Tutto in Pirandello fu pirandelliano. Persino l’amore. Il legame complesso e tormentato con Marta Abba

L’amore fu fonte delle sofferenze feroci generate dalla convivenza con la follia, nel legame con Antonietta Portulano; fu sublimazione della bellezza e intrusione della letteratura nella vita, nella relazione con Marta Abba, anch’essa attraversata più dal dolore che da flebili squarci di gioia, comunque illusori.

Nel 1925 Luigi Pirandello dirige il Teatro d’Arte di Roma che ha sede presso il palazzo Odescalchi, ha 58 anni, un matrimonio alle spalle chiuso da anni (dal 1919) con il ricovero in una casa di cura della fragile Antonietta Portulano, e, letterato agli allori (vana consolazione), declina verso la vecchiaia nella più spoglia solitudine.

Nell’inverno di quell’anno il critico teatrale Marco Praga gli suggerisce di scritturare per la sua Compagnia una giovane e assai promettente attrice, Marta Abba. Praga l’aveva vista calcare le scene al teatro Manzoni di Milano per la Compagnia del capocomico Virgilio Talli. In particolare, era rimasto entusiasta del come era riuscita a calarsi nei panni di Nina nel capolavoro di Cechov Il gabbiano, tanto da scrivere: «C’è una tempra di attrice in questa giovane e, aggiungo, di primattrice. La sua bella figura scenica, la sua maschera, la sua voce ch’è di timbro dolcissimo e insieme delle più calde, l’intelligenza di cui ha dato prova in questa parte del dramma cecoviano, la sua sicurezza e la sua disinvoltura, la dimostrano nata per la scena, e subitamente matura per affrontare il gran ruolo».

Pirandello, contagiato dal fervore di Praga, decide di accoglierla nella sua Compagnia, malgrado le esorbitanti richieste economiche. Il suo assistente Guido Salvini la va a trovare a Milano per farle stipulare il contratto con il Teatro d’Arte romano. Marta Abba viene scritturata come prima attrice con una paga giornaliera superiore a quella del primo attore della Compagnia, Lamberto Picasso. L’attende una novità teatrale di Massimo Bontempelli, Nostra dea, che ha per protagonista una donna fascinosa e volubile che cambia personalità a ogni abito che indossa: un testo abbastanza pirandelliano.

Pirandello, prima di incontrarla, le scrive una lettera – la prima di una copiosa corrispondenza – che manifesta, più che il calore dell’accoglienza, il «suo maniacale attaccamento al lavoro» e la «preconcetta sfiducia in quello degli altri», come nota uno dei suoi più attenti biografi, Matteo Collura: «Gentilissima Signorina, studi con amore la parte della protagonista di Nostra dea, e pensi che la rappresentazione di questo lavoro avrà tutto l’ausilio d’una prestigiosa messa in scena, che faciliterà a Lei tutti i passaggi da un abito all’altro. Conto molto sull’impegno che Ella metterà nell’interpretazione di questo. E intanto la saluto cordialmente. Luigi Pirandello».

Il 7 febbraio il primo incontro. Folgorante per Pirandello. Marta Abba si presenta all’Odescalchi accompagnata dalla madre, come le era stato concesso dall’amministrazione della Compagnia: «Alla signorina Abba è concesso di farsi accompagnare da persona di sua fiducia, il cui viaggio verrà pagato dalla compagnia del Teatro d’Arte in prima classe per la sola Italia e se la persona è di famiglia».

L’attrice così poi descrisse quel primo incontro: «Sul palcoscenico vidi alcune persone nel semibuio, e una con i capelli d’argento, il pizzetto bianco, piuttosto curva. Entrai in palcoscenico e qualcuno disse: “È Marta Abba”. Pirandello allora scattò dalla sua poltrona e mi venne incontro con quella sua stupenda vitalità: non pareva molto vecchio! Mi strinse ripetutamente la mano e mi disse: “Benvenuta, signorina, siamo molto contenti che sia arrivata”». Marta ha 25 anni, lo scrittore 58, tra i due vi è una differenza di ben 33 anni. Non stupisce perciò che l’Abba veda in Pirandello un uomo «vecchio» e sottolinei della sua sembianza l’essere «piuttosto curva», e però nello stesso tempo è colpita dalla «stupenda vitalità», rivelata anche dallo scatto dalla poltrona – manifestazione della calamita dell’attrazione che una donna percepisce subito -, che lo ringiovanisce.

