Professore, mi piacerebbe iniziare questa intervista con una riflessione di Roberto Valle, professore di storia e cultura russa recentemente scomparso, che, in chiusura del suo “L’idea russa e il culto della personalità”, si chiese: “In Russia la democrazia è un futuro che muore”?
Il termine democrazia può essere declinato in diverse sfumature. Consideri che Il sistema sovietico, così come quello cinese, non era liberale, ma pretendeva di essere democratico. Dunque, ragionare sulla democrazia è fuorviante, in quanto non è detto che un sistema democratico debba essere anche necessariamente liberale. Premesso questo, è evidente che la storia russa non presenta una tradizione liberaldemocratica, non c’è un retroterra cui far riferimento, non ci sono esperienze. Persino la critica al sistema sovietico, dei dissidenti come dei riformisti, non era una critica “occidentale” – la separazione delle culture imposta da Stalin aveva avuto abbastanza successo – ma una critica maturata in base alla loro esperienza, che si basava su principi e valori peculiari della loro storia. L’Unione Sovietica era un mondo a sé stante. In sintesi, la liberaldemocrazia in Russia non ha un passato piuttosto che non ha un futuro.
Ritiene vi sia stata, però, in Russia una possibilità di apertura al processo liberaldemocratico?
Sì. Questo mondo chiuso ha avuto l’opportunità di costruire qualcosa di diverso tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. Questa occasione è stata possibile grazie a Gorbačëv che, nonostante abbia fallito politicamente, rifiutando di utilizzare la forza ha posto le condizioni per i popoli ex-sovietici di inventarsi un futuro. Questa apertura, però, è stata presto riempita dalle forze e dalle reinterpretazioni illiberali che hanno condotto alla presidenza di Vladimir Putin.
Crede che questa scelta illiberale possa essere, anche alla luce di un’atavica paura russa del disordine e dell’instabilità, penso al giogo mongolo, al periodo dei torbidi e, da ultimo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, frutto di una propensione del popolo russo a ricercare un potere autoritario?
Io non credo esistano le anime dei popoli, non credo si possa ragionare in termini di super individui quando si parla di popolo. Esistono, certamente, delle comunità che condividono esperienza, cultura, memorie e tradizioni, ma sono universi di singoli individui che cambiano opinione di continuo. Per questo ritengo che rappresentare la storia russa attraverso un’analogia organica che pretende di studiare il passato e prevedere il futuro di uno stato attraverso l’analisi dei sentimenti di un “popolo russo” sia un’analogia sbagliata. Se fosse così non ci sarebbe evoluzione, mentre sappiamo che la storia cambia di continuo. Pensi, per esempio, a quante volte è cambiato l’interpretazione del carattere dei tedeschi. A tal proposito, le condivido un ricordo.
Prego, l’ascolto.
Nei miei primi viaggi in Unione Sovietica la diffidenza nei miei riguardi era altissima, non mi parlava nessuno, eccetto chi decideva di farlo per interesse, per esempio gli scambiatori di valuta o qualche truffatore, oppure chi per ragioni di controllo, gli agenti del KGB. Questa diffidenza non derivava da qualcosa che avevo fatto, ero lì semplicemente per studiare, ma era il frutto del clima repressivo che pervadeva la società. Di questo sono convinto e ne ho la prova poiché, quando sono tornato nel 1991, ho stretto solide amicizie con quelle stesse persone con le quali avevo difficoltà a relazionarmi nel periodo sovietico. Tutto questo per dirle che il contesto influenza in maniera preponderante l’agire collettivo, chiaramente possono esserci dei caratteri unici che si differenziano dalla comunità, ma sulla maggior parte degli individui il contesto incide notevolmente.
Alla luce di quanto illustrato, quali sono le ragioni di questo ritorno ad una specificità russa?
Direi che l’opportunità offerta dal crollo dell’URSS è fallita per due ragioni. Per prima cosa ritengo che abbia pesato l’esperienza del recente passato sulla coscienza russa. Esperienza, però, sovietica e non zarista, in quanto credo che gli individui si lascino condizionare molto di più dagli eventi recenti e meno dalle eredità storiche. In Russia sono ancora vivi i ricordi di quando in classe si montavano e smontavano i kalashnikov, nessuno ha ricordi dell’era zarista. Non voglio dire che il passato non conta, assolutamente, ma spiegare il presente con un lontano passato, se pure possibile, e di regola non lo credo, è difficilissimo. Il secondo motivo per il quale questo percorso si è interrotto è la reinterpretazione del fallimento del sistema sovietico. Un fallimento vissuto non come una colpa propria, bensì come un complotto altrui.
