C’è un tempo per ogni cosa.
E oggi per Silvio Berlusconi, che è morto dopo aver combattuto contro ricorrenti problemi di salute, e poi si è arreso all’ineluttabile, intanto è il tempo del rispetto.
Ci sarà qualcuno dei suoi denigratori di professione che forse non indietreggerà neanche davanti alla “fatal quiete” del Cavaliere di Arcore, più volte presidente del Consiglio, fondatore di partiti politici, creatore di un impero televisivo.
Siamo un paese di santi (?) e navigatori ma anche il Paese di Maramaldo e dell’emozione barocca. Per cui è prevedibile che gli Italiani, che storicamente amano le divisioni in campi avversi (Guelfi o Ghibellini, Coppi o Bartali, Moro o Fanfani, Lancia o Alfa, Vespa o Lambretta) si schierino in due fazioni, probabilmente disuguali: da una parte i fan (parola appropriata visto che Berlusconi era anche il più divo tra i politici) che tenderanno a “divinizzarlo” in un modo che forse, dico forse, paradossalmente, non piacerebbe neanche all’interessato, e quelli che dopo la clausola di stile del rispetto al morto continueranno a demonizzarlo, e a rappresentarlo nel modo peggiore, non lesinando qualche dileggio.
Noi, che non siamo stati alla corte di Berlusconi ma anche a nessun’altra corte – il giornalista libero dovrebbe rifuggire dagli ambienti cortigiani, a prescindere – preferiamo tenerci un po’ a distanza dagli “opposti estremismi” post mortem di Berlusconi.
Preferiamo invece ricordare serenamente alcuni fatti o tappe essenziali del percorso politico, manageriale, parlamentare del Fondatore di Forza Italia, dell’avventura politica su cui solo la Storia potrà dare un giudizio conclusivo e fare un bilancio equilibrato, lontano dallo spirito di fazione che avvelena il confronto e inasprisce le posizioni.
E cominciamo da alcune ovvietà, su cui perfino i denigratori di mestiere non avranno molto da obiettare:
È indubbio che Berlusconi è stato – quale che sia il giudizio di merito sulla sua azione – un personaggio innovativo per la società italiana: diventò il re della tv commerciale, rompendo un monopolio pubblico, grazie anche all’aiuto che nella metà degli anni ’70 gli venne da Craxi con il famoso decreto che lo autorizzò a trasmettere sul territorio nazionale, prima con il sistema della interconnessione, e poi con la riforma della tv pubblica e privata, e le sue reti (Canale 5, Italia 1, rete quattro). Famose anche all’estero, se un egiziano durante una crociera sul Nilo appena sentì che aveva a che fare con turisti italiani exclamç Italia!
La tv pubblica fu costretta ad adeguarsi, e a mutuare dalla tv commerciale che si nutriva di ingenti risorse pubblicitarie, pratiche, programmi, stilemi, modelli culturali – sul cui giudizio di valore i sociologi si sono accapigliati- vendendo sogni di gloria di notorietà a buon mercato, e diventando il regno magico di milioni di casalinghe, perennemente sintonizzate sui canali di Mediaset, e in massima parte elettrici di Berlusconi.
In politica Berlusconi è stato un protagonista, e per almeno 30 anni ha condizionato l’agenda del Paese. E chi fa politica sa, o dovrebbe sapere, quale importanza tattica e strategica abbia il dettare, l’imporre, l’agenda politica agli avversari, costringerli a inseguirle, ad adeguarsi, perfino a copiare!
Berlusconi arrivò nel ‘94 dopo il ciclone di Tangentopoli e la liquidazione di un intero ceto politico, (soprattutto democristiano e socialista), che faceva capo al defunto pentapartito. Le punte di lancia del suo esercito parlamentare furono, tra gli altri Giuseppe Pisanu, ex demitiano e zaccagniniano, e Fabrizio Cicchitto, ex socialista lombardiano che era stato da Lombardi dopo essere risultato iscritto alla loggia massonica P2 di Licio Gelli . A capo della organizzazione di Forza Italia un altro ex dc Claudio Scajola, artefice del boom elettorale del 2001.
Berlusconi inventò un partito si può dire dalla sera alla mattina, Forza Italia, modellato sulla ramificazione territoriale di Publitalia, la società che raccoglieva sul territorio nazionale la pubblicità per le tv di Mediaset. E alla prima prova elettorale diventò il primo partito italiano.
Ne voleva fare un partito liberale di massa, Imbarcò intellettuali provenienti dalla sinistra come il filosofo marxista Lucio Colletti, esponenti del più fulgido liberalismo come Antonio Martino, che di Forza Italia era stato uno dei fondatori, e Giuliano Urbani.
Dal punto di vista del ceto politico strettamente inteso, Berlusconi era un outsider. Fu considerato un dilettante, e fu sottovalutato. Non lo avevano preso sul serio i democristiani di Martinazzoli, con il quale Berlusconi aveva avviato dei contatti prima ancora di pensare di fondare un suo partito.
