L’Europa del nostro scontento: i Paesi Baltici tra discriminazioni e paure

Un rapporto particolareggiato sulla situazione dei Paesi Baltici e sulla loro storia recente

Con il sensazionale titolo “Exklusives Geheimpapier- Mögliche Eskalation gegen Nato schon 2024. Die Bundeswehr bereitet sich auf einen bewaffneten Konflikt gegen Russland vor”, il giornale Bild del 16 gennaio 2024 ci ha fornito un calendario dello scenario di guerra Russia-NATO per il prossimo futuro.

Il controllo del corridoio Suwalki, che attraversa Polonia e Lituania e collega la Bielorussia a Kaliningrad, l’exclave russa, sarebbe il primo passo, seguito da un crescendo, volto a fomentare rivolte delle minoranze russe dei Paesi Baltici. In caso la Russia li invadesse, la NATO, in base all’articolo 5, entrerebbe in guerra. Il modello sarebbe quello già sperimentato in Ucraina, ma in questo caso, lo scontro con la Russia sarebbe sul campo con l’impiego di truppe di tutti i Paesi che fanno parte dell’Alleanza Atlantica e, in prima linea, di quelle europee.

Il Cremlino tramite il portavoce Dmitry Peskov ha fatto sapere che non c’è nulla di sensazionale in un documento (quello di cui al Bild) che, come tanti altri, simula sulla carta possibili scenari di guerra, pratica ampiamente adottata sulla scacchiera internazionale. Le rassicurazioni, tuttavia, non hanno tranquillizzato i Paesi europei che hanno iniziato una martellante campagna che sembra volta a instillare paura verso il Paese di Putin e necessità di stringersi a una NATO che, sola, ci può proteggere e che invita le nazioni aderenti a sempre più armarsi, sotto la sua guida, in vista dello scontro.

Per il momento l’Alleanza ha messo in atto la più imponente esercitazione militare che mai sia stata fatta (“Steadfast Defender”, cui si aggiunge la “Nordic Response 24”) per dimostrare la propria abilità nel difendere l’area transatlantica in uno scenario di risposta a una minaccia militare. Chi è militarmente accerchiata e lo resterà fino a maggio, adesso tuttavia è Kaliningrad che, da quando è iniziata la guerra d’Ucraina è già stata posta, nel luglio 2022, in condizioni d’assedio dalla ‘disinvolta’ interpretazione della Lituania delle sanzioni alla Russia.

La Lituania, infatti, facendo a pezzi gli accordi stringenti del 2002 e 2004 stipulati dalle tre Repubbliche Baltiche con Yeltsin, ha, infatti, isolato l’exclave di Kaliningrad bloccando il condotto. Quest’area, come ad esempio Gibilterra (exclave britannica in Spagna) o Melilla (exclave spagnola in Marocco), non è autonoma e si regge sui commerci con i Paesi circostanti. Con le sanzioni, ogni interscambio con l’UE è venuto a mancare ed il solo mezzo di sopravvivenza è rimasto il condotto ferroviario che l’unisce alla Madrepatria attraverso parte della Lituania e che, appunto, è l’oggetto degli accordi del 2002 e del 2004. La chiusura del corridoio Suwalki, infatti, in una situazione di guerra che impedisca alla Madrepatria di portare rifornimenti alla propria exclave può significare la condanna a morte di un milione di abitanti.

 

Oblast di Kaliningrad sulla mappa (da Encyclopaedia britannica, updated Jan. 7, 2024)

 

Le rimostranze della Russia per tale crimine e l’evidenza di un’Europa che sarebbe passata alla Storia complice del massacro di esseri umani su base razziale (sangue russo nelle vene), ha fatto rientrare, tramite un perentorio richiamo dell’UE a Vilnius, l’insensato blocco, ma il ritorno alla ribalta del corridoio Suwalki certamente non può che fare riflettere e se i Paesi Baltici hanno davvero timore di un’ipotetica invasione, la reale paura non può che averla Kaliningrad che, per un periodo se pur breve, è stata angosciata dalla chiusura del corridoio e ora si trova circondata dalle più sconvolgenti esercitazioni NATO che il nord Europa ricordi.

Ad avere reale paura, in questo momento, inoltre, non possono che essere le minoranze russofone che vivono nei Paesi Baltici e su cui si è concentrata l’attenzione. A tale proposito vale la pena di soffermarsi proprio su di esse e su quella che è stata e ancora è la loro condizione in territori che sono all’interno dell’UE e dovrebbe riguardare, di conseguenza, noi tutti. Si parla, infatti, di loro come di possibili “bombe a orologeria” in grado di innescare problemi territoriali. In realtà, a parte quanto ci viene detto, poco sappiamo di loro.

