Per capire l’arte ci vuole una sedia

Rubrica di Floriana Conte

Paesaggi epici che insegnano ad accogliere da viaggi all’inferno (una visita alla mostra del Fregio di Enea di Dosso Dossi alla Galleria Borghese).

 

Dosso Dossi, Il viaggio agli Inferi, 1518-1519 circa, particolare, olio su tela, 55,5 x 185,4 cm, Roma, collezione privata

 

Nell’articolo del 5 maggio scorso ho riflettuto sullo smantellamento del sistema scolastico e universitario italiano che era fondato anche sulla memorizzazione ragionata di informazioni che servivano in tempi remoti, e servirebbero pure oggi, ad avere parole e chiavi sicure per leggere il presente attraverso la storia. L’ho fatto a partire dal bel libro autobiografico di un’artista multiforme, Sonia Bergamasco, Un corpo per tutti. Biografia del mestiere di attrice (l’articolo è questo: https://beemagazine.it/lo-specchio-nel-quale-chi-ne-ha-il-coraggio-si-puo-guardare/). Oggi torno su alcuni aspetti di quei temi dopo avere visto una mostra appena conclusa alla Galleria Borghese permessa dalla consueta sapienza scientifica e organizzativa dell’infaticabile Direttrice Francesca Cappelletti, che continua a mettere al primo posto lo studio e la ricerca come motori ineludibili della tutela e del progresso del museo. È stata lunga e costante l’esperienza di studio, di ricerca (con libri e saggi) e didattica, di Francesca Cappelletti sulla storia dell’arte rinascimentale e secentesca tra Ferrara e Roma, con particolare attenzione alla pittura e all’arte del paesaggio fino ai nostri tempi: è coerente con tali interessi di studio sul paesaggio, quindi, che la Galleria Borghese ospiti fino al 9 luglio anche la bella mostra degli insiemi plastici di uno degli artisti italiani viventi più noti nel mondo, Giuseppe Penone, che in quattro sale ha dialogato con la collezione permanente, comprese le statue di Gian Lorenzo Bernini, e con la natura del giardino. Non si tratta, dunque, di studi ed esposizioni che seguono la moda delle iniziative, accademiche e no, sul paesaggio in tutti gli ambiti praticati dalle arti visive, ma della messa a frutto di decenni di approfondite conoscenze di opere e fonti lette anche, appunto, attraverso la lente del paesaggio e della sua storia.

 

La copertina del catalogo della mostra, pubblicato da Electa e curato da Marina Minozzi, con un particolare di Dosso Dossi, La riparazione delle navi troiane, 1518-1519, olio su tela, 58,7 x 87,6 cm, Washington, DC, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, inv. 1939.1.250

La copertina del catalogo della mostra in corso fino al 9 luglio alla Galleria Borghese fino al Giuseppe Penone. Gesti universali, a cura di Francesco Stocchi, Electa 2023

 

 

Nella sala 14 della Galleria era allestita fino all’11 giugno scorso la mostra Dosso Dossi. Il fregio di Enea, che riuniva per la prima volta in un’unica sede cinque delle dieci tele che componevano il fregio realizzato dal pittore di corte del duca Alfonso I d’Este di Ferrara, Dosso Dossi, tra il 1518 e il 1520 per il Camerino delle pitture del duca. Le tele del fregio di Enea in mostra erano cinque delle sette finora riemerse di uno dei cicli figurati più celebri del Rinascimento. Il fregio di Enea ornava la parte più alta delle pareti del Camerino delle pitture di Alfonso I, che custodiva Baccanali dipinti anche da Giovanni Bellini e da Tiziano che erano intrecciati a iconografie aventi lo scopo di esaltare la temperanza nei governanti e di celebrare i fondatori di città.

La mostra permetteva di confrontare le tele del fregio con le altre opere di Dosso Dossi che sono patrimonio della collezione permanente della Galleria: l’ariostea Maga Melissa, l’Apollo, l’Adorazione del Bambino, la Madonna col Bambino, l’Allegoria mitologica, i sulfurei Santi Cosma e Damiano; il precoce Gige, Candaule e Rodope, con la storia di un re le cui vanterie ne causano la caduta (I, 8-12; la vicenda di Gige, Candaule e della moglie di lui Rodope, tramandata dalle Storie di Erodoto e tradotta dal greco a Ferrara per Ercole d’Este da Boiardo, ha avuto perfino dignità hollywoodiana: raccontata in pubblico ad alta voce da Kristin Scott Thomas una notte nel deserto, conferma la passione che brucerà lei e Ralph Fiennes nel film Il paziente inglese di Anthony Minghella).

