Che cos’è il Cristianesimo? Il libro postumo di Benedetto XVI. Un’analisi della crisi dell’Occidente e l’assenza di Dio nella sfera pubblica

Il libro postumo di Benedetto XVI, “Che cos’è il Cristianesimo. Quasi un testamento spirituale”, pubblicato da Mondadori e presente nelle librerie dallo scorso 20 gennaio, non è solo un ultimo splendido dono del Papa emerito ai fedeli e al mondo, ma rappresenta anche una miniera da cui attingere per comprendere appieno il significato del Pontificato ratzingeriano, la natura della sua personalità interiore, ma anche e soprattutto l’attualità e la direzione della Chiesa, e forse anche di tutto l’Occidente.

 

 

File:Бенедикт XVІ.jpg - Wikimedia Commons

Benedetto XVI

 

 

Il «vociare assassino» ripreso dalla pigrizia dei media generalisti come il punto più scottante e attuale del suo libro – una citazione tratta dalla lettera inviata da Ratzinger a uno dei due curatori del libro, il teologo Elio Guerrero, in cui motiva la sua volontà che il libro uscisse postumo – si presenta tuttavia come un pretesto per attaccare Benedetto XVI assunto a simbolo di una visione integerrima e quindi, con un’equazione impropria, integralista della fede cristiana, al punto da vietare la lettura dei suoi testi in alcuni seminari.

«Da parte mia, in vita, non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino. Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità». La considerazione riguarda in particolare l’accusa di non appoggiare il dialogo con gli ebrei e quelle, riemerse in Germania nel 2022, di copertura di abusi risalenti alla fine degli anni Settanta, nel periodo storico in cui Ratzinger ricopriva il ruolo di Arcivescovo di Monaco-Frisinga. Vicende paradossali, per chi conosce l’operato di Benedetto XVI, che sorgono nel testo come simbolo della crisi di fede in Germania. Non solo quindi di crisi della Chiesa come istituzione pubblica ma anche della crisi di fede all’interno della stessa Chiesa, e che portano a un’analisi sulle cause del fatto che da anni sta “perdendo l’Europa”, come ha ricordato di recente lo storico Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, ribadendo quella che non è di certo una novità.

 

 

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Papa Francesco

 

 

Da anni il cristianesimo, e il cattolicesimo nello specifico, a differenza di quanto si possa pensare superficialmente, risulta in crescita a livello globale, trainato da alcune specifiche regioni, come quella dell’Africa subsahariana in cui ad aiutare è tuttavia la crescita demografica generale, o di alcune zone dell’Asia. Ma è invece certamente in calo nella “Vecchia e stanca Europa”, come la definì Papa Francesco nel 2016 rivolgendosi al Parlamento europeo di Strasburgo, e ciò ha necessariamente, oltre che delle cause, anche delle ricadute di natura culturale, sociale e quindi politica. «Il moderno Stato del mondo occidentale», scrive Ratzinger, «da un lato si considera come un grande potere di tolleranza che rompe con le tradizioni stolte e prerazionali di tutte le religioni», che però «con la sua radicale manipolazione dell’uomo e lo stravolgimento dei sessi attraverso l’ideologia gender, si contrappone in modo particolare al cristianesimo. Questa pretesa dittatoriale di aver sempre ragione da parte di un’apparente razionalità esige l’abbandono dell’antropologia cristiana e dello stile di vita che ne consegue, giudicato prerazionale. L’intolleranza di questa apparente modernità nei confronti della fede cristiana ancora non si è trasformata in aperta persecuzione e tuttavia si presenta in modo sempre più autoritario, mirando a raggiungere, con una legislazione corrispondente, l’estinzione di ciò che è essenzialmente cristiano».

Se però, per riprendere la tesi di della Loggia, l’universalismo cattolico si scontra oggi con la storia corrente, viceversa anche la dimensione dell’Occidente si scontra con la perdita della sua vocazione universale. Senza questa, infatti, ogni premessa di esportazione della propria cultura rischia di diventare ambizione egemonica, o poco più. Mentre le vicende della geopolitica e dell’economia globale stanno ogni giorno a dimostrare la progressiva marginalità occidentale, e nello specifico europea. In Ratzinger tutto ciò emerge con grande lucidità, e per lui una delle prove della verità della fede cristiana storicamente dimostrata dalla cultura occidentale è da riscontrare nella produzione musicale. Oggi, nei giorni della kermesse sanremese, potremmo dire che sempre più la musica commerciale occidentale rischia di incarnarne, al contrario, la prova della decadenza morale, e non si tratta certo di critica bigotta. Chi ha relazioni con i giovani ha modo di osservare quanto siano nocive, per molti di loro, le tendenze musicali mainstream che spopolano su tutte le piattaforme di streaming.

«Nell’ambito delle diverse culture e religioni è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. Questo ci deve far pensare», afferma il Papa emerito.

