PERSONAGGI: Luigi Pirandello e Antonietta Portulano

Un legame intenso e drammatico tra vita e arte

Pirandello non fu tenero con i suoi personaggi: ne denudò l’anima scoprendone le pieghe più nascoste e inconfessabili e le ferite lancinanti; ne narrò le vicende, quasi sempre dolorose quando non beffarde, mitigandole con un umorismo compassionevole.

Ma la vita, d’altro canto, non fu tenera con Pirandello: avara di gioie, malgrado il successo, e piena di contrarietà. Il drammaturgo di Agrigento maturò un’amara concezione della vita, che svela in una pagina autobiografica: “Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria”.

Nello stesso testo si illustrano in poche righe i motivi della sua scrittura: “La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno. Questa, in succinto, la ragione dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita”.

Una delle cause dell’infelicità di Pirandello fu senz’altro il matrimonio con Antonietta Portulano. Un matrimonio “combinato”, come nei costumi del tempo, specie in Sicilia. Lo scrittore si trova a Roma e ha venticinque anni quando gli giunge per lettera la proposta del padre, Stefano Pirandello, come è noto proprietario di zolfara, di convolare a nozze con la figlia del suo socio d’affari Calogero Portulano.

Prima di sposarsi Luigi e Antonietta si vedono poche volte, e sempre in presenza di terzi. Antonietta Portulano, educata dalle suore di San Vincenzo, è bruna e dotata di un fascino sensuale e malinconico. Il giovane scrittore presto se ne innamora e le scrive lettere ardenti di passione. “Ora il sole è per me nato. Ora il mio sole sei tu, e tu sei la mia pace e il mio scopo: ora esco dal labirinto e vedo altrimenti la vita”. Cerca in lei una condivisione anche spirituale: “Ѐ impossibile che tu non mi intenda, Antonietta mia, e che non mi segua per questa via nobilissima per cui la sorte volle mettermi: la via dell’Arte”. Tenta persino di spiegarle la duplicità che scorge in se stesso: “In me son quasi due persone: tu già ne conosci una; l’altra, neppur la conosco bene io stesso. Voglio dire, ch’io consto d’un gran me e d’un piccolo me: questi signori sono quasi sempre in guerra tra di loro…”. Come poteva Antonietta, donna semplice, capire un uomo complicato come Luigi Pirandello?

Le nozze si celebrano a Girgenti, in municipio e in chiesa, il 27 gennaio 1984. Subito dopo i coniugi vanno a vivere a Roma. Sebbene tra i due, dato il divario intellettuale, non vi sia piena comunicazione, il matrimonio si regge sulla reciproca simpatia e sul richiamo dei sensi. Camilleri, in “Biografia del figlio cambiato” osserva: “Intuiscono però che a legarli ci sarà una passione autentica, un’attrazione veramente forte che durerà a lungo nel tempo, tanto che il figlio Stefano dirà che erano più che altro amanti”. I primi anni della convivenza sono sereni. Luigi e Antonietta non navigano nell’oro, ma da Girgenti giungono puntuali i sussidi dei genitori. Dopo un anno e mezzo dal matrimonio nasce Stefano, nel 1897 Lietta, passano altri due anni e arriva Fausto.

Ѐ proprio in occasione della nascita di Fausto che si manifesta in Antonietta la prima crisi di nervi, l’avvisaglia di quella follia che inizia a insinuarsi subdola e che, con gli anni, la invade irrimediabilmente rendendo la sua vita e quella del marito un inferno.

Ѐ un fatto economico che scatena la tempesta: l’allagamento della miniera di zolfo di Aragona nel 1903, da poco comprata dal padre dello scrittore. La lettera che annuncia la disgrazia è letta da Antonietta, lo scrittore, quando torna dalla scuola dove insegna, scopre la moglie semiparalizzata, con gli occhi atterriti dal terrore. Lo spettro della povertà, con tre figli da crescere, s’affaccia nella casa Pirandello. Il futuro premio Nobel adesso non può più contare sui proventi del padre e del suocero, deve fare tutto da solo: dà lezioni private di italiano a stranieri, chiede compensi per le novelle che va scrivendo, ottiene l’incarico di supplente al Magistero e scrive  i saggi “Arti e scienze” e “L’umorismo” – un libro importantissimo sia per le argute considerazioni sia per comprendere la sua poetica- per diventare ordinario a tremila lire al mese. E nel frattempo si prende cura, con grande premura, di Antonietta, sempre più in preda del “male oscuro” e ossessionata dal demone della gelosia.

