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Per capire l’arte ci vuole una sedia | | “Mediocri, ovunque siate, io vi assolvo”: gli artisti, l’invidia, la morte e la fama
“Mediocri, ovunque siate, io vi assolvo”: gli artisti, l’invidia, la morte e la fama
“Mediocri, ovunque siate, io vi assolvo”: gli artisti, l’invidia, la morte e la fama
Da un film di Giuliano Montaldo a un libro di storia (recensione di Roberto Colozza, L’affaire 7 aprile. Un caso giudiziario tra anni di piombo e terrorismo globale, Einaudi 2023)
Le mostre d’arte e il teatro, si sa, sono contigui: in entrambi i casi si entra in luoghi allestiti per un evento specifico, per una durata limitata, per una fruizione collettiva e per un’esperienza che si vive solo lì, in un preciso momento. La contiguità tra le mostre d’arte (uno dei mezzi più pervasivi dell’industria spesso pseudoculturale da luna-park dei nostri tempi) e teatro (risorto, almeno per partecipazione del pubblico, dopo la pandemia) favorisce le riflessioni su una forma di arte visiva come la Performance Art, alla quale è dedicato dal 2006 a Roma il Festival di Arti performative “Short Theatre”, in corso fino al 17 settembre. “Short Theatre” 2023 è dedicato al tema “Radical Sympathy”, a partire da un episodio che coinvolse il pubblico della celeberrima attrice Sarah Bernhardt durante una sua realistica recita della morte della “signora delle camelie” (l’episodio e il programma del Festival sono qui. “Short Theatre” si sta svolgendo sia al Teatro Argentina e al Teatro India sia in spazi assimilati al teatro ma che non sono teatri: “una scatola nera, un prato, la strada, una stanza per l’ascolto”, un ex mattatoio. Basta leggere la presentazione del Festival romano e di altri festival dedicati alla Performance Art per constatare che, fin dal titolo o dalla sinossi, si tratta di una forma d’arte in competizione con il teatro. Infatti dagli inizi la Performance Art è debitrice del teatro sui piani espressivo, iconografico, linguistico, espositivo / allestitivo. Attori professionisti e artisti performativi hanno condiviso spesso nel Novecento, oltre ad alcuni spazi di lavoro, proprio i lemmi “performance”, “performante” e “performativo” nel lessico tecnico di coloro che scrivono e parlano della qualità del loro lavoro. Attori professionisti e artisti performativi condividono spesso (con mezzi e scopi diversi) anche un uso del corpo portato alle
Quando l’attenzione del Governo per il patrimonio pubblico diventa un’arma di distrazione di massa (recensione di Frederic Spotts, Hitler e il potere dell’estetica, traduzione di Ester Borgese, Monza, Johan & Levi Editore, 2023)
L’8 luglio 1977 a Lucera muore un avvocato che aveva messo da parte la professione di tradizione familiare esercitata in uno dei fori più prestigiosi del Meridione per intraprendere nel 1930, con testarda convinzione, il mestiere di bibliotecario dopo avere vinto un concorso. Tale radicale cambio di rotta nella vita di Giambattista Gifuni era stato preceduto da una avviata operosità di pubblicista e di cittadino attivo mai interrotta. Gifuni pubblicò molti libri su questioni di storia patria e artistica (tra i quali Profili e scorci di storia, Napoli, Artigianelli, 1942; L’Arma di Lucera, Lucera, Catapano, 1973; a un anno dalla morte esce l’antologico La fortezza di Lucera e altri scritti, Lucera, Catapano, 1978, a cura di G. Trincucci, curatore anche di Gifuni, Saggi e memorie, Lucera, Catapano, 1992, e di Varietà di cultura storica, letteraria e civile, Lucera, Società di Storia Patria per la Puglia, 2008). Gifuni scrisse saggi, recensioni, profili di uomini illustri (Giovanni Giolitti, Scipio Slataper, Guido Gozzano, Ferdinando Martini) e articoli che meriterebbero uno spoglio inventariale davvero completo, magari da riversare in un database che si rivelerebbe utile non solo per gli studi sulla Capitanata. Gifuni pubblicò gli interventi da pubblicista su giornali locali ed extra regionali, dal “Il Foglietto” di Capitanata a “il Mattino” (dal 1970), da “La Voce” a “Il Nuovo Popolo di Capitanata”, da “Il Corriere padano” all’“Archivio storico pugliese” (dove si firmò con lo pseudonimo di Bibliothecarius) a “La Gazzetta di Puglia” (poi “La Gazzetta del Mezzogiorno”), sulla quale si firmò anche con lo pseudonimo di Mattia Bustini Faggi. Quando Giambattista Gifuni muore, la Civica biblioteca di Lucera (dal 1935 intitolata a Ruggero Bonghi) risulta da lui arricchita da un patrimonio incrementato per tutto il suo mandato, il Museo civico Fiorelli ampliato e migliorato grazie alla sua direzione (dal 1935)
