciò che è assolutamente nuovo ed esula dall’orizzonte familiare ci sconcerti e perciò stesso ci disturbi. Ma non vuol dire che siamo di fronte a possibilità del tutto negative, da esorcizzare invece di provare ad apprezzarne i vantaggi e limitare gli svantaggi. Oggi ciò che ci sconcerta non è tanto la possibilità di avere figli solo in parte propri, per una coppia altrimenti sterile.  Lo sbarramento, come si è visto, riguarda le coppie omosessuali: ma qui dobbiamo stare bene attenti a non scambiare per altruistico “interesse del bambino” quello che è il nostro egoistico interesse a non essere disturbati nelle nostre abitudini mentali.

In realtà nulla, nella variegata storia dell’esperienza umana, vieta a priori che si possa crescere bene anche in un tipo di famiglia effettivamente nuovo, diventato possibile solo ai nostri giorni, ossia con due mamme o due papà. “Ma viene del tutto a mancare, per i figli, la figura di riferimento maschile o quella femminile”, si obbietta. Ma chi l’ha detto? Certo la coppia genitoriale in questi casi non coincide del tutto con quella biologica e non è bilanciata quanto a generi, ma il bisogno primario di qualunque bambino – questo tutti i genitori lo sanno – è sicurezza, cura, affetto indefettibile da parte degli adulti, di qualunque genere siano le persone che li garantiscono. L’identità di genere per un bambino viene dopo ed è il risultato di un processo culturale complesso. In questo l’identità dei genitori ha importanza relativa e soprattutto non esclusiva: ogni bambino fin dal nido comincia col rendersi conto della propria costituzione maschile o femminile e poi si ritrova intorno bambini e bambine, zii e zie, nonni e nonne, amici e amiche della coppia, per non parlare di maestre, maestri e baby sitter di entrambi i generi che si prendono cura dei piccoli e possono diventare figure di riferimento molto significative, con cui identificarsi o differenziarsi.

Giorgia Meloni, attuale presidente del Consiglio, nello spiegare a un ragazzo gay perché si oppone al riconoscimento di famiglie omogenitoriali, ha detto di essere stata cresciuta dalla sola madre, e di avere sentito la mancanza di un padre, nonostante la sua fosse un’ottima madre. Nessuno lo mette in dubbio, in effetti le mancava un genitore che a un certo punto era sparito dai radar; non è detto che, se per assurdo avesse avuto fin dall’inizio due madri e nessun padre, avrebbe sentito lo stesso quella mancanza e allo stesso modo.

Ma soprattutto non è detto, come ben sappiamo, che un figlio allevato dal padre e dalla madre biologici non possa crescere sentendo dolorosamente la mancanza di qualcosa da parte dei suoi regolarissimi genitori. Quello che è certo è che i bambini possono soffrire dal confronto con altri bambini, se la società intorno a loro li fa sentire ”pulcini neri” perché non sono come gli altri e non corrispondono al modello giusto, mentre non soffrono di questi confronti se crescono in un mondo dove è normale che certi bambini abbiano due madri e altri due padri mentre la maggioranza ha una madre e un padre (che non sempre vivono insieme).

Si dice: avere figli non è un diritto. Ma certo che lo è. Grazie al cielo chiunque, uomo o donna, può avere figli, anche da single, senza passare un esame per diventare genitori; chiunque di noi si presume sia un genitore passabile fino a prova contraria; nel qual caso perde la patria potestà. E anche agli omosessuali, nessuno può imporre loro di non mettere al mondo figli o di riconoscerli come propri. Il problema nasce nelle coppie; nelle coppie eterosessuali sposate si assume che entrambi i coniugi siano genitori dei figli, anche se nati con fecondazione assistita eterologa, per sterilità di uno dei due; mentre il partner di un’unione civile non è automaticamente considerato padre (o madre) dei figli dell’altro partner nati durante l’unione.

Dovrà sottomettersi a un iter lungo e costoso per adottarli con adozione speciale e sentenza del tribunale, dopo ripetute ispezioni degli assistenti sociali, a cui è tenuto a dimostrare di essere buon genitore. Come se si trattasse di estranei e non di figli voluti e seguiti fin dal concepimento.

E perché? Che differenza c’è, per giustificare questa discriminazione? L’unica differenza è che quei bambini hanno genitori omosessuali. Qui non è in gioco la capacità o il desiderio di avere un figlio, e nemmeno la determinazione della coppia ad avere un figlio da crescere insieme, che anzi, se un figlio in una coppia etero può nascere per caso e magari per sbaglio, in una coppia omosessuale deve essere voluto e cercato da entrambi con una procedura che richiede necessariamente la consapevolezza di ciò che si sta facendo e molta costanza e determinazione, perché servono ripetuti tentativi prima di avere una gravidanza.

È il semplice fatto di non essere genitore biologico, che impedisce di esserlo di fronte alla legge, fin dalla nascita del figlio? Niente affatto: le coppie etero, sposate o anche solo conviventi, in caso di infertilità accertata, possono ricorrere anche un donatore esterno – fecondazione eterologa – e diventare genitori entrambi e subito.

