“Diplomifici”, problemi vecchi e nuovi alla radice. Ce lo spiega uno studioso di questioni della scuola

L’esiguo numero degli ispettori. I problemi derivati dalla riforma che ha condotto alla cosiddetta "autonomia scolastica"."L’autonomia scolastica ha finito non per accrescere, ma semmai per limitare l’indipendenza del docente, un tempo delimitata dal principio costituzionale della libertà d’insegnamento e dal dovere di rispettare i programmi". La funzione degli ispettori ora ancor più necessaria

All’apparenza è una non notizia; lo scandalo dei diplomi di maturità “sospetti”, conseguiti da studenti che per superare l’esame di Stato si sono iscritti all’ultimo anno di una scuola paritaria, non è certo una novità, per l’esperto di questioni scolastiche. Sollevata dalla rivista specialistica “Tuttoscuola” e ripresa dai grandi quotidiani ha rivelato un fenomeno che perdura da molti decenni. Il clamore suscitato dalla denuncia ha il pregio di far posare lo sguardo anche ai non informati su una realtà complessa, di cui i dati di quest’ultimo anno, probabilmente resi più significativi dalla stretta al rigore dell’esame dopo i provvedimenti eccezionali seguiti alla pandemia, costituiscono la punta di un iceberg.

Da tempo è noto agli addetti ai lavori il gioco di alcuni istituti formativi privati, denominati in genere centri studi, in cui si impartiscono di fatto lezioni private. Dopo aver fatto pagare un prezzo più o meno alto per la frequenza, fanno iscrivere al penultimo e più spesso all’ultimo anno delle superiori gli studenti a un istituto paritario. L’istituto paritario è una scuola gestita da privati, laici o religiosi, che però ha ottenuto dal Ministero la parificazione, previo il controllo dei requisiti richiesti attraverso visite ispettive.

A tutti gli effetti, è equiparato alle scuole pubbliche, e ai suoi scrutini non sono più presenti, come avveniva un tempo, i commissari governativi, che ispezionavano i registri e partecipavano ai consigli di classe finali. Il controllo dei requisiti non tange solo (e, diciamocelo con onestà, non tanto) la qualità dell’insegnamento impartito, ma la rispondenza a requisiti tecnici e burocratici. I docenti devono essere abilitati e assunti regolarmente, aule e laboratori devono rispondere a esigenze di sicurezza previste dalla normativa vigente, come e a volte più che negli istituti pubblici, le disposizioni in materia di numero massimo di alunni per classe devono essere rispettate. Ottenuta la sospirata “parifica”, confermata da visite ispettive che si svolgono con cadenza decennale, l’istituto è orgoglioso di esporre sopra l’ingresso la bandiera tricolore e il vessillo dell’Unione Europea, che agli occhi del pubblico le conferiscono una maggior autorevolezza, una sorta di aura di “statualità”.

La maggior parte delle scuole paritarie non ha finalità speculative.

Molte sono gestite da ordini religiosi ad alta vocazione educativa, come gli Scolopi, i Salesiani, e a un livello forse ancora più alto i Barnabiti. Purtroppo non versano in buone acque dal punto di vista finanziario, per due motivi. Il primo è che la crisi delle vocazioni obbliga anche le scuole cattoliche a far ricorso a docenti laici, che ovviamente debbono essere pagati. Il secondo è che in tempi di crisi economica le famiglie preferiscono risparmiare sulla formazione culturale piuttosto che su altri capitoli di spesa; ma questo richiederebbe un lungo discorso. Prova di questo disagio è che anche molti istituti religiosi hanno dovuto assumere i docenti col contratto della Confindustria, invece che con quello, più favorevole, delle scuole cattoliche, e che istituzioni che potevano vantare secoli di storia come il collegio La Querce di Firenze sono stati dolorosamente costretti a chiudere. In genere si salvano le materne e le primarie, anche perché in materia di orari di accoglienza degli alunni assecondano meglio le esigenze dei familiari, ma la crisi c’è comunque. Tanto più che i contributi statali sono modesti (pesa ancora il famoso “emendamento Corbino” al III comma dell’art. 33 della Costituzione secondo cui: «Enti privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato») e le famiglie preferiscono non pagare per un servizio che lo Stato fornisce in forma gratuita o semigratuita.