 

Dosso Dossi, Gige, Candaule e Rodope, 1508-1510, olio su tela, 41 x 56 cm, Roma, Galleria Borghese

 

Ralph Fiennes ascolta Kristin Scott-Thomas che racconta la storia di Gige, Candaule e Rodope in Il paziente inglese, regia: Anthony Minghella. Produzione: Tiger Moth Productions (USA-GB, 1996)

 

I saggi del catalogo della mostra (un libro maneggevole, fatto di carta opaca che si legge e annota facilmente, bene illustrato e che accompagna il visitatore nelle sale della Galleria e, dopo, ovunque voglia per le dimensioni contenute) raccontano i passaggi delle tele da Ferrara alle varie sedi, museali e private, dove attualmente sono custoditi. La traslazione del fregio nel 1608 da Ferrara alla collezione del rapacissimo cardinale Scipione Borghese motiva e giustifica la naturale sede della mostra, la Galleria Borghese; peraltro, per il cardinale il mito di fondazione nell’Eneide era di particolare rilievo autorappresentativo: insieme al fregio estense, Scipione fu il proprietario anche del grande dipinto con Enea che fugge da Troia di Federico Barocci, in Galleria, e commissionò a Gian Lorenzo Bernini il suo primo gruppo scultoreo raffigurante Enea che fugge da Troia portando sulle spalle il padre Anchise, anch’esso in Galleria: si tratta di opere che sostanziavano visivamente con un mito fondativo celebrato dall’epica l’esistenza stessa del pontificato Borghese del “gran zio” Paolo V.

 

Federico Barocci, La fuga di Enea da Troia, 1598, olio su tela, 179 x 253, Roma, Galleria Borghese (scheda nel catalogo online della Galleria qui: https://www.collezionegalleriaborghese.it/opere/la-fuga-di-enea-da-troia)

 

Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio, 1619, marmo, altezza: 220 cm, Roma, Galleria Borghese (scheda nel catalogo online della Galleria qui: https://www.collezionegalleriaborghese.it/opere/enea-anchise-e-ascanio)

 

Nel fregio di Dosso, infatti, tutti gli elementi negativi legati all’operato di Enea e alle circostanze nelle quali agisce sono elusi (non ci sono né la guerra né gli esiti deleteri della passione erotica). Enea è un eroe positivo che trasforma la tragedia dell’esilio nella riscrittura del destino di un intero popolo e del mondo intero, collocandosi a monte della storia che porterà alla futura fondazione di Roma.

La mostra metteva in risalto le qualità da fantasista di Dosso Dossi come inventore di paesaggi arcani e quasi fiabeschi, con una tavolozza e una fantasia spumeggianti, con “cieli vaporosi, tersi ed elettrici” (come li descrive Francesca Cappelletti nelle pagine Il ritorno di Enea. Il fregio di Dosso Dossi alla Galleria Borghese, alle pp. 7-9 del catalogo): gli esiti del rapporto tra figurine di uomini e animali nei paesaggi diurni in certi punti anticipava le vette misteriose e oniriche degli oli vellutati come pastelli del simbolista Odilon Redon.

Dosso Dossi, Arrivo dei Troiani sulle coste libiche e giochi siciliani in memoria di Anchise, particolare, 1520-1521 circa, Birmingham, Barber Institute of Fine Arts

 

Dosso Dossi, La costruzione del tempio di Venere a Erice e le offerte alla tomba di Anchise, 1518-1519 circa, olio su tela, 59,4 x 85,6 cm, Washington, DC, National Gallery of Art, inv. 2021.6.1

 

Odilon Redon, Musa su Pegaso, 1900 ca., olio su tela, Parigi, collezione privata

 

Gli animali si rivelano, spesso, le parti più incantevoli del fregio di Enea: il bue ripreso da tergo e le capre dalle lunghe orecchie che sembrano continuare a vivere quietamente mentre la peste imperversa tra i troiani sbarcati a Creta (dal III libro dell’Eneide); i due cani quasi albini accucciati rivolti verso il bue inghirlandato in primo piano ben piantato sulle zampe anteriori troppo tozze per una mole troppo cresciuta (dal V libro dell’Eneide).