Gli avversari politici ne pagarono subito le conseguenze. Infatti nelle elezioni politiche del 1994 il segretario del Pds Achille Occhetto nel fece le spese: la sua “gioiosa macchina da guerra” diventò quello che era stata la invincibile armata di Filippo II di Spagna, distrutta dalle tempeste.
Anche da vincitore, tuttavia non fu riconosciuto, fu considerato per anni un abusivo, diventò l’ossessione della sinistra, il Caimano di Nanni Moretti. D’altra parte Berlusconi continuava ad agitare il mantello rosso del pericolo comunista quando i comunisti non c’erano più, e avevano cambiato anche nome.
Ai suoi critici Berlusconi riservò una delle sue battute migliori (ogni tanto ne raccontava, tanto che – come faceva in un vecchio film americano un miliardario impersonato da Yves Montand, “Facciamo l’amore”- ci fu chi ipotizzò che Berlusconi le commissionasse, o i suoi seguaci politici facessero a gara a proporgliele. Faceva ridere meno con le battute sulle donne, a inevitabile sfondo sessista.
Cosa rispose allora Berlusconi ai suoi critici? “Costoro – disse – sono così prevenuti nei miei confronti che se un giorno riuscissi a camminare sulle acque , forse direbbero: ma guarda che bravo!? No, ma direbbero: lo vedete quello? Non sa nuotare”. (En passant, di camminare sulle acque non credo avesse velleità, anche se sapeva scherzare su se stesso e non escludere eventualità che andavano oltre i limiti della natura umana; come la sua convinzione di campare fino a 120 anni; incoraggiato dal suo medico personale, non Zangrillo ma Umberto Scapagnini, sindaco di Catania che, dopo averlo visitato, lo definì “tecnicamente immortale” .
Per cui non stupirà se sui giornali comparirà una vecchia storiella, una volta applicata anche a Craxi vivo, dell’affitto di una tomba; e alla indicazione di un prezzo considerato troppo esoso, la risposta fu: ma come?! Tutta questa somma per SOLI tre giorni)!?
Seducente trascinatore nelle campagne elettorali, gli riusciva più facile vincere che governare, perché, abituato ad essere l’uomo solo al comando delle sue aziende, non gradiva troppo che in politica e nella prassi di governo bisognasse consultarsi, mediare, rimediare, sentire gli alleati, aspettare i tempi parlamentari:; e tutto questo non era abituato e liquidò queste “lungaggini” come un “teatrino”.
Ma poi, per quei fenomeni paradossali della politica, l’outsider Berlusconi, il dilettante Berlusconi, che non amava il teatrino mostrò di imparare in fretta riti e miti della politica, da cui a parole rifuggiva, e ne diventò un consumato esperto, capace di tenere testa ai cosiddetti professionisti della politica.
Alle elezioni fu battuto solo due volte, nel 1996 e nel 2006, e sempre dallo stesso avversario, Romano Prodi che condivideva con il suo duellante storico la facilità della vittoria elettorale e la difficoltà di mantenersi in piedi al governo.
Nel 2001 il risultato fu un trionfo: una vittoria elettorale travolgente, il 61 a zero in Sicilia, una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia della Repubblica, grazie anche al meccanismo elettorale che era diventato maggioritario: e gli italiani erano chiamati a scegliere tra due schieramenti guidati da due aspiranti presidenti del Consiglio.
Quella poteva essere la grande, storica, occasione per fare quella rivoluzione liberale.
Berlusconi l’aveva promesso, firmando nello studio televisivo di Bruno Vespa il famoso contratto con gli italiani, dove erano indicati – una novità assoluta nella prassi pluridecennale della politica governativa italiana – non solo i vari provvedimenti da attuare ma anche la data entro la quale sarebbero stati approvati.
Promise due aliquote fiscali, il 22 e il 33 per cento, la liberazione degli italiani dalla paralizzante burocrazia, che imponeva decine di documenti e tempi lunghi per avviare un’impresa, e dalla rapacità fiscale.
Ma quella rivoluzione non ci fu, o perlomeno i risultati furono ben al di sotto delle speranze suscitate nel Paese.
Berlusconi ne diede colpa ad alcuni eventi internazionali: quello che avvenne nel mondo dopo l’attentato alle Torri Gemelle, nel 2001, e la crisi economica mondiale del 2008, che portò nel 2011 alle dimissioni del governo, sotto l’infuriare dello spread e l’allarme dei mercati. Berlusconi e i suoi gridarono al complotto della Troika e al golpe.
Il 2011 fu anche l’anno in cui un Berlusconi indebolito e prossimo a lasciare la presidenza del Consiglio fu obtorto collo indotto ad associarsi alla guerra contro la Libia, di quello che era stato un amico, Gheddafi. Il rais, come emerso da alcuni documenti desecretati, gli mandò accorati appelli ma per Berlusconi non fu possibile sottrarsi alla partecipazione a una guerra innescata da Un impaziente e interessato Sarkozy, e spalleggiato dagli americani.