Quella “visione” strega Pirandello, riaccende i suoi sensi da tempo in letargo, è un colpo di fulmine a ciel sereno. La sua vita è interamente dedicata all’arte, della scrittura e del teatro, è annullata e sublimata nella letteratura: gli si presenta, a turbare il falso equilibrio raggiunto, una creatura fatta di carne, di una bellezza che annebbia e sconvolge, e quella creatura, una donna che incarna il mistero della femminilità, è pure un’attrice, in lei – nel suo volto, nelle sue movenze, nelle sue parole – può trovare realizzazione la sua creatività artistica, il suo “mondo di carta” può specchiarsi, attraverso la sua mediazione, nella realtà materiale. Quale tra i due contesti, quello letterario e quello materiale, quale tra le due finzioni e mascheramenti per Pirandello è meno apparente e ingannevole?

Pirandello si accorge presto che quella donna, che lo ha stregato al primo incontro, può diventare una presenza fondamentale per la sua vita e per la sua arte, che nella sua anima esacerbata vivono in simbiosi. Se ne accorge pochi giorni dopo il suo arrivo quando nota che nella porta del camerino Marta fa affiggere non il suo nome ma quello del personaggio chiamata a interpretare: «Dea». E sarà un suo vezzo, ripetuto per tutte le figure che le tocca far vivere in teatro. Marta Abba rinuncia a sé stessa per immedesimarsi nei personaggi: in lei prende corpo la commistione, pirandelliana, tra l’arte e la realtà, entrambe tentativi di imprigionare nella forma il flusso della vita.

A parte ciò, occorre riflettere su un altro punto: Pirandello ha vissuto a lungo accanto a una moglie fortemente provata da una seria patologia mentale. Alla moglie, Antonietta Portulano, Pirandello fu legato prima dall’attrazione fisica, poi dall’affetto accompagnato dalla commiserazione della sua fragilità emotiva, ma con lei non ebbe mai una comunione di afflati spirituali e intellettuali. Ora, dopo una lunghissima assenza di comunanza con un’anima femminile, gli si offre d’incanto la chance di far convivere la sua complessa interiorità con quella di una donna, di instaurare con “l’altra metà del cielo” quella complicità spirituale che tanto gli era mancata.

Ecco perché sin dai primi incontri e le prime conversazioni con Marta Abba, donna bellissima, intelligente ed elegante, peraltro di illustre lignaggio (pronipote di Cesare, garibaldino e autore delle ancor oggi celebrate Noterelle di uno dei mille), Pirandello intuisce che lei possa diventare la sua musa ispiratrice.

Nostra dea debutta al Teatro d’Arte di Roma il 22 aprile del 1925. È un grande successo di pubblico (l’opera risulta la più replicata tra quelle rappresentate in quel palcoscenico) e di critica. Marta Abba è acclamata come una promessa su cui può puntare il nostro teatro. Silvio D’Amico, uno dei critici più autorevoli, scrive: «Abbiamo volta a volta conosciuto un’Abba monella, passiva, dolce, sognante, perfida, compunta, implorante…», una, nessuna, centomila, come esigeva il copione della commedia di Bontempelli, rappresentazioni tutte accattivanti «che ci fanno sperare con tanta più fiducia nella rivelazione di questa nostra attrice nuova».

Quasi un mese dopo, il 18 maggio, va di scena all’Odescalchi Sei personaggi in cerca di autore e Marta Abba, nei panni della Figliastra, inizia la sua carriera di interprete della drammaturgia pirandelliana. La sua adesione al personaggio è appassionata e meticolosa, Pirandello ne va fiero.

L’autore del Fu Mattia Pascal comincia a scrivere opere su “sua misura”: da un canto Marta diventa la fonte della sua ispirazione, dall’altro i suoi testi sono ritagliati per esaltarne le capacità espressive.

