Politica

40 anni dal governo Craxi/ interviste/ 7/ Pino Pisicchio | Craxi avvertì per primo la necessità di dare slancio alle istituzioni Ridusse l’inflazione, ma fece lievitare il debito pubblico riformò il Concordato

Il 2023 sono tascorsi 40 anni dal governo Craxi. Che cosa resta di quella esperienza di governo durata quattro anni Per dirla alla McLuhan,  Craxi era già di per sé il messaggio, anche al di là dei contenuti programmatici del suo esecutivo che, in fondo, non si scostarono troppo dalla lunga sequenza dei governi di centro-sinistra.  Craxi, però, li interpretava con piglio del tutto nuovo, segnando l’epifania di una stagione distante ancora un decennio, quella della Seconda Repubblica che sostituì il mitologema del leader carismatico alla prudenza quasi elusiva di un potere collettivo, forse oligarchico, sicuramente poco incline a celebrarsi, quale fu quello democristiano.       Spieghiamolo ai giovani che a quel tempo non erano nati; in che cosa consisteva la novità del governo Crax? Quali i suoi punti qualificanti? Intanto bisogna ricordare che il primo governo Craxi viene celebrato come il più longevo della Prima Repubblica: ben 1093 giorni, quasi tre anni di durata che all’epoca rappresentava un record. Forse andrebbe adeguatamente raccontata la particolarità di questa prima stagione craxiana al governo che segnava anche un tempo di “alleanza competitiva” con un altro grande protagonista della vita politica italiana, Ciriaco De Mita, capo della Democrazia Cristiana, che, pur nei limiti di un’intolleranza genetica al leaderismo coltivata dai cattolici, introduceva elementi di decisionismo in un ambiente abituato a stili più vellutati. Due leader, in fondo più simili di quanto non abbiano raccontato e per ciò stesso destinati a non capirsi.       Molti, ricordando il governo Craxi, si fermano a Sigonella, il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale, che riscosse l’applauso alla Camera anche dei comunisti. Oltre Sigonella che cosa andrebbe ricordato del governo Craxi? Dobbiamo ricordare che Craxi rappresentò la personalità forse più caratterizzante gli anni Ottanta, in un decennio, 1981-1991, che segnò una importante

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Assemblea costituente, Armaroli, Ceccanti, Lauricella commentano proposta Pisicchio

Paolo Armaroli, Stefano Ceccanti, Giuseppe Lauricella, tutti e tre professori universitari (di Diritto Costituzionale o Comparato e con esperienza parlamentare) apprezzano la proposta di Pino Pisicchio, lanciata dalle colonne di BeeMagazine. Ma chi, come Stefano Ceccanti, ne vede la difficile praticabilità anche a causa dei tempi ristretti per poter approvare una legge costituzionale che indica un’Assemblea costituente; chi, come Lauricella sottolinea tra l’altro la necessità di una “clausola di qualità” per coloro che dovrebbero farne parte; e chi, come il professor Paolo Armaroli, tra il serio e il faceto apprezza l’idea e il fascino di una nuova Costituente ma non vede all’orizzonte le… materie prime necessarie. Riportiamo di seguito, in ordine alfabetico, i tre punti di vista.     Armaroli, il fascino della Costituente e il problema delle “ragazze”: L’idea di un’Assemblea costituente rilanciata ora da Pino Pisicchio esercita un indubbio fascino. Sta a significare un nuovo inizio dopo una tabula rasa. Sta a significare un rotondo no a una politica istituzionale a “spizzichi e molliche”, come efficacemente sottolinea Pisicchio.  Una politica, quest’ultima, che non ha cavato un ragno dal buco. Se è vero, com’è vero, che la commissione bicamerale ad hoc presieduta dal liberale Aldo Bozzi è stata un fallimento, e certamente con per colpa del suo presidente. Se è vero, com’è vero, che la commissione bicamerale ad hoc presieduta prima da Ciriaco De Mita e poi da Nilde Iotti è stata un fallimento. Se è vero, com’è vero, che la commissione bicamerale ad hoc presieduta da Massimo D’Alema – all’insegna del non c’è due senza tre – è stata anch’essa un fallimento. E non è tutto, com’è arcinoto. Infatti, se non hanno dato buona prova commissioni bicamerali ad hoc, non l’hanno data neppure il ricorso all’articolo 138 della Costituzione. Tant’è vero che, approvata dal Parlamento, la riforma costituzionale

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Pisicchio: un’assemblea costituente per riorganizzare lo Stato

Da eleggere nel 2023 insieme con il nuovo Parlamento. Durata di un anno, un anno e mezzo, eletta con il proporzionale. Chi ne fa parte non deve avere altri mandati elettivi. Basta  dunque con le riforme a “spizzichi e molliche”. “Necessario avviare un importante percorso di riforma costituzionale e una riflessione radicale sull’ordinamento (bicameralismo o monocameralismo, decentramento o federalismo, presidenzialismo o parlamentarismo, assetto dell’ordine giudiziario, diritto all’informazione).     Il quattordicesimo allestimento del seggio per l’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica, dunque, si è guadagnato un rimarchevole primato storico facendosi ricordare come l’ultima volta in cui si sono schierati 945 parlamentari tra i grandi elettori.  Dalla prossima legislatura, infatti, per volere di quei 945 impavidi e con l’imprimatur del popolo sovrano, il 36,5% dei deputati e dei senatori sarà cancellato. A parte il giovamento logistico per i parlamentari dovuto all’allargamento degli spazi nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama (utile in occasione di distanziamenti comunque motivati…), il trapasso da un Parlamento all’altro non sarà né facile né di immediata applicazione. Occorrerà mettere mano a vari interventi di riforma costituzionale, legislativa e di regolamentazione parlamentare di cui ancora non si intravede convincente traccia. È l’effetto di una modalità d’intervento sul corpo della Costituzione, poggiata totalmente su ciò che si presume possa essere il “sentiment” del popolo (“cancelliamone un bel po’ così risparmiamo”…), piuttosto che un’impostazione coerente con la stessa architettura costituzionale. È il riformismo “spizzichi e molliche”, che non guarda al contesto ma solo al lucro elettorale (immediato e presunto). Forse è arrivato il momento di cambiare registro e di riflettere sulla “visione” piuttosto che sull’”emozione”. D’altro canto non è solo da oggi che si avverte la necessità di un aggiornamento della Costituzione nella parte relativa all’organizzazione dello Stato. Ci provò Berlusconi con una riforma organica che risentiva anche di suggestioni presidenzialistiche,

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