«Certo, la musica occidentale supera di molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua sorgente più profonda nella liturgia, nell’incontro con Dio. In Bach, per il quale la gloria di Dio rappresenta ultimamente il fine di tutta la musica, questo è del tutto evidente. La risposta grande e pura della musica occidentale si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che, nella liturgia, si rende presente a noi in Gesù Cristo. Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto l’incontro con la verità, con il vero creatore del mondo».

Questione che si intreccia con le premesse del movimento liturgico e con il più ampio dibattito ecclesiale sulla liturgia. «Negli anni successivi al Concilio Vaticano II sono nuovamente divenuto consapevole della priorità di Dio e della liturgia divina», spiega Ratzinger, specificando che in quel tempo «divenne sempre più chiaro che l’esistenza della Chiesa vive della giusta celebrazione della liturgia e che la Chiesa è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e così nella vita. La causa più profonda della crisi che ha sconvolto la Chiesa – è l’assunto del Papa tedesco – risiede nell’oscuramento della priorità di Dio nella liturgia». Ci sono però anche altri molti altri spunti tesi a fare luce sulla decadenza del mondo occidentale e della Chiesa presente in esso. Innanzitutto, quello del dialogo con il mondo protestante. Per Benedetto XVI, Lutero presenta una concezione errata del Dio cristiano, che non è un tiranno da cui liberarsi attraverso la fede ma un padre misericordioso che ha inviato il suo stesso Figlio per annunciare la salvezza all’umanità intera.

 

Lutero

 

 

Da lì, si passa alla differente concezione dell’Eucarestia nelle due confessioni, che riflette anche quella di una parte della Chiesa cattolica post-conciliare. Se per gli evangelici, ricorda Ratzinger, tutto dipende dalla propria disposizione interiore nei confronti della “cena”, dopo la quale tutto ritorna come prima, per i cattolici durante la celebrazione eucaristica avviene un cambiamento sostanziale nel pane consacrato. Un mistero che giunge a interrogare e coinvolgere persino le scoperte della fisica moderna, portando a ripensare la tradizionale categoria filosofica di “sostanza” per dirigerla verso quella più moderna di “relazione”, o meglio relatio subsistens. L’invito però, e il monito, per i cattolici non è quello di opporsi tout court al movimento ecumenico, ma di fare molta attenzione a non svendere i propri capisaldi della fede. Nonostante «sia evidente che lo spirito della modernità, e il metodo storico-critico da essa derivato, si trova più a suo agio con la soluzione di Lutero che non con quella cattolica», scrive il Papa tedesco.

Emergono in seguito altre tematiche fondamentali, come la sottomissione della fede cristiana agli interessi e agli scopi della politica. Oppure il tentativo di relegare in un angolo la voce della Chiesa, contornata dalla convinzione persino di alcuni cattolici che non possa esistere una morale cristiana, che cioè «la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale», creando così le premesse per «l’attuale processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale». Infine l’annoso e drammatico tema degli abusi. Su questo punto, le parole di Benedetto XVI risuonano nette e definitive, dando spazio a considerazioni in parte già espresse. «La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità», spiega nel corso del testo.

«Tra le libertà che la rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale», e il «diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi». Mentre «nello stesso periodo si verificò un collasso della teologia morale cattolica che rese la Chiesa inerme di fronte a quei processi nella società». Al punto che «in diversi seminari si formarono “club” omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari». «Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere?», è la domanda del Papa emerito, a cui segue risposta lapidaria. «In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio».

Nel libro postumo di Benedetto XVI c’è insomma un’analisi sincera e radicale sullo stato di crisi dell’Occidente, riportando tutti a rimettere al centro l’importanza cruciale delle sue radici innestate nel cristianesimo, e nella Chiesa di Roma. Palesandosi così ancora una volta non solo come uno dei maggiori teologi del Novecento, ma anche uno degli ultimi grandi pensatori dell’Occidente. Nel solco di una tradizione che riporta fino a Benedetto Croce o al suo connazionale Oswald Spengler, il filosofo tedesco autore del celebre trattato “Il tramonto dell’Occidente”, oggi in parte proceduta attraverso altri influenti pensatori europei, tra cui Zygmunt Bauman o Jurgen Habermas.

L’allarme ratzingeriano sulla deriva relativista è insomma più vivo che mai, incarnato da molte delle omelie e dei discorsi anche di Papa Francesco, seppure con tonalità, sfumature, movenze e atteggiamenti pastorali diversi. Aspetti che tuttavia si riconciliano pienamente nel tema della misericordia divina, argomento sostanziale del Pontificato bergogliano a cui Benedetto XVI riserva alcune accorate pagine del suo saggio postumo. «Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante, a partire da suor Faustina, le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina», scrive.

«Papa Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza». Così «Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto». A ciò ne consegue una valutazione sull’attualità. «A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia».

Insomma, rispetto a queste tematiche, di ordine prevalentemente sociale ma non solo, la conclusione di Benedetto XVI è che «una società nella quale Dio è assente – una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio». «Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che indica l’orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male», è la tesi del Papa emerito. «La società occidentale è una società nella quale nella sfera pubblica Dio è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano».

 

Francesco GnagniGiornalista

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