Esami di maturità, un’analisi delle tracce con qualche sorpresa

L’elevato numero di opzioni proposte rischia di disorientare il candidato. Scegliere una traccia è un’operazione impegnativa: bisogna capire cosa effettivamente viene richiesto, senza limitarsi alle suggestioni di qualche parola chiave, e leggere attentamente i brani da analizzare, consumando tempo prezioso per la stesura dell’elaborato, quando la mente è più fresca

In un’Italia in cui per farsi bocciare sembra necessario almeno accoltellare la professoressa – sempre che i genitori non impugnino il provvedimento al Tar, invece di fare un sereno esame di coscienza su come hanno educato il figlio – l’esame di maturità è ben lontano da quell’angoscioso rito d’iniziazione alla vita adulta che anche a distanza di quarant’anni popolava gli incubi notturni dei nostri padri.

Lo hanno sostituito, nelle preoccupazioni dei nostri giovani, i test d’ingresso alle più ambite facoltà universitarie, che spesso si svolgono prima di giugno, per cui agli studenti che li hanno superati interessa relativamente poco spuntare un voto più alto in quello che appare sempre più un venerando e un po’ patetico fossile dell’età gentiliana. Sì, è vero, alla vigilia della prima prova il ministro dell’Istruzione e del Merito si è preoccupato di raccomandare paternamente ai candidati di non passare insonni la vigilia delle prove e il telegiornale ha mandato in onda una sequenza di quella pellicola di culto che è “Notte prima degli esami”. Ma oggi sono forse più i genitori dei figli ad aspirare al “cento”.

Se gli esami fanno ancora parlare di sé è soprattutto per il dibattito sulle prove scritte, in particolare sulle tracce dei temi. Perché, se in pochi sono capaci di valutare la congruità con i programmi di una versione di greco o di un compito di matematica, tutti si sentono in diritto di esprimere la loro opinione sui titoli e gli autori proposti nella prova di italiano. Per la verità, di temi non sarebbe corretto parlare, perché, sull’onda della contestazione a una prova ritenuta retorica e quasi diseducativa, il vecchio tema è stato sostituito da una vasta scelta di tipologie, spazianti dalla “analisi del testo” al commento di “testi argomentativi”, alle riflessioni sull’attualità.

Si è trattato di un progresso? Sotto certi aspetti, sì.

Quando le tracce proposte erano tre o al massimo quattro, l’incubo della pagina bianca dinanzi a un argomento ostico sussisteva. A lungo si raccontava, negli anni Trenta, di un giovanotto appassionato più di aerei che di storia del Risorgimento, che iniziò un tema su Cesare Balbo con un’esaltazione del quadrumviro Italo, e fu inesorabilmente bocciato: la scuola dell’epoca era fascista, ma seria.

Al tempo stesso, però, l’elevato numero di opzioni proposte rischia di disorientare il candidato. Scegliere una traccia è un’operazione impegnativa: bisogna capire cosa effettivamente viene richiesto, senza limitarsi alle suggestioni di qualche parola chiave, e leggere attentamente i brani da analizzare, consumando tempo prezioso per la stesura dell’elaborato, quando la mente è più fresca. Sei ore effettive di tempo possono sembrare molte, ma non tutti gli studenti sono abituati a uno sforzo mentale prolungato. Nella fase finale può subentrare un crollo di lucidità proprio quando si tratta di volgere in bella l’elaborato, controllandone la sintassi e magari anche l’ortografia, che a volte fa difetto a chi è cresciuto prima con maestre educate a evitare l’“ipercorrettivismo”, poi con l’autocorrettore automatico di word.

Chi scrive ricorda la prima traccia dei temi proposti per la maturità del 1971, la sua: “Romanticismo storico, romanticismo perenne”. Quattro parole che comprendevano un mondo, coniugando, a pensarci bene, storia e attualità, cultura alta e cultura pop, lirici greci e parolieri: era l’anno in cui Pino Donaggio e Peppino di Capri cantavano “L’ultimo romantico”.

Quest’anno – a parte le polemiche sull’opportunità d’inserire fra le tracce un brano della lettera aperta all’ex ministro Bianchi – le proposte ai maturandi nell’ambito letterario si sono distinte per due coraggiose rivisitazioni. Fatto singolare, sotto un ministro di destra i compilatori dei titoli hanno proposto due autori di sinistra, anche se un po’ caduti nel dimenticatoio: Salvatore Quasimodo e Alberto Moravia.