Conclusa questa opportunità, nel 2000 sale al potere Vladimir Putin. Quali sono state le caratteristiche del primo decennio putiniano?
Putin, rispetto a tutti i suoi predecessori, ha avuto la fortuna di sfruttare un momento economico particolarmente favorevole (esplose il prezzo del petrolio) che gli permise di avere ingenti disponibilità economiche per edificare uno stato a sua immagine e costruire un legame solido con la popolazione. Questo primo decennio ha contato molto nel rapporto che si è instaurato tra Putin e i russi. Tutti ricordano il decennio che va dal 2000 al 2009 come un’epoca prospera, un momento positivo riconosciuto anche da coloro che non lo amano.
È il momento in cui la Russia guarda con favore all’Occidente.
Sì, è un momento di relazione cordiale con l’Occidente. Addirittura, Putin, successivamente all’11 settembre, lancia un’iniziativa con gli Stati Uniti contro il terrorismo islamico.
Questo rapporto benevolo con l’Occidente però si interrompe, cosa succede?
Se prima abbiamo escluso l’esistenza di una memoria collettiva che, tenendo insieme retaggi zaristi e sovietici, agisce come un super individuo; nel caso di Putin, essendo un individuo solo, è possibile ragionare sulla continuità culturale tra il periodo zarista e quello sovietico. Questa continuità non c’è in un “popolo russo”, ma sicuramente esiste nella testa di Vladimir Putin che, miscelando il nazionalismo sovietico con il nazionalismo tradizionale bianco, ha sempre avuto l’obiettivo di rimpossessarsi dello spazio post-sovietico ma, non avendo le forze ed essendo una persona capace di calcolare l’opportunità politica, attendeva il momento giusto.
E qual è stato il momento opportuno
Le due cose che lo hanno mosso e che lo hanno convinto ad osare di più sono state la crisi finanziaria del 2008 e la rottura tra cinesi e americani. Oltre a queste due situazioni, sicuramente è da tenere in considerazione la politica estera della presidenza Obama che, iniziando a disinteressarsi della sponda atlantica, ha posto la sua attenzione nel Pacifico. Il momento di svolta definitivo, il momento del non ritorno, è stata l’invasione della Crimea nel 2014. In questa occasione Putin si accorge che ha la possibilità di agire nuovamente come una potenza e che nessuno, gli europei non agirono convintamente all’epoca in favore dell’Ucraina, poteva intromettersi nella gestione di quello che il Cremlino considerava allora l’Estero vicino ed è oggi, significativamente, “mondo russo”. Ed è qui che, immaginando un contesto geopolitico a proprio vantaggio, ha iniziato a pensare a come riprendersi tutta l’Ucraina. Secondo i suoi progetti doveva essere un’operazione semplice e veloce. Ma così, fortunatamente, non è stato.
Possiamo dire, vista la risoluta resistenza ucraina, che il progetto iniziale di Putin è naufragato?
Assolutamente sì. L’idea di Putin di prendere rapidamente Kyïv è fallita. La difficoltà con cui avanzano le truppe russe e ogni missile che viene lanciato contro l’Ucraina è la conferma di questo fallimento che, anche qualora dovesse sfondare il fronte e vincere la guerra, non potrà ripagare i danni che questa guerra sta infliggendo all’economia e alla società russa, e ai rapporti tra russi e ucraini.
A proposito delle ripercussioni sulla società russa, c’è stato un momento in cui il potere di Vladimir Putin ha vacillato?
Il momento di massima crisi è stato un anno fa con la marcia di Prigozhin. Non so se il potere di Putin abbia vacillato, ma immagino che possa aver avuto paura. Ciononostante, tutti si sono stretti attorno a lui perché, probabilmente, Prigozhin faceva ancora più paura di Putin. Non era un’alternativa politica.
Tornando al confronto bellico, l’invasione russa ha fomentato un profondo odio da parte degli ucraini nei confronti dei russi e da quest’odio potrà svilupparsi ulteriormente una coscienza nazionale svincolata dall’eredità condivisa coi russi.