 

La peste cretese, 1520-1521 ca., olio su tela, 58,5 x 167,5 cm, Abu Dhabi, Louvre Abu Dhabi, inv. LAD 2021.004.001

 

Dosso Dossi, Arrivo dei Troiani sulle coste libiche e giochi siciliani in memoria di Anchise, particolari, 1520-1521 circa, Birmingham, Barber Institute of Fine Arts

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spesso l’invenzione del pittore era in grado di competere con quella del poeta e di aggiornarla: il Viaggio agli Inferi (se ne vede un particolare nell’immagine di apertura di questo articolo) è talmente carico di invenzioni di supplizi tanto atroci quanto grotteschi che le immagini superavano i versi di riferimento dal libro VI, in cui Enea e la Sibilla scendono agli Inferi. C’è Tizio torturato dall’avvoltoio; c’è soprattutto un assurdo supplizio anale perpetrato a una figura, forse femminile, che sembra una gigantesca bagnante di Ingres immaginata dal marchese De Sade: del corpo della figura dannata vediamo solo la schiena, le natiche e una porzione di cranio inturbantato, mentre un diavolo mostruoso le insuffla aria (che immagino rovente, dato il clima dell’Ade) nello sfintere da un grosso mantice. Non si tratta di un’invenzione autonoma di Dosso, ma di un omaggio a Hieronymus Bosch: le opere oscure e fantastiche del pittore olandese andavano molto di moda in Italia grazie ad alcuni quadri in collezioni venete e padane. Nella tela infernale, l’unica a lume notturno in un interno della parte del fregio in mostra, Dosso inscena una caratteristica tipica di Bosch, che creò una sorta di ricetta per il contrasto espressivo tra scene di dannazione e dolore e momenti di beatitudine celeste.

 

Hieronymus Bosch, Trittico delle delizie. L’inferno musicale, particolare del pannello destro, 1480-1490 circa, olio su tavola, 220 x 389, Madrid, Museo del Prado

 

Anche senza ricorrere ai chiari e perspicui pannelli didattici che accompagnavano i visitatori sotto ogni tela del fregio di Dosso, i versi di Virgilio tornavano alla memoria, interi o zoppicanti, in italiano o in latino con la musicale lettura metrica, come il verso riudito di una poesia dimenticata davanti a ognuna delle fantasmagoriche scene rielaborate in immagini dal grande artista ferrarese. Per me che ho quasi quarantasei anni, infatti, il fregio ricomposto è stato anche un’occasione di forzare la memoria, di tornare al passato, dato che l’Eneide aveva fatto parte degli studi classici al liceo e all’università (nel secondo caso, integralmente, nell’edizione latina curata da Ettore Paratore e tradotta a fronte da Luca Canali per Mondadori).

 

 

È un poema organizzato come il migliore dei film di azione, non manca niente, dalla guerra agli affetti e odi familiari, dall’avidità ai tradimenti, dalla violenza più cieca agli stupri più efferati, dalla povertà alla ricchezza, dal soprannaturale che irrompe nella vita quotidiana alle morti più strane, senza trascurare amicizia, passione e malattia; ogni studente è in grado di capirlo subito se l’Eneide, ma anche l’Iliade e l’Odissea, vengono recitate ad alta voce da un insegnante capace di mettere in scena le parole (ormai sono sempre più convinta che chi insegna nelle scuole dovrebbe seguire buoni corsi di base di lettura teatrale e di recitazione, non corsi su quella pedagogia d’accatto che ormai imperversa tra scuola e università). Del resto, l’epica viene prima del cinema: nell’Eneide, come nei poemi omerici, il racconto inizia quando l’evento che ha scatenato il viaggio dei profughi è avvenuto e ne conosciamo i dettagli non nel libro I, ma a partire dal II, con lunghi e appassionanti flashback. Ricordo ancora una volta che Federico Fellini aveva eletto l’Iliade imparata a scuola a sceneggiatura favorita sua e dei suoi compagni per il “gioco della pugna” (cioè della guerra di Troia), e che Carmelo Bene metteva l’Iliade tradotta per Einaudi nel suo pantheon di libri della vita. Varrà, dunque, sempre la pena di fare arrivare sotto gli occhi degli studenti il valore di questi libri straordinari. Oggi i dicottenni-ventenni arrivano all’università o vogliono fare mestieri creativi senza avere mai letto e memorizzato neppure un rigo dei poemi epici che arricchiscono l’immaginazione e forniscono parole alla memoria. Sicuramente il lavoro dei traduttori dal greco e dal latino aiuta e aiuterà, ogni volta che chi è giovane potrà disporre di versioni più moderne dei classici, magari mentre contemporaneamente ne sta studiando la lingua, o anche se non conoscerà mai il latino e il greco.