Ci sono però istituti paritari che soggiacciono alla tentazione di utilizzare la loro facoltà di conferire titoli come una scuola statale accogliendo con spregiudicata elasticità e ambigua indulgenza studenti che provengono da istituti privati. Il gioco consiste nella loro iscrizione, spesso fittizia, nella loro frequenza, a volte falsamente attestata, e in un giudizio indulgente nello scrutinio finale. Nel caso della maturità, visto che la commissione è composta anche da membri interni, ai candidati è promessa la promozione: promessa spesso mantenuta.

Certe paritarie lucrano su questo baratto, ma soprattutto ci lucrano i centri studi, che promettono, anche su manifesti murali o volantini, rapidi recuperi di più anni in uno, vantano un cento per cento di promossi e in certi casi un “soddisfatti e rimborsati” da pubblicità d’antan.

Ovviamente, i gestori lucrano due volte: sui bassi stipendi degli insegnanti dei loro corsi, spesso ben inferiori ai nove euro orari reclamati come salario minimo, e il costo delle rette.

Sarebbe riduttivo e ingeneroso liquidare il fenomeno come un esempio di malcostume del Mezzogiorno, fondandosi sul fatto che gli istituti coinvolti sono in prevalenza meridionali, soprattutto campani. In realtà, i candidati a una maturità compiacente scendono al Sud da tutta Italia, sobbarcandosi ulteriori oneri, un po’ come gli aspiranti procuratori legali si recavano dal Nord a Catanzaro a superare gli esami di abilitazione in una sorta di turismo forense.

Obbligare i candidati alla maturità a sostenerla nella regione d’origine potrebbe essere una soluzione, anche se andrebbe incontro a inevitabili ricorsi.

In realtà, il vero problema è sorto quando, negli anni Novanta, l’esame di Stato, che, per quanto semplificato, era svolto ancora da docenti esterni, provenienti da altre regioni, con un solo membro interno della scuola e un presidente esterno, fu rivoluzionato per motivi di tagli alla spesa.

I commissari furono nominati nella stessa provincia o regione della scuola in cui si svolgevano, e in certi periodi erano gli stessi insegnanti della classe, inclini per ovvii motivi a non smentire le valutazioni già espresse nel corso dell’anno.

L’esame di Stato con soli docenti interni e il presidente esterno si è riproposto con l’emergenza Covid, e merito del ministro Valditara è di avere reintrodotto almeno una pariteticità fra commissari interni ed esterni, ma rimaniamo molto lontani dalla serietà dell’esame gentiliano, in cui il professore di Caltanissetta era nominato commissario a Bolzano, e viceversa, per cui non solo era lontano il rischio di “pastette”, ma si assicurava una omogeneità di valutazione in tutta Italia. Si deve a questo se il voto di maturità non conta più per l’ingresso alla facoltà universitarie a numero chiuso, il cui accesso è subordinato al superamento di spesso opinabili quiz.

 

Ministro Valditara
Copyright foto: ScuolaInforma

 

A torto o a ragione, gli istituti del Sud sono accusati di un eccesso di indulgenza nei confronti degli esaminandi, per cui il voto alla maturità non viene considerato un adeguato criterio selettivo per entrare nei corsi di studi più ambiti.

C’è da domandarsi, per altro, come mai un esame che ogni anno scandalizza per il basso numero di bocciati induca tante persone ad accollarsi oneri non indifferenti per il suo superamento con qualche scorciatoia.

A parte alcuni casi classici, oggi in via d’estinzione (il maresciallo con la sola licenza media che aspira a passare ufficiale, l’infermiere diplomato nei vecchi corsi triennali che aspira a frequentare la facoltà di scienze infermieristiche), molti candidati hanno interrotto gli studi per motivi psicologici in quella età delicata che è l’adolescenza e ora preferiscono continuarli in un ambiente protetto, anche se costoso (ma non più di tanto: diecimila euro per un diploma può essere un buon investimento).

Frequente è il caso di ragazzi che hanno conosciuto un crollo del profitto con relativo abbandono degli studi per una crisi familiare, fenomeno più frequente per le femmine, che soffrono maggiormente per l’eclissi della figura paterna. Non è certo il caso di promuovere i “furbetti del registro” a benefattori dell’umanità; semmai sarebbe opportuno riflettere seriamente sui costi occulti della crisi dell’istituto familiare, che fa la fortuna non solo degli avvocati matrimonialisti, ma degli psicologi e dei gestori di scuole private.