In Diana e la Tuda il maestro, nel descrivere la modella protagonista della commedia, la ritrae in tutto lo splendore della sua avvenenza: «È giovanissima e di meravigliosa bellezza, capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca. Occhi verdi, lunghi, grandi e lucenti che ora, nella passione, s’intorbidano come acqua di lago; ora, nella serenità, si fermano a guardare limpidi e dolci come un’alba solare; ora, nella tristezza, hanno l’opacità dolente del turchese. La bocca ha spesso un atteggiamento doloroso, come se la vita di solito le desse una sdegnosa amarezza, ma, se ride ha subito una grazia luminosa, che sembra rischiari e avvivi ogni cosa». Un artista del pennello non sarebbe riuscito a raffigurare, con pari efficacia estetica, le sfumature della sua bellezza.

Anche nella successiva opera, scritta per lei, L’amica delle mogli, vi è un ritratto della protagonista, non a caso chiamata Marta, che rispecchia l’Abba: «È bellissima: fulva; occhi di mare, liquidi, pieni di luce. Ha ventiquattr’anni: contegno, non rigido, ma riservatissimo, che non impedisce affatto però la pura espressione della più nobile grazia femminile. Veste con squisita eleganza».

Pirandello s’innamora della sua attrice.

L’ha sempre dinanzi agli occhi dovunque si trovi, nel cuore e nella testa. In lei, nella sua giovane bellezza, vede la vita, quella vita che in lui si confonde con l’arte. È ciò che osserva Vittorio Nardelli, unico biografo di Pirandello ancora vivente: «Ecco, l’Abba per Pirandello è la vita. Se la statua si muove con un corpo di donna, come vuoi tu che la tenerezza non vinca l’artista, che non lo prenda alla gola, che non lo commuova al delirio? È la vita, per lui. Sono i suoi giorni che si riempiono di voci, di sguardi, di passi, di risa e di lacrime».

Che Pirandello sia accecato dalla passione amorosa per Marta Abba lo testimonia il nutritissimo epistolario. Mentre lei è a Londra per perfezionare la conoscenza della lingua inglese le scrive con quello struggimento che provano gli innamorati quando la persona desiderata è lontana: «Io ti vedo sempre, Marta mia, per codeste vie dell’immensa città, camminar disinvolta con le Tue belle spalle che assecondano il moto, e non mi stanco di seguirTi con gli occhi della mente! Potessi esserTi accanto! Ma spero che sarà tra breve».  E lo testimonia, ancor più, il testamento olografo che redige nel 1926, in cui la nomina erede per un sesto del suo patrimonio e le lascia i diritti delle opere scritte dopo il loro incontro, testamento che dopo la morte del drammaturgo accende un contenzioso concluso con un ridimensionamento della quota assegnata all’Abba. L’attaccamento alla “roba” e la volontà di disporne la sorte dopo il trapasso sono fortemente radicati nei siciliani, è perciò il fatto che Pirandello abbia incluso tra gli eredi Marta Abba è il segno più tangibile del suo sentimento amoroso.

Ciò che rimane un punto interrogativo senza una risposta certa è se tra Pirandello e l’Abba l’intensa affinità sentimentale sia stata mai, anche per brevi momenti della loro relazione, accompagnata dall’intimità dei sensi. La risposta più verosimile, su cui concordano i biografi dello scrittore agrigentino, è che quello di Pirandello per Marta Abba sia stato solo un amore platonico. Un amore puro e profondo senza eros.

Matteo Collura nel suo Il gioco delle parti suppone che il tentativo di intimità tra i due vi sia stato in una sera trascorsa in un albergo di Como, dove si trovavano poco dopo essersi conosciuti, nell’autunno del 1925, per una tournée della Compagnia. Un tentativo però fallito sul nascere. La supposizione nasce da una lettera di Pirandello scritta qualche mese dopo; una lettera intrisa di disperazione in cui il drammaturgo fa riferimento a «un’atroce notte passata a Como». In questa missiva si legge: «Che debbo più farmene della mia vita, se non ho a chi darla?…Non domando più altro tempo, oltre a quello che mi bisogna per finire i lavori che ancora mi restano da scrivere; perché sento come obbligo imperioso della mia coscienza, che debbo scriverli. Senza questo, chi sa dove sarei a quest’ora; fin da un’atroce notte passata a Como! ».

