“Il chiacchiericcio è un arma letale”.
La stoccata domenicale del Papa, che parrebbe rivolta a uno solo, in realtà coinvolge – e da tempo – tutti quelli che si sentono assolti: i molti fedeli di Dio che cercano giustizia “con la durezza di chi giudica e condanna, dividendo le persone in buone e cattive”.
La tentazione – già denunciata da Francesco in “Ti voglio felice, il centuplo in questa vita” – è quella di usare le parole per costruire steccati, anziché ponti, separando i sommersi dai salvati: “Non il lusso, non le grandi ricchezze, non il potere sono la strada verso il cielo. Ma l’umiltà. Persino i più peccatori, se si pentono, ci precederanno”.
Al cristiano, che in nome della fede rivendica un posto in prima fila nelle assemblee di Dio, il Pontefice ricorda che la missione è dono: “Se non ti affidi alla gratuità della salvezza del Signore, non sarai salvo. Nessuno merita la salvezza. Nessuno”. A chi rivendica compensi per digiuni, messe, impegno nelle associazioni, Francesco replica che al regno dei cieli non si accede per acquisto: “Dimmi: tu pensi di comprarti la salvezza così? Credi che questo ti salverà?”.
Sembrerebbe rivoluzione ma è solo applicazione del Concilio Vaticano II che, messi da parte i vincoli esterni dell’indice e delle scomuniche, riscopre la forma dell’interiorità nel comandamento dell’amore: “Ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene”, diceva Sant’Agostino.
Sfida avvincente, quella di lasciarsi alle spalle la religione del potere per riscoprire il potere della religione, che non può accontentarsi di opere da sepolcri imbiancati: “Gesù nel nostro giudizio – scrive ancora Francesco – non ci dirà: tu vieni con me perché hai fatto tante belle offerte, sei un benefattore”.
Nella visione del Papa la Chiesa non può essere ridotta a un club privé dove un gruppo di sacrestani, laici o religiosi che siano, difende privilegi di casta, attaccati a desideri fin troppo umani: al contrario, mette nero su bianco il Pontefice, “l’unica risposta possibile è l’atteggiamento del servizio. Se uno che si dice cristiano non vive per servire, non serve per vivere. Con la sua vita rinnega Cristo”. La comunità di fedeli immaginata da Francesco non è la fortezza dove gli iniziati si spartiscono prebende materiali e spirituali che derivano da un preteso status, escludendo e respingendo gli estranei: “Questo dono non è per noi soltanto, ma è destinato a essere condiviso con gli altri”. Né può diventare regno d’ipocrisia dove si pratica il contrario di quello che si predica: “Colui che non dà testimonianza con la vita – continua il Papa – è come uno che ha qualche assegno in mano ma non mette la firma”.
Al di là dell’esistenza o meno di un destinatario specifico, anche le ultime parole pronunciate all’Angelus domenica scorsa suonano come l’ennesimo pungolo del Pontefice sulla coscienza di ciascun fedele: “Chiediamoci: io sono una persona che divide o che condivide?”, ha infatti detto Francesco in piazza San Pietro.
Andrea Persili – Giornalista