*****

Proviamo a rivedere, perciò, quanto ad esse riferito nel recente periodo che va dal 1991 a oggi. Nel 2004, i Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono stati accolti nell’UE. In tali Paesi dal 1991 (epoca in cui a seguito del dissolvimento dell’URSS acquistarono l’indipendenza) si sono perpetrate discriminazioni (crimini?) contro i propri cittadini rei soltanto di avere antenati russi e di parlare la lingua dei propri padri. I governi da nazional-socialisti sono diventati nazional-democratici ed hanno iniziato a fare riforme che hanno diviso la società in due parti secondo criteri etnici: da una parte i titolari (lettoni, lituani, estoni) e dall’altra i non titolari (russi).

Questa gerarchia era sostenuta da leggi, istituzioni statali punitive e partiti politici costruiti lungo linee etniche. In Estonia, il 26 febbraio 1992, fu ripristinata, aggiornandola, la “Legge sulla cittadinanza” del 1938, riconoscendo il diritto alla cittadinanza estone solo a tutti quelli che già ne fossero stati titolari prima del giugno 1940 (cioè prima dell’annessione alla Russia); in Lettonia, il Parlamento transitorio adottò, il 15 ottobre 1991, la “Risoluzione sul ripristino dei diritti dei cittadini della Repubblica di Lettonia e sui principi fondamentali in tema di naturalizzazione”, con la quale si ribadì la persistente efficacia della “Legge sulla cittadinanza” del  1919. Cittadini fino al giorno prima, i russofoni si sono ritrovati, grazie ad una legge, apolidi. Non potevano più votare ed essere eletti negli organi di governo, prestare servizio nell’apparato statale, lavorare in imprese statali, accedere a libere professioni quali, ad esempio, quella di notaio. I non-cittadini sono stati sottomessi a circa 80 restrizioni nei loro diritti socio-economici.

 

Campagna promozionale del partito Eesti 200 in vista delle elezioni parlamentari del 3 marzo 2019 con la scritta: Qui gli Estoni/Qui i Russi (fonte: Italia Oggi, 11.1.2019)

 

Sia la Lettonia che l’Estonia sono state ammesse nell’UE senza difficoltà, sulla base di  alleggerimenti delle restrizioni messe in atto dai due Paesi alla metà degli anni Novanta e fatti decadere di fatto subito dopo essere entrate in Europa, mentre Bruxelles non risulta facesse  verifiche. Oltre a creare l’istituto della non-cittadinanza, un altro strumento di discriminazione etnica nei nuovi Stati Baltici è stato il divieto dell’uso della lingua russa. Nel 1991, in Lettonia il 48% della popolazione era russa, in Estonia il 36% e in Lituania il 16%.

Tutti conoscevano il russo che era ed è una lingua passe-par-tout preziosa, in grado di permettere di comunicare a tutto quel mix di popolazioni ed etnie che si estende lungo 11 fusi del globo terrestre e cioè per tutto quel territorio che costituisce la Russia di oggi. Dopo 10 anni dall’entrata nell’UE e nel silenzio dell’UE, nel 2014 è stata definitivamente abolita la lingua russa e vietata l’istruzione in russo nelle università statali, e poi nelle scuole e negli asili; sono stati chiusi i canali televisivi che trasmettevano in russo e i libri russi sono stati ritirati dalle biblioteche.

Dai musei e dalle gallerie d’arte sono state rimosse opere d’arte e dipinti che testimoniavano la storia millenaria della vita russa in quelle terre, mentre sono stati sistematicamente distrutti i monumenti, inclusi quelli dedicati ai caduti russi, malgrado l’opposizione delle Nazioni Unite alla messa in opera di tale barbaro progetto. I monumenti sono comunque opere d’arte che testimoniano un periodo storico e vanno in esso inquadrati. Distruggere libri, quadri, statue, films allontana la civiltà da un popolo.