 

Salvatore Quasimodo

 

Quasimodo, mezzo secolo fa, apparteneva nelle antologie alla terna dei tre maggiori poeti della prima metà del Novecento, insieme a Montale e a Ungaretti (gli storici della letteratura italiana hanno sempre avuto la passione per le terne: Foscolo, Leopardi Manzoni; Carducci, Pascoli d’Annunzio, con qualche inevitabile esclusione). Non tutti i critici lo stimavano; Emilio Cecchi, feroce come solo i letterati sanno essere con gli altri letterati, quando gli fu conferito il Nobel aveva scritto sul “Corriere” un elzeviro al vetriolo, che cominciava con il vecchio assioma “A caval donato non si guarda in bocca” (ma Quasimodo lo ripagò definendolo a sua volta “un mulo che invidia i cavalli”).

Dalla terna era invece escluso, forse per la sua allusa omosessualità, Umberto Saba, che ora ha scalzato il posto di Quasimodo; fuori dalla terna invece rimane, per altri motivi, Vincenzo Cardarelli, forse il più grande di tutti. In realtà, il Quasimodo più felice è quello di “Ed è subito sera” e delle splendide traduzioni di lirici greci, non il poeta didascalico e un po’ di corte che dopo essere appartenuto alla cerchia di Bottai, da cui ottenne la nomina per chiara fama al Conservatorio di Milano, divenne un intellettuale organico del Pci.

La lirica d’occasione “Alla nuova luna” proposta agli esaminandi, scritta nel 1957 in occasione del vari dello Sputnik, non è certo il suo capolavoro.

Un discorso a parte merita Alberto Moravia, altro scrittore e letterato caro alla sinistra, caduto negli ultimi decenni nel dimenticatoio. I funzionari ministeriali hanno proposto ai maturandi un brano di quel romanzo d’esordio, Gli indifferenti, che pubblicò giovanissimo e pose le premesse della sua fortuna letteraria. Un capolavoro, di cui viene proposto però un brano avulso dal contesto, su cui chi non abbia letto il libro e non conosca l’autore incontra serie difficoltà a imbastire un elaborato esauriente.

 

Alberto Moravia

 

Il fatto è che Moravia, come disse di lui a chi scrive un fine letterato come Alfredo Cattabiani, è soprattutto un grande “raccontatore”; ma non è facile per uno studente sviluppare da un brano, sia pure critico, di un suo libro un elaborato che dovrebbe rappresentare il suo biglietto da visita per la commissione.

Naturale, dunque, che i maturandi abbiano in genere snobbato le analisi dei testi di entrambi questi autori, che rientrano nei programmi, ma non sempre vengono letti e studiati. Molti avrebbero preferito il classico tema su Manzoni, a un secolo e mezzo dalla morte, ma l’autore dei Promessi sposi non rientra nei programmi di letteratura italiana degli istituti professionali, per cui anche una traccia del genere si sarebbe prestata a critiche. Resta il fatto che, grazie forse più a Cocciante che a Hugo, Quasimodo è per la maggior parte dei giovani il gobbo di Notre Dame.

Più alla portata di un maturando che conosca la storia l’interpretazione del brano di Chabod, il grande storico valdostano, padre tra l’altro dell’autonomia della Regione, precocemente scomparso. Il brano tratto dal suo saggio L’idea di nazione, edito nel 1961, ma concepito negli anni della Resistenza, è quanto di più lontano si possa immaginare dalla retorica “sovranista”: ennesima conferma del fatto che su queste prove né ministro né ministero hanno voluto sovrapporre un’impronta ideologica.

Ricco di spunti originali l’articolo di Marco Belpoliti, tratto da “Repubblica”, sull’ossessione della “simultaneità”, che è stato proposto come spunto per il tema di attualità: quasi un invito ai maturandi ad affrancarsi da quella logica delle mail a risposta immediata, degli sms, di whatsapp che ormai condiziona le nostre vite. In molti forse si saranno chiesti quanto avranno potuto i ventenni di oggi apprezzare l’elogio della busta da chiudere e da affrancare, del francobollo da attaccare, dell’indirizzo da scrivere a mano. Eppure è stata proprio questa la traccia più apprezzata dai candidati, segno che a volte un’intelligente provocazione può stimolare la riflessione dei giovani più di quanto non si creda.

 

Oriana Fallaci

 

Un’iniziativa felice è stata, ancor più della citazione di Piero Angela, il recupero di Oriana Fallaci, scrittrice un po’ dimenticata, dopo l’enorme eco dei suoi libri, delle sue denunce, delle sue polemiche. La Oriana recuperata non è la protagonista delle roventi denunce sul rischio dell’“Eurabia”, ma l’autrice di una raccolta d’interviste degli anni Settanta, che non direbbero ovviamente molto ai maturandi di oggi se non fossero accompagnate da una prefazione in cui la giornalista affronta un tema centrale oggi come e forse più di allora: chi davvero regge i destini del mondo? La storia è fatta da tutti o da pochi? Interrogativi antichi come l’uomo – basti pensare al capitolo finale di Guerra e pace, – ma che presentano forse un’indubbia e inquietante attualità, anche alla luce dei più recenti sviluppi delle relazioni internazionali.

 

Enrico Nistri – Saggista

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