Che cosa succede quella sera a Como, seguita da una «notte atroce» in cui il tormento aggredisce Pirandello, non è dato saperlo ed è difficile immaginarlo. Forse, ed è solo un’ipotesi, un semplice scambio di sguardi allusivi cui non fanno seguito da parte del letterato siciliano quelle effusioni che l’istinto suggerirebbe e che la ragione frena per la paura di subire un rifiuto? Si consideri la rilevante differenza di età tra i due e la superba autoconsiderazione di Pirandello che non avrebbe sopportato un diniego. Oppure la giovane attrice si oppone, seppure garbatamente, al tentativo dello scrittore, gettandolo nello sconforto inconsolabile e nella consapevolezza «atroce» di un desiderio che non potrà mai realizzarsi? O, infine, è Marta ad offrirsi e Pirandello a ritrarsi, congettura più romanzata ma avallata da una frase che in un’intervista l’Abba pronunciò: «Se il maestro avesse voluto…».

Per quanto non possa indovinarsi che cosa si celi dietro quella «atroce notte passata a Como», tutto lascia pensare a un amore platonico tra Pirandello e l’Abba. Come confermerebbero anche talune affermazioni di Paola Masino, che col drammaturgo aveva un rapporto di stretta amicizia. Alla Masino Pirandello avrebbe confidato: «Marta è una signorina e tale deve restare sino al matrimonio»; e sempre la Masino rivela: «Pirandello ha amato l’Abba ma a modo suo, e di ciò lei forse ha sofferto…».

La natura della relazione tra Pirandello e l’Abba e nello stesso tempo il dramma interiore vissuto dal drammaturgo sono rappresentati in una poco conosciuta, ma chiaramente autobiografica, sua opera, Quando si è qualcuno, scritta per l’interpretazione di Marta Abba. In Quando si è qualcuno il protagonista è un poeta di successo avanti negli anni la cui ispirazione è ravvivata dall’amore per una giovane ragazza, Veroccia.

L’affermato poeta vive con afflizione il contrasto tra un cuore giovane e un corpo provato dalla vecchia che non risponde ai suoi richiami: «…Con quest’aspetto che mi scopro ma di cui non riesco mai a ricordarmi mentre vivo e mentre sento, provo un senso di vergogna del mio cuore giovanissimo e caldo. Credo che gli altri debbano vedermi il cuore, dove io vivo, mentre mi vedono invece quella triste maschera degli anni…». Quando si è qualcuno, forse l’opera più “personale” di Pirandello, darebbe ragione a una frase attribuita all’autore: «La vita o la si vive o la si scrive», e lui, intrecciandola con quella di Marta Abba, la scrive soltanto.

Nel 1928, a causa di forti perdite, la Compagnia del Teatro d’arte è costretta a chiudere. Pirandello si trasferisce a Berlino. La Germania è familiare al drammaturgo: a Bonn si recò ragazzo per perfezionare i suoi studi di filologia romanza e vi conobbe una ragazza, Jenny Schulz-Lander, con cui visse una relazione sentimentale e a cui dedicò più di una poesia («Fuori la neve eterna fiocca/ piano l’uscio s’apre, un dito in bocca, / entra scalza Jenny… » – Fuori di chiave ).