La discriminazione è basata quindi esclusivamente sulle tendenze sessuali della coppia. Se è omosessuale, innanzitutto la sterilità fisiologica non viene riconosciuta e non si è ammessi alla fecondazione assistita eterologa, che si può fare solo all’estero e totalmente a spese proprie.  Poi il genitore gay non biologico che fin da prima concepimento ha voluto quel figlio e lo ha seguito passo passo già prima che nascesse (esattamente come il genitore sterile nella coppia etero) è costretto a passare attraverso le maglie dell’adozione speciale, che non è in alcun modo finanziata pubblicamente per essere messa alla portata di tutti. Fino a poco tempo fa il bambino “adottato” in tal modo otteneva solo un genitore, ma non entrava a far parte della sua famiglia. i nonni e gli zii non erano legalmente riconosciuti come nonni e zii. Ma ora una sentenza della Corte costituzionale ha sistemato questo aspetto e i bambini entrano a far parte della famiglia dell’altro genitore.

Per non parlare del fatto che i coniugi eterosessuali possono adottare un bambino, invece di ricorrere alla procreazione assistita: cosa che come è noto è negata alle coppie omosessuali unite civilmente. Si vogliono cioè scoraggiare in tutti i modi le famiglie “arcobaleno” e favorire la famiglia etero: come se avesse bisogno di tutela, pur essendo maggioranza assoluta in tutte le culture! Come se una coppia omosessuale per definizione non fosse adatta a formare una famiglia e a crescere dei figli, e al massimo potesse a caro prezzo guadagnarsi l’autorizzazione di adottare reciprocamente i figli di (ogn)uno dei due. Ho letto da qualche parte, a questo proposito, “non si possono far pagare ai bambini gli errori dei genitori”, come se, per chi è omosessuale, mettere al mondo un bambino fosse a priori un errore.

Ma che riscontro ha nella realtà questa presunzione a sfavore dei genitori omosessuali?

Nessuna. Negli Stati uniti, dove ci sono famiglie arcobaleno da tanti anni, sono stati fatti studi sociologici accurati con un numero molto grande di famiglie. Nessuna differenza significativa emerge tra questi bambini e bambine: crescono sani, felici, vanno bene a scuola e sono bene integrati socialmente esattamente quanto i figli di coppie eterosessuali. Stessi risultati in Gran Bretagna.

Ciò diventa sempre più vero, più anni passano, e più è probabile che i figli di genitori omosessuali crescano in famiglie stabili, in contesti sociali amichevoli. Adesso, con la legalizzazione delle unioni, è aumentato il numero di bambini desiderati che nascono in coppie omosessuali affiatate, e che vivono quindi in famiglie stabili; e l’effetto si vede. Se proprio una differenza emerge, è che i genitori omosessuali sono portati ad essere particolarmente coscienziosi nel prendersi cura dei figli: il che comprende passare più tempo con loro, farli crescere in ambienti misti e permettere loro esperienze diversificate.

Questi figli imparano da piccolissimi che loro hanno due mamme o due papà; che di solito i bambini hanno una mamma un papà ma qualche volta anche no, così come si possono avere capelli rossi, castani o biondi. Più tardi, con l’aiuto di libri illustrati, imparano che per far nascere un bambino ci vogliono sempre un uomo e una donna che mettono in comune un uovo e un seme, e che le loro due mamme, per poterli far nascere, hanno chiesto in regalo i semi a un signore gentile, o i loro papà hanno chiesto a una signora gentile di prestare la sua pancia per farli crescere e poi nascere.

Non è particolarmente complicato, forse è più difficile spiegare a un bambino adottato che i genitori sono andati a cercarlo perché era rimasto solo. I bambini “arcobaleno” capiscono subito che i loro genitori si volevano bene e volevano dei bambini, precisamente quelli che hanno adesso, e che se non avessero chiesto aiuto, quei bambini – cioè loro –  non sarebbero mai nati. Capiscono che sono stati chiamati al mondo dai loro genitori, dagli adulti che li amano e si prendono cura di loro , come è giusto che sia  per tutti i bambini. Che questi genitori siano di sesso diverso o uguale, per i figli è del tutto indifferente, è un dato di fatto che non si discute. Non si scelgono i propri genitori, mai, così come non si sceglie di essere maschio o femmina: l’importante è essere nati, e che i genitori ci stiano accanto.

Queste non sono convinzioni astratte, da parte mia, ma esperienze vissute come nonna e osservatrice di bambini con due mamme o due papà.

Per concludere, vorrei ricordare che in un Paese di lunghissima tradizione cattolica, dove la famiglia modello per eccellenza, la Sacra Famiglia, è composta da una madre vergine e un padre putativo – quindi adottivo rispetto a un bambino nato a tutti gli effetti da fecondazione eterologa (cioè con Donatore esterno alla coppia) –  la famiglia “arcobaleno” può essere capita e accolta meglio che altrove, se solo ci si ferma a riflettere.

 

Simona Nuvolari – Scrittrice

“Una lotta impari”, il romanzo-rivelazione di Simona Nuvolari. Per stile, contenuti, orizzonte culturale è un’ “opera mondo”

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