Putin, psicologicamente, ha perso. Tra ucraini e russi esistevano realmente rapporti di vicinanza e questa invasione ha generato odio nei confronti di Mosca e per questo, anche qualora Putin dovesse riuscire a vincere il confronto militare con Kyïv, dovrà fare i conti con una popolazione riottosa e profondamente avversa allo stato russo.
Io penso che Putin si trovi in una posizione di difficoltà a livello internazionale poiché, se nel 2019 al Forum economico di San Pietroburgo diceva che tra le due tigri che combattono (Stati Uniti e Cina) la Russia è la scimmia intelligente che li guarda dall’alto, oggi la Russia si trova in una condizione di subordinazione rispetto al vicino cinese. È questo futuro di subalternità politica ed economica nei confronti della Cina che attende Mosca?
Guardi, in premessa dicevo che i popoli non contano, ma le culture sì. Per questo ho difficoltà ad immaginare una Russia subordinata alla Cina, seppure le condizioni attuali mostrino una Russia come appendice politica ed economica della Cina.
Continuando a ragionare sulla proiezione spaziale della Russia e cercando di definire realisticamente il perimetro del Russkij Mir, esiste un pericolo per l’Unione Europea?
Non credo che le mire russe possano andare oltre l’Ucraina orientale e piccole pretese territoriali in Estonia e Lettonia. Non ritengo plausibile, seppur comprendo la loro preoccupazione, un attacco alla Polonia. Penso che, visti anche gli sviluppi della guerra in Ucraina, la Russia non coltivi ulteriori velleità espansioniste. Il sogno di Putin, ipotizzo, penso possa essere un’Ucraina il più piccola possibile e senza sbocco sul mare. Quindi non considero possa esserci una minaccia russa per l’Unione Europea dal punto di vista militare. La minaccia per l’Unione e per i suoi stati membri è costituita, invece, dal non riuscire a prendere una posizione comune e agire in maniera risoluta per porre fine alla guerra, dimostrando di non riuscire a “esserci” nel mondo, nemmeno quando si parla di Europa.
Proprio in virtù di questa necessità di posizionamento dell’Unione Europea, come interpreta le parole del presidente Macron rilasciate a L’Economist? Può essere, rispolverando le tesi del long telegram di Kennan, un modo per opporre una deterrenza alle volontà espansioniste russe?
Nonostante la Francia sia l’unica potenza nucleare dell’Europa continentale, penso che Macron non abbia intenzione di mandare i propri soldati in Ucraina, bensì credo abbia parlato più alle capitali europee piuttosto che a Mosca, sottolineando come questa guerra rappresenta un momento fondamentale nel processo di formazione statuale europeo. Se l’Unione Europea non è unita e coesa su questo tema, come può esserlo su altri scenari come quello indiano o su quello mediorientale? Credo che, se l’Unione Europea non è presente ora, non potrà esserlo in futuro e questa è la preoccupazione di Macron.
In chiusura, quali variabili potranno condizionare gli sviluppi del conflitto?
I prossimi mesi saranno fondamentali per comprendere l’evoluzione delle ostilità. Nonostante una costante pressione delle forze armate del Cremlino, gli aiuti militari inviati all’esercito ucraino stanno già iniziando a dare i loro risultati, infliggendo perdite alle unità russe. La guerra, a meno di un possibile sfondamento delle linee ucraine dell’esercito russo – di cui, però, non c’è per ora evidenza –, è ormai in una situazione di logoramento e, per questo, oltre agli sviluppi bellici, sarà importante attendere le elezioni americane e quelle europee per vedere se vi potranno essere sbocchi politici all’impasse militare, per esempio su piano armistiziale. Questo perché, a meno di una capitolazione di una delle due forze contendenti, non è oggi possibile parlare di pace. Ciò detto, nonostante l’attuale stato dell’arte del conflitto, coltivo una certa fiducia sulla possibilità che, non essendo a conoscenza di nuove offensive russe, la situazione possa stabilizzarsi grazie ad una maggiore fornitura di missili di medio raggio all’esercito di Kyïv e così creare i presupposti per un armistizio non sfavorevole a Kyïv.
Lorenzo Della Corte –Pubblicista