 


Cimitero di Antakalnis, Rimozione del Monumento al milite ignoto, nel corso della distruzione di tutti i monumenti (anche funebri) russi in terra Lituana (da LRT.lt, BNS2022.11.22)

 

Ovunque sono state create commissioni per verificare la conoscenza delle lingue dei gruppi etnici. A queste sono stati sottoposti anche inservienti, bidelli, spazzini, guardiani. I non-cittadini ritenuti con scarsa padronanza della lingua di Stato venivano multati e, se erano di nuovo “condannati per ignoranza” linguistica, venivano licenziati senza riguardo all’età. Gli esami cui erano sottoposti avrebbero messo in difficoltà i laureati della facoltà di filologia, di conseguenza vi sono stati licenziamenti di massa con perdita di stipendi e di pensione. Nelle minoranze russofone, mentre l’UE riversava sui Paesi baltici risorse economiche a piene mani, l’indigenza e la fame non erano infrequenti.

Non una parola dell’UE, inoltre, sul fatto che ogni anno, a Riga, il 16 marzo si celebrasse e tuttora si celebri la marcia dei seguaci delle SS, malgrado segnalazioni e rimostranze ripetute di Israele, Canada e Regno Unito (fonti: Haarez 16.3.2019; The Guardian, 14.3.2010).

 

Latvia, Riga. Processione annuale per commemorare la Latvia Waffen-SS Schutzstaffel. (fonte, Reuters in Haarez 16.3.2019)

 

Immagine di SS poste tra i fiori sul ‘Monumento della libertà’ di Riga (fonte, The Guardian 14.3.2010)

 

Questa vera e propria persecuzione ha portato alla migrazione forzata verso la Russia di moltissimi di questi non-cittadini privati di ogni diritto. In Estonia l’etnia russofona si è ridotta al 24% ed in Lituania al 6%, mentre in Lettonia la riduzione ha portato da circa la metà ad un terzo della popolazione totale. Ogni doloroso abbandono della propria terra natale, per motivi di discriminazione etnica, ha implicato la perdita dei propri averi e ferite non rimarginabili. Il problema, più volte portato in sede europea, è costantemente scivolato come pioggia sull’acqua, lasciando ai Paesi Baltici di proseguire con le discriminazioni, mentre attivisti che lottavano per il riconoscimento dei diritti delle minoranze venivano accusati di essere filorussi, perseguitati e incarcerati (ne è esempio il professor Aleksandr Gaponenko, lituano, portavoce delle minoranze russe in Lituania) nel totale silenzio dei nostri media.

Nel 2014, ormai nell’UE da dieci anni, i Paesi Baltici hanno giustificato l’abolizione della lingua russa in nome di un criterio di “assimilazione” delle minoranze. L’assimilazione è quanto di più violento possa essere posto in essere contro un’etnia. Abolendo la lingua e la storia di un popolo gli si toglie il passato. Per di più, assimilare persone nate sul territorio e che hanno genitori, nonni e anche bisnonni nati nello stesso, è solo pretesto per discriminare, umiliare, creare dissidi generazionali, costringere a un passaparola clandestino per preservare la memoria e ancora di più mettere a nudo la persecuzione del proprio gruppo etnico. Le proteste della Russia cadono nel nulla. L’UE non vede, non sente, non parla.

Dolorosissima per i genitori diviene la discriminazione dei propri figli. In un’Europa in cui i giovani possono liberamente circolare, trasferirsi, studiare all’Estero, cercare opportunità di lavoro, vedere che unicamente ai propri figli è impedito di lasciare il suolo di una Patria che solo per loro è matrigna (gli apolidi non hanno diritti di libera circolazione e i non-cittadini sono apolidi), è esperienza tristissima. Nello stesso 2014, la Russia interviene per tentare di sanare la situazione. Dopo 23 anni di attesa (13 dall’indipendenza dalla non più esistente URSS e 10 dall’entrata nell’UE), e dopo avere assistito passivamente alle persecuzioni contro le proprie minoranze, il Paese di Putin decide di concedere ai russofoni che ne fanno domanda il passaporto russo.

Ciò ha permesso, finalmente, una mobilità protetta dei giovani, ai quali, pur nati nei Paesi Baltici e con genitori e anche nonni tutti nati negli stessi Stati era negata la cittadinanza alla nascita. Come prevedibile, i non-cittadini hanno richiesto il passaporto russo in massa e da non-cittadini estoni, lettoni, lituani sono diventati a tutti gli effetti cittadini russi creando una scissione inquietante all’interno delle Nazioni di riferimento e, più in generale, nell’UE. Nel 2020, la Lituania, seguita dall’Estonia, su stimolo di un’Unione Europea apparentemente risvegliatasi, ha deciso di dare la cittadinanza alla nascita ai non-cittadini oramai in quarta generazione (erano passati 80 anni dai nati nel 1940) su richiesta di un genitore.