 

Dosso Dossi, Arrivo dei Troiani alle isole Strofadi e attacco delle Arpie, particolare, 1518-1519, olio su tela, 59 x 185,5 cm, Madrid, Museo Nacional del Prado, inv. 3011

 

In una rivalutazione scolastica e universitaria di questo tipo, che non sia solo destinata all’apprendimento e alla traduzione dal greco e dal latino, i poemi epici, e l’Eneide tradotta nel fregio di Dosso, possono rivelarsi una chiave per leggere il presente attraverso la storia. Se uno studente durante la mostra ha ammirato il fregio con la scena dell’Arrivo dei Troiani alle isole Strofadi e l’attacco delle Arpie, sarà stato in primo luogo incuriosito da come Dosso ha disposto insolitamente le figure nel paesaggio; se è stato preparato da un insegnante o da un familiare a visitare la mostra leggendo l’Eneide, avrà cercato i protagonisti del libro III nella tela, fino a scovare l’Arpia più feroce tra le sue sorelle “rapaci e lorde”, Celeno (il cui nome significa ‘Oscurità’), non in primo piano e sovradimensionata, bensì remota e piccola in cima all’estrema sinistra della scena: come in Profondo rosso, l’immagine del cattivo va cercata attentamente nella scena, richiede complicità visiva.

Eppure Celeno ha un ruolo di un certo peso: predice a Enea che il viaggio che attende lui e i troiani profughi sarà difficilissimo e che, una volta approdati alle coste italiane, una “dira fames” (cioè una fame terribile) li costringerà a cibarsi dei piatti di farro essiccato che usano per contenere il cibo in quanto avranno solo quelli per sfamarsi. La tremenda profezia proferita da un essere ripugnante come Celeno non resterebbe solo un lontano fatto accaduto in un poema epico per lo studente che ha ammirato la tela di Dosso e che conosce sia il libro III dell’Eneide sia le notizie su ciò che accade nel Mediterraneo di continuo: un insegnante o un familiare capace di connettere poesia e storia saprebbe spiegare, creando un’immagine indelebile nella coscienza, che i troiani in fuga dalla propria terra devastata dalla bestialità della guerra non sono tutti poveri né senzatetto, perché a casa loro (per usare una terminologia bieca ma familiare) sono stati in alcuni casi notabili del luogo: a cominciare da Enea, valoroso guerriero secondo solo a Ettore e semidio perché figlio di Venere.

La guerra e la presa di Troia, come tutte le guerre, mettono in fuga gli esuli, che nel loro peregrinare per il Mediterraneo si trovano a fare esperienze non dissimili da quelle che (con gli interessi) fanno i migranti del Mediterraneo oggi, quando scappano da Stati autoritari e da guerre, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche di partenza come rifugiati e richiedenti asilo. Nell’Eneide, come oggi, i profughi fanno un viaggio di rifondazione verso l’ignoto, sperando di ricostituirsi col lavoro e l’impegno in una nuova comunità. Nell’Eneide, come oggi, l’arrivo dei profughi in Italia è segnato da malattie (la peste allora, la peste da Covid oggi), fame e povertà; nell’Eneide, come oggi, l’approdo in Italia è ritardato o frenato da quello sulle coste della Libia, illustrato da Dosso Dossi in un’altra tela in mostra, l’Arrivo dei Troiani sulle coste libiche e giochi siciliani in memoria di Anchise.

Ma nel libro I dell’Eneide, quando i profughi approdano sulle coste libiche vengono accolti dalla regina di Cartagine, Didone (profuga a sua volta), tanto benevolmente che fino al libro IV Enea e la regina hanno una breve relazione (il cui esito è, tuttavia, tanto noto quanto nefasto per Didone). Tale benevolenza che permette a un profugo e a una regina, esule anch’essa, di amarsi, non riguarda i nostri tempi, nei quali i profughi contemporanei sono attesi all’arrivo da povertà e ostilità, se non muoiono annegati prima o se non vengono imprigionati o torturati a morte durante la detenzione arbitraria in Libia.

Ecco, dunque, come l’arte può insegnare a chi non ha ancora mente e animo corrotti che le migrazioni, i profughi, l’accoglienza hanno sempre fatto parte della storia culturale del Mediterraneo. L’Eneide nel fregio di Dosso Dossi è arte che visualizza tante cose: un momento felicissimo della fortuna del poema di Virgilio, è un momento della storia della pittura che illustra testi letterari, è un momento importante di storia della pittura di paesaggio, è un segmento della storia del rapporto che gli artisti visivi hanno con i libri. E il fregio visualizza anche che i “cieli vaporosi, tersi ed elettrici” sono lì per tutti gli uomini, compresi quelli che fuggono dall’inferno.

 

Floriana Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

 

 

 

 

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