Nel Magistero Pirandello ha solo allieve e Antonietta non ha pace: lo sveglia la notte rimproverandolo di tradirla, sorveglia i suoi scritti, nei cui personaggi femminili immagina ritratte le sue amanti. Amanti che Pirandello, marito fedele, non si sogna nemmeno di avere. La sua monogamia è evidenziata da uno dei suoi biografi, Federico Vittore Nardelli. In “Vita segreta di Pirandello” Vittore Nardelli scrive: “Pirandello appartenne a sua moglie con una esclusività che, a guardarla dall’alto dei nostri liberi costumi, ci appare inverosimile e strana”. In una interessante nota, raccolta nel volume “Famosi a modo loro”, Gaetano Afeltra riporta la testimonianza di un’allieva di Pirandello, Paola Boni Fellini: “Pirandello, nel fior dell’età, portava senza jattanza, anzi come senza saperlo, il duplice volto d’una virile e spirituale bellezza… Le donne alunne non erano per lui che una filza di nomi sul registro. Indifferente? Seccato, forse; quando qualche birichina tentava di richiamarne l’attenzione ad ogni costo, o faceva la graziosa, egli si rinchiudeva in un mutismo poco incoraggiante e gli saliva una vampata alla fronte”.

In queste condizioni, assillato da una moglie patologicamente gelosa e sempre meno lucida, con i figli che crescono in un clima turbato, tra lezioni al Magistero e private per sbarcare il lunario e la fatica della scrittura (la vena non l’abbandona, malgrado tutto), Pirandello assomiglia alle sue creature letterarie: come loro è stretto in una morsa, posto sotto scacco. Peraltro la sua introversione e riservatezza, in cui pure si ha traccia della sicilianità che è in lui, gli impediscono di esternare agli amici il suo dolore.

In alcune lettere all’amico Villari lascia trapelare il suo immenso sconforto, ma lo fa tra le righe senza richiamare in modo diretto la follia della moglie. Di ciò si sfoga solo con la sorella Lina: “A quarant’anni, mezzo calvo, con la barba quasi tutta bianca, perduti gli averi; distrutta la casa; lontano dai figli. La mia sorte è veramente tragica, Lina mia, e per me non c’è scampo. Sono stato colpito nei più sacri affetti, e la vita ha perduto ogni pregio; agli occhi miei quella donna disgraziatissima non può guarire: ho potuto sentire e misurare l’orrido abisso di quell’anima”.

Quando Pirandello scrive questa lettera è il 1906. Le cose peggiorano con gli anni e malgrado Antonietta chieda di separarsi, lui si rifiuta di abbandonarla. La pazzia di Antonietta diventa più acuta alla morte di suo padre Calogero Portulano e quando, nel 1915 allo scoppio della prima guerra mondiale, il figlio Stefano è chiamato alle armi. Antonietta accusa lo scrittore d’averlo lasciato andare e riversa la sua malattia anche su Lietta che, nella sua paranoia, ritiene la perseguiti d’intesa col marito. Pirandello è allo stremo, assiste impotente alla progressiva follia della moglie, si sente in colpa con se stesso e arriva persino a scrivere confidandosi con l’amico Ugo Ojetti: “La pazzia di mia moglie sono io”. Nel 1919 Antonietta viene rinchiusa in una clinica in via Nomentana. Vi rimane sino alla morte, avvenuta quarant’anni dopo il 20 dicembre 1959.

Viene da chiedersi come mai il drammaturgo siciliano rimase vicino alla moglie così gravemente malata e in condizioni tali da ledere profondamente la sua serenità decidendo di internarla tanto tardivamente. Forse in “Sei personaggi in cerca d’autore” vi è la risposta; in quel passo in cui uno dei lotagonistaso in cui uno deio tardivamente.iliano rimase vicino alla moglie così gravemente malata e lesiva per le sua serenitprotagonisti recita: “La mia casa, andata via lei, mi parve subito vuota. Era il mio incubo: ma lei la riempiva! Solo mi ritrovai per le stanze come una mosca senza capo”

 

Antonino CangemiGiornalista, scrittore

 

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