L’Estonia, comunque, proibisce di mantenere la cittadinanza russa e questo significa rinunciare a quel passaporto che dal 2014 é stata l’unica sicurezza per questa etnia vessata. Intanto, i diritti violati, la forte disincentivazione ai matrimoni “misti”, l’emarginazione, l’ingiustizia, la povertà hanno creato innegabili tensioni. Coloro che erano da generazioni nati sul suolo baltico e che si sentivano cittadini di quei Paesi, rifiutati e perseguitati dalla loro Madrepatria hanno trovato, infatti, nella Russia quella protezione difficile da lasciare per finire, oltretutto,”assimilati”, dal momento che non sono state minimamente alleggerite le norme relative alla lingua, storia e cultura russe. Con la guerra d’Ucraina il problema delle minoranze russe è emerso non per condannare i Paesi Baltici, ma per mistificare i fatti. La Russia, secondo racconti di numerosi media, avrebbe volutamente trasferito masse di propri cittadini su quelle terre prima della dissoluzione dell’URSS per fare sì che potessero chiedere, in un domani, l’autonomia di aree di territorio o addirittura la secessione. La migrazione russa, più semplicemente, nelle terre baltiche è di antica data ed è stata motivata dalla ricerca di lavoro che ha portato a spostamenti verso aree che offrivano condizioni di vita migliori, cosa comune a tutti i Paesi; possiamo, a questo proposito, ricordare la migrazione dal Sud al Nord Italia degli anni ’60 e le migrazioni di massa di italiani verso il Regno Unito, Francia e Germania degli ultimi vent’anni.

C’è da chiedersi, piuttosto, il perché di tanto efferato razzismo da parte dei Paesi Baltici. Questo non è giustificabile quale reazione al durissimo trattamento di Stalin che colpì l’intera popolazione dell’URSS e Paesi annessi, russi in primis, strettissimi collaboratori inclusi (tutti sterminati, compreso Trotsky, cui non valse l’essere emigrato in Messico), e che ha comportato un numero di suoi concittadini più alto, in milioni di morti, di quanti non ne avesse fatti la seconda guerra mondiale.

C’è nel contempo da chiedersi il perché di tanta tolleranza dell’UE verso una politica che avrebbe dovuto fare inorridire Bruxelles e Strasburgo e imporre ai Paesi Baltici il rispetto delle minoranze e dei diritti umani pena sanzioni durissime o anche l’espulsione dall’UE. Inevitabilmente la mente corre alla politica USA di espansione della NATO, su modello ucraino, aggravata da strategie di apartheid. La libertà di lingua e culto che la Federazione Russa concede alle proprie minoranze di contro alle violazioni perpetrate nelle Repubbliche Baltiche, permette confronti non in favore della civilissima Europa.

Con la guerra d’Ucraina e la “caccia ai russi” che vivono in Occidente i Paesi Baltici si sono sentiti autorizzati ancora di più ad esasperare la situazione. La Lettonia sta mettendo in atto la deportazione forzata (data di inizio 31 marzo 2024) di migliaia di suoi non-cittadini che dovevano entro fine novembre 2023 fare domanda per permesso di residenza e superare i relativi tests. Non importa se si tratta di Persone anche anziane, che da generazioni risiedono in Lettonia, non importa che proprio la Lettonia (al pari delle altre Repubbliche Baltiche) le abbia costrette a richiedere un passaporto russo per uscire da un limbo senza speranza. In prima istanza sono scattate sanzioni pecuniarie durissime cui seguirà la deportazione. Sempre la Lettonia ha, inoltre, sottoposto nel 2022 e 2023 le minoranze russe con acquisita cittadinanza lettone a stressanti tests per verificare il loro ripudio della Russia.

Quanto realmente questi test riflettano il reale sentire di chi è stato costretto a rispondere non è certo. Può essere certo, tuttavia, che chi viene deportato o si vede deportare padre o madre o nonni o addirittura il coniuge, non dimenticherà mai. Mentre la propaganda europea non cessa di fomentare paure e martellare le menti contro la terra di Tolstoj e Strawinsky, sarebbe opportuno fermarsi a riflettere su cosa stiamo diventando, in un’Europa in cui è sempre più difficile riconoscersi e su cui ricadrà tutto il prezzo della guerra d’Ucraina.

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Maurizia LeonciniFreelance Journalist

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