Da Berlino Pirandello invoca l’arrivo di Marta Abba. Che lo raggiunge nell’ottobre del ’28 assieme alla sorella Cele. Ma l’Abba rimane a Berlino sino al marzo dell’anno successivo. Malgrado gli appoggi del suo mentore, non riesce a ottenere i ruoli teatrali che desidera e ritorna a Milano. La sua partenza fa piombare Pirandello in uno stato di desolante angoscia, come conferma una lettera inviatale allora: «Dopo tre anni di starti vicino, ora, senza di te, per quanto mi sforzi, per quanto cerchi di resistere, sento che muoio. Muoio perché non so più che farmene della vita, in questa atroce solitudine; non ha più senso vivere, né valore, né scopo. Se perdo te, perdo tutto». In un’altra però, scritta subito dopo che Marta Abba ha abbandonato Berlino, il drammaturgo prima l’ immagina nei momenti della sua giornata nell’illusione di poterne seguire la vita, poi, confessato il suo sconforto di non poterla accompagnare, pur con la sola forza della mente, nel corso della sua esistenza («La mia angoscia è questa, che il mio pensiero, che pur ti vede in tutte le ore del giorno, non sa dove seguirti»), si rassegna alla sua solitudine auspicando, con uno slancio di altruismo,  che lei viva non perseguitata dai suoi tormenti: «Che puoi fare per me e perché devi seguitare ad affliggerti della tristezza e della desolazione mia? Bisogna ch’io pianga in silenzio tutte le lacrime, senza fartene sapere più nulla. E così farò».

Mentre Marta Abba, ritornata in Italia, con l’aiuto del padre fonda la Compagnia Teatro stabile di S.Remo confermandosi l’interprete della drammaturgia pirandelliana, lo scrittore di Girgenti continua a pensare alla sua musa e a scrivere per lei. Quando gli giunge dall’America la proposta della Metro Goldwyn Mayer della trascrizione cinematografica della sua commedia Come tu mi vuoi Pirandello è entusiasta, ma pone una condizione: il ruolo della protagonista deve essere di Marta Abba. La condizione però non viene accettata: oltre Oceano non conoscono Marta Abba e le preferiscono Greta Garbo.

L’attrice Marta Abba alterna momenti di pausa a tournèe all’estero. Si reca in Sudamerica, in Francia, a Londra. E Pirandello continua a scriverle con ritmi ossessivi. La incensa, la glorifica, ne esalta la bellezza e le invoca la felicità: «Devi essere come un fiore, fresco, e col Tuo bel sorriso luminoso negli occhi e nei denti! E devi averlo nell’anima il sorriso: bellezza, gloria e gioventù. Oh, Marta mia! Tu avrai tutto, anche la ricchezza, oltre quei tre doni supremi. E devi essere felice! Nessuna donna al mondo ne è più degna di Te!». E se non bastasse, la elegge musa della sua arte e le predice le vette più alte nel palcoscenico della vita e del teatro: «Pensa a me, pensa a me, Marta; io sono qua unicamente per Te, non veder chiusa entro limiti angusti la Tua vita; il Tuo destino è grande; Tu sei un’eletta; non puoi circoscrivere in un ambito mediocre la Tua esistenza».

Il 22 marzo del 1929 Pirandello è nominato accademico d’Italia, il massimo riconoscimento del regime fascista per un artista italiano. Pirandello accetta senza entusiasmo, e anzi, con il suo sagace umorismo, definisce l’Accademia d’Italia «una parata di scheletri». D’altra parte, l’adesione di Pirandello al fascismo è controversa: secondo voci autorevoli è solo formale. E Sciascia sostiene che nella novella C’è qualcuno che ride quel qualcuno è proprio Pirandello che ride del fascismo: della sua retorica, delle sue parate, della sua grottesca magniloquenza.

L’8 novembre del 1934 Pirandello riceve a Stoccolma il massimo attestato per un letterato: il Premio Nobel. La sua acclamazione letteraria raggiunge l’apice. Ma alla cerimonia dell’Accademia di Svezia non è presente la persona a lui più cara: Marta Abba. È un’altra ferita per il grande talento siciliano. In una lettera all’Abba manifesta il suo profondo rammarico.

Pirandello è circondato dalla gloria ma è sempre più solo e la salute non l’assiste. Investe le sue residue risorse a scrivere l’opera che considera possa essere, più di tutte, il suo capolavoro, I giganti della montagna. Di quel dramma ne aveva parlato a Marta Abba già nel ’31 e ne aveva invocato l’aiuto per poterne dare la luce: ‹‹Vorrei che Ti venisse più spesso l’ispirazione di scrivermi, perché il bisogno che ho sempre avuto delle Tue lettere, come dell’aria per respirare, in questo momento è più grande che mai…Credo veramente ch’io stia componendo, con un fervore e una trepidazione che non riesco a esprimerti, il mio capolavoro con questi Giganti della montagna…E scrivo con gli occhi della mente fissi a te».

