Riletture/ La politica togliattiana dei due tempi, rileggendo Ginsborg Un contributo critico di un “sindacalista dissidente”

Caro direttore, che ripercussioni ha avuto la linea politica togliattiana dei due tempi, sugli esiti catastrofici, ancora attuali, a livello economico, politico, culturale ed istituzionale della società italiana?

Prendo spunto dal libro dello storico Paul Ginsborg La storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi pubblicato da Einaudi nel 1989. Vorrei farlo per approfondire solo la prima parte del libro, quella ci interessa.

 

 

 

E procedo “avvalendomi” dell’attenta, e rigorosa, analisi che venne fatta, a suo tempo, dal Professore Antonio Moscato. Intanto, qualcuno si domanderà perché solo adesso, in un’epoca storica come l’attuale, dove si è degenerati nel “dominio sovrano” di una destra estrema, a livello italiano ed europeo? Perché, credo che l’inizio di tutti i mali di questa nostra nazione, possono essere addebitati, (ma non solo questo, ovvio) a scelte politiche del Pci di quel periodo storico. Con la formazione del partito nuovo.

E poi perché ancora oggi molti militanti della sinistra, nonché del Pci, tanti giovani 30’anni fa non sapevano che il Pci negli anni ’44-’47 era stato al governo, “con esiti fallimentari”. Quanto riporterò è lontano da me dal fare inutile retorica, ma può piuttosto servire a mettere i tasselli, nelle giuste caselle, per una ricostruzione della storia del movimento operaio, italiano ed internazionale.

Antonio Moscato, professore oggi in pensione, per lunghi anni docente nell’Università del Salento di Storia del Movimento Operaio,  dice, “Ginsborg non è un estremista… tra gli scritti citati (da Ginsborg) non ce n’è uno di parte trotskista”.

L’uscita del libro ( nello stesso anno, il 1989, della Caduta del Muro di Berlino, NdR) fu comunque accolta con molto fastidio, da parte del gruppo dirigente del Pci, nonché dallo stesso giornale “Il Manifesto”.

Il libro ripercorre, in modo lucido, il ruolo del Pci e di Togliatti negli anni durante la Resistenza e la ricostruzione. Ginsborg, da storico rigoroso, dopo aver esplorato una mole considerevole di documenti accetta, dà per scontato, quasi come inevitabile il rifiuto del partito a qualsiasi tentazione estremista, qualora il Pci avesse deciso di guidare la classe operaia verso un’impossibile rivoluzione.

La decisione di Palmiro Togliatti di entrare nel governo Badoglio pose fine all’isolamento del Pci. Dunque Ginsborg “gradisce” la scelta della politica togliattiana, ma da storico disciplinato osserva: “la politica dei due tempi (prima la Liberazione e poi la democrazia progressiva) era senza sbocco… i comunisti accettavano di posporre alla fine della guerra la soluzione delle principali questioni di natura sociale e politica”.

Moscato da parte sua valuta che, “così facendo, i comunisti rinunciavano a mettere in discussione l’assetto istituzionale del nuovo Stato, i rapporti tra capitale e lavoro”. Mettevano “in frigo” i problemi più scottanti. Sempre Ginsborg scrive, …mentre i comunisti rinviavano lo scontro, il re, Badoglio, i proprietari terrieri, non si astennero dal perseguire i loro obiettivi, con tutti i mezzi a loro disposizione”.

Pertanto, se la rivoluzione era impossibile, la critica alla politica dei due tempi poteva in ogni caso essere rivolta. Il Pci disperse il potenziale di forza rappresentato dalla Resistenza, dalle lotte dei contadini ed operai, e il risultato fu che essi furono spiazzati dalle azioni degli Alleati e dalle forze conservatrici italiane”.

Il libro analizza come nel Sud si fossero formati movimenti nelle campagne, che a tratti assunsero carattere insurrezionale. L’azione dei contadini, nel Sud, si scontrò con la ferocia dei proprietari terrieri, affiancati da mafia e carabinieri.

Lo stesso Paolo Spriano, partigiano, storico e dirigente comunista, più volte aveva ribadito che i comunisti erano “lacerati” tra le necessità di incoraggiare i movimenti, e frenare una radicalizzazione, per non turbare l’equilibrio governativo. Dunque, l’alternativa era chiara, o il movimento si radicalizzava o veniva sconfitto nel Meridione. Difatti, prima la magistratura con varie sentenze, e poi la Cassazione sancivano come illegali i decreti del ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, che aveva tentato di spezzare l’equilibrio esistente, nei rapporti di classe nel Meridione con “l’abolizione delle intermediazioni”.

In tutto questo contesto c’era Togliatti che, da ministro della Giustizia, sosteneva la tesi conservatrice della continuità dello Stato. Aggiungo, uno Stato borghese, conservatore con tratti, ben saldi, ancora fascistizzanti. Dunque, domando: che ripercussioni ha avuto la linea politica togliattiana dei due tempi, sugli esiti catastrofici, ancora attuali, a livello economico, politico, culturale ed istituzionale della società italiana?

 

 

 

Maurizio MaccagnanoSindacalista dissidente

 

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