Rischio di malaffare sul turismo salentino. Soltanto la buona amministrazione può fermarlo. Una legislazione da rivedere per una industria turistica con tanti problemi

Un’estate di fuoco e non solo per le altissime temperature. Stavolta appiccato per davvero, ha inferto un durissimo colpo al turismo del Salento. Sulla “rete” ancora scorrono le immagini di tanta devastazione nella frazione marina di San Cataldo di Lecce. Un vero peccato poiché, dopo un lungo periodo di trascuratezza, era riuscita pienamente a rifiorire. Cento ettari di pineta andati in fumo con evacuazione di turisti e residenti, case bruciate e attività commerciali al collasso.

 

 

Un disastro difficile da rimediare.

Tra tanta disperazione, il barlume di speranza, pensando di organizzare nei prossimi giorni (7 agosto ndr)  una giornata di “convivialità” con musica e attività varie; potrà servirà –hanno detto – come incoraggiamento collettivo e ripartenza, invitando tutti a partecipare.

A Ugento, invece, gli ettari incendiati superano i centocinquanta. Si tratta di un’area tra le meglio posizionate nella scelta del turismo italiano e internazionale, con un’offerta che supera abbondantemente i trentamila posti-letto tra strutture alberghiere ed extra. Occorreranno almeno una quindicina di anni prima di far rinascere boschi e pinete. Che – parola di agronomi e delle stesse Autorità – sono state deliberatamente attaccati; basti considerare i quattro inneschi scoperti a San Cataldo e, nel caso di Ugento, la “perizia”, tutta  criminale dimostrata nell’appiccare il fuoco in giornate di forte vento di maestrale, facendolo partire dalla parte di una sommità. Parola di Vigili del Fuoco.

Nessuno però si sbilancia sui veri motivi che spingono a questi atti criminali che, chiaramente, non sono opera di balordi. Nella maggior parte dei casi, riconducibili, invece, a strategie speculative e al tentativo di mettere le mani su un territorio fortemente appetibile per investimenti turistico-commerciali. Interventi certo consentiti e anche auspicabili (e nel tempo tanti già avviati), ma pur sempre nel rispetto delle leggi in materia.

Altro discorso, e condensato di difficoltà di ogni genere, è quello di dire (volendo bloccare sul nascere ogni “cattiva intenzione”) che, a incendio verificatosi, “mai e poi mai” (ma quanto sarà  vero?) si potrà costruire su “quelle” aree distrutte, mai opera di edificazione di preannunciate residenze extralusso, mai si metterebbe mano a “quell”’area per creare parcheggi (quest’ultima, una delle attività più redditizie in ambito turistico. Peraltro, quest’anno, problema pressoché irrisolto da parte di tanti Enti, pur avendo avuto tutto il tempo a disposizione!) che ha interessato molte marine leccesi.

Discorsi sentito decine di volte. Come anche i piagnistei, sempre a proposito degli incendi, dei tanti che dicono, politici e amministratori compresi, che “bisognerebbe” ripristinare i custodi nelle aree di pregio, fornire mezzi adeguati e implementare i servizi antincendio, ricordando le scarse unità dei Vigili del Fuoco, sottoposti nella circostanza a doppi se non tripli turni. Si potrebbe rispondere: che comincino a rimediare!

Ma, chiaramente, a voler argomentare dell’assalto al turismo, a parlare dei nuovi predoni, non si tratta soltanto di questo. Sono troppi i guasti che si scoprono nel comparto da allarmare per la loro pervasività. Tanti Comuni, semplicemente, “non ce la fanno” a gestire il settore, cedendo consapevolmente o meno a pratiche non perfettamente “lineari”, sotto la pressione di gruppi di potere che evidentemente pensano di fare breccia in tante amministrazioni.

È il caso dell’annosa questione dei lidi. Di proroga in proroga si paralizza il settore, perpetuando privilegi e rendite di posizione inaccettabili. Ma anche la pletora di licenze, autorizzazioni fanno la loro (mala) parte, creando contenziosi che servono soltanto ad affollare le aule dei Tribunali. Senza contare la disinvolta gestione del suolo pubblico, formidabile arma in mano a tante amministrazioni, nel caso preoccupate soltanto di gestire il consenso.