Il premio Nobel implora Marta Abba anche nei suoi ultimi anni: «Marta mia, non mi lasciare, non m’abbandonare, sono gli ultimi momenti: ho tanto, tanto bisogno di Te, di sentirti uguale e vicina, quella di prima…Scrivimi, fatti viva, ho tutta la mia vita in Te, la mia arte sei Tu; senza il tuo respiro muore…». Nell’ultima sua lettera, datata 4 dicembre 1936, Pirandello le scrive mentre lei è impegnata in una tournèe in America: «Se penso alla distanza, mi sento piombare nell’atroce mia solitudine, come in un abisso di disperazione. Ma tu non ci pensare! Ti abbraccio forte forte con tutto, tutto il cuore. Il Tuo maestro».

Luigi Pirandello muore il 10 dicembre 1936 nella sua casa romana di via Antonio Bosio. Lo stronca una broncopolmonite, contro la quale a nulla valgono le cure dei più illustri clinici. I giganti della montagna rimangono incompiuti.

Marta Abba è raggiunta dalla notizia mentre è alle prese al Plymonth Teater di Broadway con un testo di Jacques Deval, Tovarictch. La morte del maestro l’addolora molto, scoppia in un pianto senza consolazione. Ha il cuore colmo di tristezza, e forse anche di rimpianti per quello che non ha saputo dare al suo mentore. Ma la legge impietosa del teatro quella sera le impone di calcare le scene: lo spettacolo deve continuare.

Dopo la morte di Pirandello la carriera di attrice di Marta Abba volge verso un rapido declino. Lei stessa ammette che, scomparso Pirandello, molti amici l’abbandonano. L’8 gennaio del 1938, un anno e mezzo dal decesso di Pirandello, sposa negli Stati Uniti Severance Millikin, un ricco mercante d’arte rampollo di una potente dinastia di industriali dell’acciaio. Col marito si stabiliscono nell’Ohio, a Cleveland. Il matrimonio per lei ha un prezzo: abbandonare le scene del teatro. Lo fa a malincuore. Dopo 14 anni, il matrimonio, da cui non nascono figli, si conclude col divorzio. Col divorzio Marta Abba ottiene anche un lauto risarcimento per essere stata costretta, durante l’unione, a non potere recitare. Chiusa la parentesi americana l’Abba ritorna in Italia.

Tenta di riconquistare le platee del teatro. Ma senza successo. Negli anni Cinquanta la sua carriera d’artista può dirsi finita. Ammalatasi gravemente di paresi e ridotta sulla sedia a rotella è costretta a lasciare la sua villa nei pressi di Aulla, per curarsi a San Pellegrino Terme. Si spegne a Milano nella clinica di Santa Rita il 14 giugno 1988.

Il nutrito epistolario tra Pirandello e l’Abba ci svela molto sulla natura della loro relazione. Le lettere di Pirandello sono appassionate e pervase non di rado di una disperata invocazione d’amore. Quelle di Marta Abba, assai meno numerose, sono scritte in fretta e hanno un contenuto quasi sempre informativo. Lo chiama ‹‹Maestro» e gli da del lei. L’Abba stessa aveva chiesto a Pirandello di non conservarle: «La prego caldamente, caro Maestro, di stracciare le mie lettere, che purtroppo non sono un saggio di bello scrivere, scrivendole come faccio in fretta e in furia senza concentrazione».

D’altra parte, tra il premio Nobel e l’attrice vi è un abisso sul piano letterario. Il loro non è un rapporto alla pari: da un lato vi è un uomo follemente innamorato, dall’altro una donna che pensa solo al teatro e che comunque gli è devota; da un lato un vecchio consapevole di non poterla amare fisicamente, come bramerebbe (e di qui la sua angoscia «atroce»), dall’altro una donna giovane cosciente che quel legame è circoscritto nei limiti della comune e totalizzante passione per il teatro. Non mancano in alcune missive di Marta Abba manifestazioni di interesse affettuoso nei confronti del «Maestro».

