Ucraina, Petroni (Limes): Se la Russia venisse sconfitta, probabile una ribellione di palazzo

Dalla “operazione militare speciale alla Guerra sintetica”. Che cosa è cambiato in questo primo anno di guerra. La posizione della Cina, l’atteggiamento degli Stati Uniti. In ballo c’è l’esistenza stessa della Russia come impero e come nazione. I russi non digeriscono il dover fare la guerra ma ancor meno l’idea di una sconfitta. Quale ruolo futuro possibile per Zelensky

La mattina del 24 febbraio dello scorso anno il mondo occidentale si è svegliato con la notizia che la Russia stava avanzando militarmente in Ucraina. La guerra, chiamata allora da Putin “Operazione militare speciale”, è tornata dopo decenni-anche se in maniera indiretta-nella vita degli europei ed ha acceso i più svariati dibattiti. Un anno dopo lo scoppio del conflitto lo scenario è molto diverso: ne parliamo con Federico Petroni, analista e consigliere redazionale di Limes.

Cosa è cambiato dall’inizio della guerra?

La principale cosa che è cambiata credo sia l’atteggiamento della Cina, nel senso che sente una pressione particolare dal punto di vista interno e sta cercando di attrezzarsi al meglio per rallentarla. Questo passa anche dal cercare di evitare che la guerra si allarghi, che la Russia capitoli e che gli Stati Uniti approfittino dell’occasione per stringere una doppia morsa di contenimento.

 

 

Jinping

 

 

Un’altra cosa che è cambiata è la dicitura della guerra, che non è più “Operazione speciale militare”, ma è “Guerra sintetica”. Una guerra che la Russia tenta di condurre perché in ballo non ci sono questioni territoriali, minoranze russofone o l’idea di avere un mondo russo: secondo l’idea che fornisce Vladimir Putin in ballo c’è l’esistenza stessa della Russia come impero e come nazione.

 

 

Putin

 

 

Infine è cambiato anche l’atteggiamento degli Stati Uniti che dall’osservare e limitarsi a contenere una sconfitta militare russa stanno realizzando che la loro strategia in Ucraina non è così sostenibile in una strategia globale più ampia che non ha soltanto l’Ucraina come “teatro prioritario” e dunque stanno cercando di accelerare un cessate il fuoco anche attraverso la fornitura di armamenti sempre più sofisticati, sempre più potenti e sempre più in grado di raggiungere la Russia.

 

 

Biden

 

 

L’Ue, invece, quali consapevolezze ha acquisito dallo scoppio della guerra in Ucraina?

L’Unione europea-in quanto organizzazione-ha acquisito la consapevolezza che l’unico modo di avere un senso è dentro un sistema americano. Questo punto non riguarda i singoli paesi membri che hanno idee molto diverse su come gestire la guerra e su come relazionarsi successivamente con la Russia.

Faccio un esempio pratico: l’idea del rapporto con la Russia che ha la Francia è molto diversa da quello che ha la Polonia. La prima mira a non schiacciare la Russia per poi ricomprenderla nel futuro post-bellico. La Polonia preferirebbe una sconfitta strategica della Russia che sia da inizio a rovesciamento dell’impero russo.

Si parla di Ucraina in Europa, ma l’ingresso non avverrà nel breve periodo. Quali potrebbero essere i vantaggi di un ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea in un futuro prossimo?

I vantaggi dipendono dal punto di vista da cui si guardano: dal punto di vista polacco, l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea serve a fornire un ulteriore cuscinetto alla difesa della Polonia, a creare un sistema comune per la ricostruzione del Paese, per estendere una propria influenza e per costruire una serie di infrastrutture che cementino una sorta di mini-federazione europea che aumenti la sicurezza della Polonia.

Ora, come si vede, tutto questo è completamente diverso da come possono concepirlo gli altri Paesi europei che hanno obiettivi politici molto più radicati, come la Francia e l’Italia o la Germania. L’ingresso dell’Ucraina potrebbe servire semplicemente per razionalizzare strategie di ricostruzione e convogliare meglio dei gruppi finanziari, infrastrutturali e umani per favorire una rapida ripresa post-bellica del Paese.

C’è stata poi la recente revoca del decreto 605\2012 che potrebbe aprire nuovi scenari per la Georgia e la Moldavia. C’è il rischio che queste diventino delle aree calde, se non dei nuovi Donbass?

Sono già aree calde. Nel momento in cui il mondo russo, così chiamato da Putin, entra in guerra contro il mondo occidentale, le aree che stanno a metà tra queste due parti geografiche rischiano una competizione violenta o l’allargamento della guerra ai loro confini, venendo schiacciati da queste logiche. Inoltre sono le poche aree grigie dove la guerra può essere espansa senza entrare in territorio Nato.

La guerra ha avuto anche molte ripercussioni sulla figura di Vladimir Putin, costi che la popolazione russa ha dovuto pagare e pagherà per i prossimi anni. C’è la possibilità che, con l’ormai ex operazione speciale, l’epoca Putin si chiuda nel breve periodo?

No. Sicuramente la popolazione russa non è così compatta dietro un capo come qualcuno vuole rappresentarla. Questo è dimostrato dal fatto che le autorità russe hanno le mani relativamente legate nella mobilitazione di nuove reclute e puntano molto su mercenari e carcerati da mandare al fronte.

Difficilmente i russi si ribelleranno per evitare di fare la guerra. Una ribellione “di palazzo” invece è molto più probabile nel caso in cui la Russia venga sconfitta. I russi digeriscono peggio la sconfitta che non l’obbligo a fare la guerra: questo è anche uno dei fattori che motiva il calcolo delle cancellerie occidentali e quelle dell’Europa centrorientale e nordamericane. Si tenta di agevolare una sconfitta nella convinzione che il sistema russo non possa sopportarne l’urto.

Invece Zelensky è uscito molto rafforzato dal conflitto passando addirittura da “presidente comico” al capo di Stato nel momento più buio della storia della sua nazione che oggi noi tutti conosciamo. Avrà un ruolo anche nel periodo post bellico?

Molto dipenderà dall’esito di questa guerra. Al momento gli ucraini sembrano avere obiettivi molto massimalisti: o tutto o niente, questo atteggiamento inevitabilmente cambierebbe se si dovesse arrivare a un compromesso. Un eventuale cessate il fuoco, che in qualche modo congeli il fronte e quindi le perdite territoriali, avrebbe inevitabilmente un impatto sulla dirigenza a meno che non sia la popolazione a stancarsi della guerra e chiedere alle proprie autorità di siglare un accordo.

 

 

Zelensky

 

 

Se l’accordo fosse però imposto da fattori esterni anche un presidente che è stato un baluardo per la sua popolazione in tempi difficili ne risentirebbe. Non dimentichiamo infine che all’interno delle classi dirigenti ucraine in questi anni sono avvenuti scontri sull’autorità del presidente a cui sono seguite delle purghe vaste. Questo non da esattamente il quadro di una classe dirigente solida, compatta e che gode di una legittimazione molto ampia al di là dell’attuale situazione.

 

Francesco FatoneGiornalista

 

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