Propaganda, dalla prima guerra mondiale al terrore antirusso. Parte 1

Prima parte di una ricerca

Tutti conosciamo Freud che, con Marx e Einstein, ha improntato l’uomo del XX secolo. Non tutti conosciamo Barnays, il nipote di Freud cui si deve la teorizzazione e messa in pratica della gestione delle masse da parte del potere e che non meno dello zio ha segnato le nostre esistenze.

Sempre più si parla di “disinformazione” e di “lotta alla disinformazione”. Questo allarme attraversa tutto l’Occidente e sempre più scattano, sulle reti web, controlli sospensioni e cancellazioni. Un tempo c’era la “censura”. Oggi questa parola è utilizzata solo per indicare quanto avviene in altri Paesi, quelli da noi considerati autoritari. La libertà di comunicazione progressivamente si assottiglia, mentre sempre più ci si trova imbrigliati da un’informazione martellante.

Le prime concrete avvisaglie sono emerse con il Covid-19, periodo in cui l’Italia si è trovata a ricoprire un ruolo pilota in un mainstream che non aveva precedenti recenti. Il nostro Paese, infatti, nel mondo occidentale, è il Paese che più degli altri è stato sottomesso a restrizioni che sono giunte a colpire il lavoro, lo studio, la prima adolescenza; a creare spaccature all’interno delle famiglie, rotture di amicizie, dichiarazioni deliranti da parte di noti personaggi del mondo politico, del giornalismo e dello spettacolo che, sulla base degli appelli a vaccinarsi di medici, invocavano addirittura i campi di sterminio (Gigantino, cardiologo), il Napalm (presidente della Campania) e tutte le punizioni e torture possibili (la lista dei nomi sarebbe lunga) per l’esigua minoranza che resisteva all’inoculazione del siero vaccinale.

Il Washington Post del 16 ottobre 2021 valutava che l’Italia si fosse spinta in un territorio nuovo per le democrazie occidentali. Il nostro Paese diventava, così, un laboratorio da osservare per capire fino a che punto una popolazione fosse disposta a rinunciare ai propri diritti per assoggettarsi ai diktat di un governo sotto lo stimolo della paura. L’aggressione della Russia all’Ucraina, la durissima censura di tutte le notizie provenienti dal Paese di Putin (in primis l’oscuramento di “Russia Today”) e le informazioni continue e allineate dei media sono state una prosecuzione senza soluzione di continuità del mainstream precedente.

Di conseguenza dalla pandemia si è sfociati nella guerra con la stessa metodica comunicativa. Anche in questo caso, le voci dissidenti hanno subito una gogna mediatica. La propaganda di guerra (guerra che non avrebbe dovuto riguardarci direttamente) è uscita allo scoperto e, di fronte a irriducibili che si sono organizzati per riuscire ad attingere informazioni su larga scala in grado di bilanciare la narrazione ufficiale, si è scatenata quella “lotta alla disinformazione”, che intende con tale termine tutto quanto non è in linea con i media allineati ai governi.

Le menti delle masse devono essere guidate per non cadere in trappole pericolose e i governi si sono dati in tal modo una dichiarata missione: quella di vegliare sul pensiero della propria gente. In tutto ciò, tuttavia, non c’è nulla di nuovo. Le generazioni che si susseguono, troppo impegnate a guardare al futuro, raramente si volgono al passato.

Eppure è tutto già stato sperimentato, vissuto da altri prima di noi. Nel 1928 Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud sia da parte di padre che di madre (la madre è sorella di Freud e la moglie di Freud è sorella del padre), nato in Austria nel 1891 ed emigrato negli States già nel 1892, autore di numerose pubblicazioni, aveva scritto il libro “Propaganda” che compendiava in sé il fattore determinante da lui studiato: l’impatto del potere sulla gestione delle masse.

Nel nostro immaginario collettivo la più grande macchina di soggiogamento è stata quella tedesca e quando sentiamo la parola “Propaganda” la mente corre immediatamente al nazismo, ma Goebbels, ministro tedesco capace di asservire a suo piacimento il popolo, non inventò nulla. Era un fervente ammiratore e studioso di Bernays e proprio sulle tecniche del nipote di Freud, molto bene sperimentate negli USA, creò il Führerkult.