Per esempio, in una l’Abba coglie nella grafia di Pirandello un turbamento: «Caro Maestro, ricevo la sua lettera. Mi sa dire come mai la sua calligrafia è cambiata? Più trasandata, la mia non avrebbe importanza, perché io sono più nervosa di Lei, più impulsiva e ho meno accuratezza, ma per Lei non mi persuade. Come sta? La salute è buona?». In un’altra Marta Abba sottolinea, certa di alleviarne lo spirito dilaniato, un punto che sta molto a cuore al ‹‹Maestro»: il suo aspetto: «Sono stata, dopo parecchi giorni di permanenza in casa, felice di vederla nel film-Luce in occasione della consegna della medaglia “Nobel”. È fotogenico in modo straordinario, e Le ho già detto che la sua testa si stacca con linee scultoree magnifiche di bellezza». Infine, in una delle ultime lettere speditegli, dopo il successo ottenuto al Plymouth Theatre di di Broadway alla prima  del Tovarictch, Marta Abba gli scrive colma di riconoscenza: «Maestro, Iddio mi ha ricompensato di tutto. Non ho altro da chiedergli, e farò di tutto per meritarmi sempre più ciò che ha voluto elargirmi con questa ricompensa che mi fa ancora vivere. La bacio con tanto affetto, Marta». È questa una delle poche lettere che si conclude con un ‹‹bacio».

Il carteggio ci rivela, pirandellianamente, che entrambi, nella commedia della vita, recitano con assoluta serietà, la parte che gli è stata assegnata; ed entrambi sono imprigionati in quelle maschere: il Maestro, lacerato dall’amore impossibile che è musa della sua creatività artistica, l’allieva che trova sé stessa nei personaggi che Pirandello le modella, sino ad annullarsi in essi.

Se, come si è detto, in Quando si è qualcuno si consuma il dramma della vita di Pirandello, in Trovarsi – testo teatrale scritto dal geniale scrittore siciliano per la sua attrice prediletta in cui la protagonista, Donata, vive la sua vita nei personaggi che incarna per poi smarrire la sua identità nell’esistenza reale – si rispecchia l’angoscia di Marta Abba. E, particolare non trascurabile, quando ormai anziana, Marta Abba si rifugia nella residenza nei pressi di Aulla battezza quella sua abitazione Villa Trovarsi.

Queste considerazioni spiegano la voce Abba con cui Sciascia apre il suo Alfabeto pirandelliano: «Creatura, personaggio, attrice di inalienabile condizione pirandelliana: come del resto tutte le vite di coloro che con la vita di Pirandello hanno avuto a che fare. Vite di vittime di cui Pirandello era vittima».

 

Antonino CangemiGiornalista scrittore

 

 

Paola Maritati, contemporanea poetessa scapigliata

Entriamo in medias res e lasciamo alla stessa poetessa - Paola Maritati, autrice del libro Lingua volgare - di presentarci Read more

La risata della Sfinge

La verità esiste solo nei limiti in cui la lasciamo in pace. Voglio prendere le mosse da questo pensiero, inserito Read more

Calabria Italia, il nuovo libro di Santo Strati. L’orgoglio e il riscatto di una gente tenace

“Calabria - Italia”, è l’ultimo libro del direttore di “Calabria Live”, il giornalista calabrese Santo Strati, Vincitore del Premio Rhegium Read more

Domani si apre la Biennale di Venezia. Chiuso il padiglione di Israele

Se chiudere un padiglione alla Biennale di Venezia è un gesto politico anche l’arte allora è (sempre) politica. Ci vorrebbe Read more

Articolo successivo
“Guarda quegli idioti! Io ho letto Proust, capisci?!”
Articolo precedente
Che cos’è il Cristianesimo? Il libro postumo di Benedetto XVI. Un’analisi della crisi dell’Occidente e l’assenza di Dio nella sfera pubblica

Menu