Nella calura inclemente di questa estate se ne sono andati, a un mese di distanza l’uno dall’altro, due grandi della musica: Otello Profazio, il 23 luglio, e Toto Cutugno, il 22 di agosto. Profazio era forse il più grande cantastorie che abbia mai avuto il nostro Paese; Cutugno il cantante nazional popolare più conosciuto all’estero, notissimo anche in Italia ma snobbato da chi gli preferiva prodotti più intellettuali. Tutti e due erano però molte altre cose e maestri nella loro arte. Si conoscevano, forse si stimavano, ma di certo non potevano essere amici. Troppo diversi per interessi, generi, “intenzioni artistiche” e frequentazioni culturali. Per descrivere ciò che hanno rappresentato è forse più facile spiegare ciò che non erano e non facevano. Entrambi appartenevano alla sfera “popolare”, termine che però nel loro caso, come vedremo, assume connotati quasi contrapposti. Quasi fino all’ultimo, 88 anni Otello e 80 Toto, nonostante avessero patologie serie e fatalmente ingravescenti, hanno seguitato a esibirsi in giro per l’Italia e nel mondo. Non cantavano in inglese e, nel caso di Profazio, poco anche in italiano, poiché preferiva esprimersi in una sua personale sintesi delle parlate della sua Calabria, con alcune incursioni anche nel contiguo siciliano orientale. Detestavano generi come rap e trap, che consideravano (a mio parere con ragione) a-musicali e le loro corde non vibravano per il blues o il jazz. Erano scopertamente melodici, ma mai avrebbero abbracciato prassi esecutive tali da farli annoverare tra i neomelodici. Insomma, per certi versi vicini, ma, a sentirli, lontani come il giorno e la notte. Proviamo a capire perché sono stati due fuoriclasse e due fenomeni unici nel loro genere. Otello era nativo di Rende, a pochi chilometri da Cosenza, ma non era un calabrese “nordico”, le sue origini familiari erano reggine, precisamente di Palizzi. Nella casa paterna (ai