Di conseguenza, la sistematica capacità di gestione di massa è americana. Il termine “Propaganda”, tuttavia, ha ancora più lontane origini e può essere fatto risalire a Gregorio XV quando nel 1622 crea in Roma la “Congregazione per la Propagazione della fede”. Urbano VIII costituisce poi il “Collegio per la Propaganda” per formare sacerdoti da inviare nelle missioni. Bernays riprende il termine (che poi farà sfociare in “Pubbliche Relazioni” o “PR”) e tutta la sua lunghissima vita la dedica a perfezionare la gestione delle masse da parte del potere, da chiunque esso sia detenuto (dai governi alle industrie per la commercializzazione di prodotti).

I Paesi autoritari sottomettono i popoli con la forza, le democrazie moderne con le pubbliche relazioni. “Le PR, insegna Bernays, sono volte alla fabbricazione del consenso, sulla base del fatto che nelle democrazie tutto dipende dal consenso della gente”. Uno dei capolavori che il geniale nipote di Freud aiuta a costruire, è l’entrata in guerra degli USA nel primo conflitto mondiale. Il 16 novembre 1917, gli States dichiarano guerra alla Germania. Eppure il presidente Woodrow Wilson fino all’anno prima aveva assicurato, applaudito da maree di popolo osannante, che nessuno statunitense sarebbe andato a combattere in Europa perché questa guerra non li riguardava.

Quando la Casa Bianca decide di entrare in guerra, ci si volge alla metodica del convincimento. Bisogna mettere in atto una propaganda volta a fare cambiare idea agli americani, assolutamente contrari fino al giorno prima, di modo che vadano entusiasticamente e volontariamente a farsi ammazzare. Il cinema, ancora più dei giornali, è uno dei punti di forza. I soldati tedeschi sono rappresentati come pazzi criminali, strappano dalle braccia di madri imploranti i neonati per buttarli dalla finestra, stuprano, uccidono prigionieri e civili inermi, commettono ogni possibile barbarie.

“O combatti adesso o aspettati questo”

Attori famosi quali Charlie Chaplin sono ingaggiati per galvanizzare le folle, e prima delle proiezioni cinematografiche viene letto un bollettino degli orrori commessi dai germanici. I templi della musica rifiutano di suonare Beethoven per non essere associati a dei mostri. Posters giganteggiano nelle strade, una commissione, formata da persone notissime viene costituita e gestita da George Creel (Commissione Creel). Un ventiseienne Barnays, è punta di diamante.

Ha studiato a fondo Gustave Le Bon (Psychologie des Foules, 1895) per cui le persone sono incapaci di pensare in maniera razionale; è impossibile relazionarsi con loro. Sono delle specie di microbi. Le folle, di conseguenza, sono prive di capacità di ragionamento. Poiché il pensiero razionale non ha effetto sulle masse, bisogna volgersi alle loro emozioni. Conoscere l’arte di impressionare le folle è conoscere l’arte di governarle. Le immagini, i racconti orrifici, i tedeschi mostruosi barbari, gli americani eroi salvatori riempiono gli USA. L’incubo dei germanici che, o li si ferma, o arriveranno a New York e nelle proprie case e stermineranno la propria famiglia, prende piede.

“Compra più Bonds che puoi! I Bonds della Libertà salvano vite!”

La paura dilaga. Sembra impossibile che gli statunitensi credano che i tedeschi invaderanno gli States, tanto la cosa è demenziale, ma anche le menzogne più incredibili attaccano. La propaganda mirata ha trasformato una nazione di pacifisti convinti in fanatici anti-tedeschi. Nel giro di pochi mesi le entusiaste truppe partono e le informazioni circa i feriti privi di adeguati medicinali, fa scattare poco dopo una campagna di vendita di Bonds senza precedenti.

 

 

 

 

(Fine prima parte)

 

Maurizia LeonciniJournalist free lance

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