In ogni caso, un comportamento illegale merita sanzione, e bene ha fatto il ministro Valditara a “inviare gli ispettori” per verificare in loco le eventuali irregolarità.

Sì, gli ispettori, ma quali? L’attuale organico dei “dirigenti tecnici con funzioni ispettive” (questo è oggi il termine esatto, un po’ come l’espressione dirigente scolastico ha preso il posto del termine “preside”) prevedrebbe 190 unità: già pochissime, rispetto agli anni Novanta. Ma quelli in servizio sono molti di meno. Ovviamente, è difficile chiedere loro di fare anche da “questurini”, verificando che tutti gli iscritti alle paritarie frequentino davvero le lezioni. Il ministro Valditara ha meritoriamente deciso di bandire un concorso per 146 nuovi dirigenti, che colmerebbe i vuoti, almeno in parte, e di nominarne altri con una pubblica selezione.

C’è da chiedersi, però, che cosa abbia portato a una condizione così assurda.

Non è da escludere che a tanto abbia condotto la riforma che ha portato la cosiddetta autonomia scolastica, voluta dal ministro Berlinguer per sostituire all’antico impianto centralistico del ministero una rete di istituti dotati di personalità giuridica, con un preside non più primus inter pares, ma incardinato nella dirigenza statale e dotato di ampi poteri nella nomina dei collaboratori, ma scelti e revocati da lui. Quello che ha guadagnato in più, in termini di stipendio e di potere, lo paga in realtà a usura, in termini di responsabilità amministrative e giuridiche (basti pensare alla spada di Damocle della sicurezza dei locali o al contenzioso con le rappresentanze sindacali interne), ma ciò non toglie che molti dirigenti scolastici, soprattutto i più giovani, siano portati a considerarsi affrancati da un rapporto di fedeltà ligia alle gerarchie ministeriali. In un contesto del genere l’ispettore è stato spesso percepito come un residuato dell’antico assetto centralistico, una sorta di messo dominico al servizio del potere romano. Una figura superata e residuale, quasi un fossile storico.

La realtà purtroppo è molto diversa, perché, paradossalmente, l’autonomia scolastica ha finito non per accrescere, ma semmai per limitare l’indipendenza del docente, un tempo delimitata dal principio costituzionale della libertà d’insegnamento e dal dovere di rispettare i programmi. Le scuole, che erano un tempo repubbliche aristocratiche, tendono non sempre ma in taluni casi a trasformarsi in monarchie, in cui un nucleo di insegnanti legati al preside e investiti da lui di varie funzioni possono entrare in conflitto con altri.

In più, non sono infrequenti i casi di contrasti fra l’ex segretario, oggi un laureato come il preside, rinominato direttore dei servizi generali amministrativi e investito di notevoli responsabilità, ma con uno stipendio molto inferiore, e il dirigente scolastico. La disponibilità di fondi ministeriali ed europei, per la didattica e la sperimentazione, può accrescere ulteriormente la conflittualità interna, come sempre avviene quando c’è da spartirsi una torta, anche se relativamente modesta.

La funzione ispettiva di conseguenza è molto più importante di prima.

Se ha ben compreso il suo ruolo, ed è dotato di buone doti di equilibrio, il dirigente tecnico è prima di tutto un imparziale giudice conciliatore, in grado di sedare, spesso con la sua semplice presenza super partes, la conflittualità interna, di richiamare, con la mera possibilità del suo passaggio durante gli esami, i commissari al dovere di seguire attentamente i colloqui anche se di discipline che non sono le loro, di mediare i contrasti tra famiglie e docenti che spesso si traducono in esposti infondati o peggio in ricorsi al Tar, e magari di presenziare agli esami di Stato in scuole paritarie dalla fama non sempre limpida. Anche per questo gli ispettori rimangono indispensabili, e non solo per prevenire lo scandalo della vendita delle indulgenze alla maturità. Cerchiamo di tenerlo presente, senza bisogno di accorgersene solo la notte dopo gli esami.

 

Enrico NistriSaggista

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