“Nel gennaio del 1933 il romanzo di Céline era un comune argomento di conversazione serale”: il romanzo è Viaggio al termine della notte. Della sua fortuna immediata così scrive l’allora cinquantanovenne Albert Thibaudet, professore di storia della letteratura francese tra i più autorevoli critici dell’epoca. Tra i tanti artisti e intellettuali che si avvalgono delle novità della lingua di Viaggio al termine della notte ci sono due aspiranti scrittori, Anaïs Nin ed Henry Miller: quarantuno anni e sposato a una ballerina entraîneuse lui, ventinove anni e sposata a un funzionario di banca lei. L’8 marzo 1932, sette mesi prima dell’uscita di Viaggio al termine della notte da Denoël et Steele, Nin e Miller erano diventati amanti. Uniti dalla voracità per la scrittura altrui nella quale trovare linfa per la propria e dal comune obiettivo del successo, Nin e Miller trovarono nel romanzo di Céline la svolta per la stesura definitiva dei due primi romanzi di Miller, Tropico del Cancro, terminato nel 1932 e uscito nel 1934, e Primavera nera, scritto tra il 1933 e il 1934 con dedica a Nin. Il primo Tropico, il libro più importante dello scrittore, esiste perché Nin ne sostenne le spese di pubblicazione con soldi presi in prestito; ammiratore sfegatato di Dostoevskij, emigrato a Parigi dopo essersi licenziato per diventare uno scrittore, Miller non voleva saperne di lavorare per mantenersi e si sentì in debito per sempre con l’amante e poi amica per essere stata mentore, finanziatrice, suggeritrice di letture decisive, correttrice dei suoi dattiloscritti. Fu difatti la più giovane Nin a far scoprire Céline al più anziano Miller, a mettergli sotto gli occhi i pregi e i difetti del Viaggio e fargli capire che avrebbe dovuto competere con quel romanzo contemporaneo, non con Delitto e castigo e I demoni, per trovare finalmente
I film al cinema, la Divina Commedia, il liceo classico, la storia dell’arte, la laurea in Storia della lingua italiana: vademecum per diventare la più importante regista italiana (recensione del numero monografico dedicato a Liliana Cavani di “Bianco e Nero”, rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia, anno LXXXIII, fascicolo 604, settembre-dicembre 2022, a cura di Enrico Magrelli). Nella Bologna degli anni Cinquanta del Novecento una giovane appassionata studentessa di Carpi viene scoraggiata dal proseguire gli studi in Medicina a Modena da un professore che, portandola nel suo studio, le dice: “Ma lo sa che nessuna donna arriva mai alla cattedra in Medicina?”. La studentessa cambia rotta, ripiegando su un corso di studio umanistico ritenuto più adatto a una donna. Il ripiego si rivela una fortuna: “Quell’incontro contribuì a farmi cambiare facoltà. Mi sono iscritta a Lettere antiche e mi sono laureata in Storia della lingua […] con una tesi di laurea su un poeta che si chiama Marsilio Pio della famiglia Pio di Carpi, perché nella biblioteca avevo trovato un suo incunabulo del tardo ’400. Marsilio Pio aveva partecipato alla congiura contro Borso d’Este, del quale era cugino: era stato condannato a nove anni di galera, chiuso dentro una torre a Carpi, e in quei nove anni ha scritto un canzoniere e tutta la sua storia, in capitoli”. “I capitoli erano il modo di poetare della Divina Commedia, di parlare di politica e di storia, mentre il canzoniere era il modo di poetare d’amore. Chiamai da un telefono a gettoni il professor Spongano, con il quale sono rimasta in contatto fino a quando è morto, e gli dissi che avevo trovato questo testo e che poteva valere la pena di farne un’edizione critica”. “Fu un gran lavoro: il testo era scritto tutto di seguito per risparmiare pergamena,