Ancora stiamo pagando le conseguenze di quella scelta a cui Berlusconi si oppose fino alla fine, ma poi dovette adeguarsi.
Della mancata realizzazione degli obiettivi di governo, Berlusconi diede colpa anche ai suoi alleati interni: a Follini, capo dell’Udc con Casini, che volle a tutti i costi una verifica e rifare il governo; a Fini, che di fatto veniva considerato il delfino ma poi si mise nelle condizioni di essere addirittura cacciato dal Popolo della libertà. (Ed era presidente della Camera; memorabile la sua domanda in un’assemblea nazionale del Pdl, rivolta a Berlusconi: “che fai? Mi cacci?”. Fu accontentato dal capo del Pdl che accusava l’ex leader di remargli contro: se vuoi fare politica – gli disse – per me va bene, allora ti dimetti da presidente della Camera.
Berlusconi, evidentemente, delle alte cariche del Parlamento aveva, giustamente (in questo caso forse anche strumentalmente?) una visione di terzietà istituzionale. Ogni riferimento a persone e cose è .. puramente casuale, come bugiardamente dicono alla fine di certi film.
Di delfini il mondo berlusconiano era più affollato del mare Mediterraneo: non si contano gli aspiranti più o meno investiti o auto investitisi nel corso degli anni: Fitto, Alfano, lo stesso Fini, Toti, Tajani.
In realtà Berlusconi non ha mai pensato a nominare successori.
In una recente intervista al Nuovo Quotidiano di Puglia, in occasione della partita Monza- Lecca (della squadra brianzola era il patron e sognava di portarla a fasti gloriosi come il leggendario Milan di Van Basten) disse: “Chi è mio erede.? Sono io stesso, Silvio Berlusconi. Quindi si ricomincia da me”.
Berlusconi ha vissuto una vita continuamente oscillante, non solo nella dimensione privata – squadernata sui giornali come su tavolo anatomico- ma anche in quella politica, tra pulsioni di Peter e illusioni faustiane.
Comunque la storia vorrà giudicarlo, Berlusconi resta un personaggio in cui per decenni molti italiani si sono voluti identificare fino a idoleggiarlo. Miliardario, proprietario del mezzo più illusionista dell’era moderna, dopo il cinema, circondato sempre da belle donne, trattate di volta in volta come regine e dispensatrici di ore liete, munificate senza risparmio. Perché dei tratti umani di Berlusconi, uno è certamente la generosità. L’altro la sua ritrosia a vendicarsi, il suo essere inclusivo e la propensione a superare i contrasti. Tanti dei suoi ex seguaci, che lo idolatravano e che a Berlusconi debbono tutto o quasi, carriera, denaro, onori, se ne sono poi allontanati, ma egli signorilmente non ha serbato rancore.
Naturalmente, l’uomo e il politico hanno fatto degli errori. La commistione tra privato e politico è stata la sua croce; la sua vita sentimentale e privata è stata squadernata, esaminata, ispezionata, vivisezionata,; una certa propensione a considerare tutto possibile. Era nella natura dell’uomo non arretrare davanti agli ostacoli, a porsi obiettivi di grande portata. Ma tra questi ostacoli c’erano a volte le leggi della Repubblica e una squadra di legali studiava come, non dico aggirale ma depotenziarne l’applicazione.
Curioso destino, per questi difetti o comportamenti Berlusconi è stato al tempo stesso amato, ammirato e detestato.
È stato accusato, processato, ha conosciuto l’onta della decadenza da senatore, ma poi è ritornato, a Palazzo Madama, e per qualche ora è stato anche in predicato di essere eletto presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama.
È stato perfino lambito, sfiorato da sospetti o accuse di aver a che fare con la mafia. Ma non è stato trovato uno straccio di prova, e questo in un Paese che si picca di essere uno Stato di diritto dovrebbe avere qualche significato.
Ma non ci illudiamo: nei prossimi giorni, i denigratori in servizio permanente effettivo torneranno a elencare una serie di circostanze, voci, vulgate anche se non sono hanno passato il vaglio della prova.
Ora che l’avventura terrena di Berlusconi si è avviata all’esito che attiene al più democratico dei destini umani (dantescamente, “la falce che tutto pareggia”, per lui è pronto il mausoleo ad Arcore che negli anni passati si è fatto costruire e dove già riposano i suoi genitori Luigi e Rosa Bossi.
A proposito di questo cognome: una volta Berlusconi ricevette il leader della Lega Umberto Bossi: e si compiacque di fargli visitare il Mausoleo. Generosamente gli disse: se vuoi ti riservo un posto per te in questo luogo. Il Senatur rispose alla Petrolini: Grazie, non ci tengo, né ci tesi mai.
Su Silvio Berlusconi proponiamo anche la puntata a lui dedicata di «Palazzo Velato», serie podcast prodotta nel 2021 da On Air! The Skill. Clicca qui per ascoltarla
Mario Nanni – Direttore editoriale