Cosa volete, dunque, che davanti a così ricchi cespiti, qualcuno pensi al verde pubblico o a interdire la circolazione stradale in marine grandi quanto un campetto di calcio? No, questo non succede, se non di rado. Troppo complicato maneggiare la materia, pressoché impossibile, poi, intaccare interessi consolidati  (sull’argomento c’è materia a sufficienza per mettersi a studiare la situazione). Ancora rimbomba l’eco che ha travolto i due ex sindaci-fratelli di Otranto, Pierpaolo e Luciano Cariddi. Una reggenza di oltre dieci anni, passandosi il testimone nella carica di sindaco della “città martire”. Anche per Otranto si parla di turismo a livello internazionale.

 

 

Una vicenda clamorosa e un territorio svenduto (s’è parlato persino di un Pug “ad personam” – questi i termini dell’accusa – ), infangando una località che è molto più di una pur importante meta turistica. E con l’ignominia che a distanza di oltre un anno i due fratelli-ex sindaci si siano visti ancora una volta rigettata la richiesta di rientrare in città e, quindi, di vedersi revocata la misura dell’obbligo di dimora. Vale a dire, che i due ex sindaci di Otranto non possono mettere piede nella città che hanno lungamente governato. Né per incontrare amici, né per ammirarla (la città) in tutta la sua bellezza. La pena più dolorosa da espiare. Una sorta di gogna moltiplicata per cento, un perenne cartello appeso al collo, girando attorno ai bastioni medievali.

Ecco uno stralcio del lungo teorema accusatorio che li inchioda a precise responsabilità, “negli anni hanno consolidato una trama di rapporti con la comunità idruntina che ha loro consentito, oltre a un largo consenso elettorale che li ha portati a rivestire cariche politiche tra cui vicendevolmente, quella di sindaco, anche l’agevole penetrazione di plurime condotte di reato, attualmente sottoposte al giudizio del tribunale”.

In questo caso il bubbone sarebbe insito nel malaffare che proviene da quelle stesse istituzioni che per prime dovrebbero essere l’argine ad ogni tentativo di infiltrazione criminale.

Di qui, la madre di tutte le osservazioni: basta da sola questa legislazione a bloccare sul nascere ogni tentativo predatorio, semmai con diretto riferimento alla pubblica amministrazione?

In questo caso la risposta è negativa, per la semplice ragione che talvolta è la stessa legislazione, a crearne le premesse. Vecchia e inadeguata, ha bisogno di urgente revisione, tanti sono i casi di contenzioso che la attraversano. È come se nel tempo non ci sia accorti della specificità del turismo, della sua novità economica e culturale, dell’adeguatezza di certe norme e non di altre, dell’irrompere sul campo di nuovi protagonisti, del peso che deve avere l’opzione ambientale.

Il solo esempio e già ricordato della gestione del suolo pubblico, ma anche l’annosa materia che riguarda il demanio e il cosiddetto processo di “sdemanializzazione” per attività di vario genere,  hanno bisogno di tener fede al regolamento, di regole certe, di  fissare paletti limitati e disciplinati. Ciò per dire che tutto non sempre accade.

È cosa certa che non si tratta di questioni nate ieri e nemmeno ieri l’altro.

Le avvisaglie, gli allarmi ci sono sempre stati poiché, per fortuna, non mancano gruppi di volenterosi/e (chiamiamoli così!), che generosamente si battono per il rispetto del territorio e, detto ingenuamente, della corretta applicazione delle leggi dello Stato di diritto. Succede, poi, e puntualmente, che ad ogni stagione estiva esplodano tutte le contraddizioni, i limiti, gli errori di una cattiva programmazione. Una pletora di interventi, prese di posizioni, denunce e senza mai poter individuare una precisa responsabilità.

Quest’anno, poi, con maggiore evidenza, a far capire che le tanto invocate “cabine di regia” altro non sono che meri enunciati, proponimenti che alla prova dei fatti hanno mostrano tutta la loro debolezza. Sì, perché non si ha a che fare con una singola emergenza, o problema non risolto, ma riguarda l’impianto generale dell’industria turistica (tale si può ben definire quella che riguarda il Salento), da richiedere interventi mirati, destinazione di risorse materiali e umane. E, allora, sotto col grave problema dei trasporti su gomma e rotaia che sia (ogni anno sempre peggio), programmazione a passo di gambero.

Quest’anno, poi, inflazione record per servizi turistici (ben al di sopra del 10% dichiarato, altrimenti non si spiegherebbe nel Salento lo shock del -40 % di presenze turistiche a luglio!). Dato che riguarda altre parti d’Italia e non è certo un buon segnale. Della cosa è venuta a conoscenza la ministra Daniela Santanchè”. Ha preso atto della situazione e ha dichiarato che “studierà” la situazione per poi prendere i provvedimenti necessari.

 

Luigi NanniGiornalista. Studioso di problemi del turismo

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