Paesaggi epici che insegnano ad accogliere da viaggi all’inferno (una visita alla mostra del Fregio di Enea di Dosso Dossi alla Galleria Borghese). Nell’articolo del 5 maggio scorso ho riflettuto sullo smantellamento del sistema scolastico e universitario italiano che era fondato anche sulla memorizzazione ragionata di informazioni che servivano in tempi remoti, e servirebbero pure oggi, ad avere parole e chiavi sicure per leggere il presente attraverso la storia. L’ho fatto a partire dal bel libro autobiografico di un’artista multiforme, Sonia Bergamasco, Un corpo per tutti. Biografia del mestiere di attrice (l’articolo è questo: https://beemagazine.it/lo-specchio-nel-quale-chi-ne-ha-il-coraggio-si-puo-guardare/). Oggi torno su alcuni aspetti di quei temi dopo avere visto una mostra appena conclusa alla Galleria Borghese permessa dalla consueta sapienza scientifica e organizzativa dell’infaticabile Direttrice Francesca Cappelletti, che continua a mettere al primo posto lo studio e la ricerca come motori ineludibili della tutela e del progresso del museo. È stata lunga e costante l’esperienza di studio, di ricerca (con libri e saggi) e didattica, di Francesca Cappelletti sulla storia dell’arte rinascimentale e secentesca tra Ferrara e Roma, con particolare attenzione alla pittura e all’arte del paesaggio fino ai nostri tempi: è coerente con tali interessi di studio sul paesaggio, quindi, che la Galleria Borghese ospiti fino al 9 luglio anche la bella mostra degli insiemi plastici di uno degli artisti italiani viventi più noti nel mondo, Giuseppe Penone, che in quattro sale ha dialogato con la collezione permanente, comprese le statue di Gian Lorenzo Bernini, e con la natura del giardino. Non si tratta, dunque, di studi ed esposizioni che seguono la moda delle iniziative, accademiche e no, sul paesaggio in tutti gli ambiti praticati dalle arti visive, ma della messa a frutto di decenni di approfondite conoscenze di opere e fonti lette anche, appunto, attraverso la lente del paesaggio
Gli storici dell’arte condividono il metodo di lavoro con i medici e con gli investigatori: tutti raccolgono indizi per formulare una diagnosi. Pertanto è naturale che il racconto che segue appartenga al genere del giallo (un genere molto amato dagli storici dell’arte) e che, come un giallo, si sviluppi tra epoche e città diverse, dal Medioevo di Federico II e di Isabella d’Aragona alla New York di La casa della gioia per finire a Stuttgartt durante gli anni di piombo, dagli scavi del duomo pugliese di Troia alle sale del Metropolitan Museum di New York e che i personaggi siano mercanti, storici dell’arte, falsari, funzionari. Anche il titolo del racconto e i titoli dei paragrafi sono omaggi ad alcuni celebri racconti del mistero: al lettore il compito di svelare a sé stesso questi indizi disseminati nel racconto e, magari, la curiosità di leggere gli originali, se ancora non lo ha fatto. Storia dei capitelli A Parigi, tra il 16 aprile e il 16 maggio 1928, il mercante Arthur Sambon organizza nel suo “hotel particulier, 7, Square de Messine” una “exposition de sculpture comparée de l’Antiquité, du Moyen Age et de la Reinassance” allo scopo di illustrare gli aspetti diversi e contrastanti della “progression de l’art sculptural”. Il ricavato della vendita è destinato all’“Union des Arts (fondation Rachel Boyer)”. Tra i ventidue Chapiteaux et Colonnes elencati nel catalogo illustrato venduto a 15 franchi (la versione senza immagini ne costa 5) con le riproduzioni dell’“Hélio[graphie] Léon Marotte Paris” c’è un “Chapiteau orné de feilleus de chou et de têtes représentant les différentes races humaine” in pietra, proposto (con una buona dose di approssimazione) come esemplare di “Art padouan du XVe siècle”, senza dettagli sulla provenienza (di altri pezzi in catalogo Sambon dichiara l’appartenenza a più e meno note raccolte private, ma tutti
Recensione del libro di Tomaso Montanari, Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale, Einaudi 2023
BeeMagazine è un progetto culturale ed editoriale fondato da The Skill Group nel 2021 e animato da un gruppo di giovani, con l’inserimento di alcuni professionisti di lungo corso Continua a leggere
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