Per capire l’arte ci vuole una sedia | | Si parlava solo di film: ricette per distribuire cinema

(recensione di: Vania Protti Traxler, Sognavamo al cinema. Conversazioni con Francesca Boschiero e Giovanni B. Gifuni. Prefazione di Federico Pontiggia. Edizioni Sabinae 2022)

 

Una scena di I misteri del giardino di Compton House. Regia: Peter Greenaway. Produzione:
British Film Institute, Channel Four Television (Regno Unito 1982)

 

 

Nel 1982 il regista britannico di The Draughtsman’s Contract (“Il contratto del disegnatore”, in italiano convertito in I misteri del giardino di Compton House) è al suo primo lungometraggio di finzione: si chiama Peter Greenaway ed è un pittore diventato regista dopo avere visto Il settimo sigillo di Bergman. Per il suo primo film, Greenaway sceglie come autore per le musiche Michael Nyman, autore di melodie invasive ispirate a Henry Purcell (l’autore secentesco della prima marcia funebre nota della storia, con la quale Kubrick apre Arancia meccanica).

Sia I misteri del giardino di Compton House sia Il ventre dell’architetto sono opere entrate nell’immaginario non solo del pubblico generalista del cinema d’autore ma anche e soprattutto degli storici dell’arte. Io stessa, difatti, devo la scoperta dei film di Greenaway non alle sale ma, ormai ventenne, alle lezioni di Storia dell’arte contemporanea di Giancarlo Gentilini.

Ho cominciato proprio con I misteri del giardino di Compton House, ho continuato autonomamente con Il ventre dell’architetto, L’ultima tempesta e Il bambino di Mâcon mentre intanto si imprimevano nei miei occhi certi supplizi perpetrati in Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, con Helen Mirren (vestita da Jean-Paul Gautier e dal cappellaio reale Philip Treacy) lady vendetta in un mondo di uomini volgari che odiano chi legge libri, evocato dai neri abbaglianti di un ritratto multiplo di Frans Hals riprodotto in scala 1:1 nel ristorante in cui si svolge la prima parte del film.

Il protagonista di I misteri del giardino di Compton House è un disegnatore di paesaggi nel Seicento inglese.

“Il film era bellissimo e intrigante, così intrigante che la gente non capiva niente. C’era una scena, per esempio, nella quale una statua si muoveva e faceva la pipì”.

Lo racconta Vania Protti Traxler, alla quale il pubblico italiano deve la distribuzione in Italia del film e, di conseguenza, la conoscenza di Greenaway, del quale Protti Traxler ha poi distribuito anche Il ventre dell’architetto. Protti Traxler ha raccontato anche come veniva recepita la scena della statua urinante:

“fui subissata da telefonate del pubblico che mi chiedeva ‘Ma perché la statua ogni tanto fa pipì?’. Dopo un po’ di giorni, esasperata, chiamai Greenaway e dissi: ‘[…] Dimmi perché hai girato questa scena’. ‘Ah guarda non me lo chiedere perché non lo so. Tu di’ che il regista vuole lasciare il mistero!’, fu la sua risposta”.

Come quasi tutti gli artisti contemporanei, anche Greenaway non si sottrae alla topica autobiografica dell’artista nato, come Minerva, armato di tutto punto dalla testa di Giove. Infatti la spiegazione è semplice, coerente e bellissima: per tradizione continua, è naturale che nell’opera di un pittore quale è Greenaway una statua si ricordi di fare pipì in un giardino. Per secoli nella storia dell’arte moderna putti dipinti nei quadri o scolpiti per le fontane hanno fatto pipì in un paesaggio in pubblico.

 

Il puer mingens in Tiziano, Baccanale degli Andrii (part.), 1523-1526, olio su tela, 175 x 193 cm, Madrid, Museo del Prado
Pierino da Vinci, putto per fontana, 1544-1546, marmo, h. 56 cm, Arezzo, Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna

 

La società di distribuzione cinematografica Academy Pictures (attiva anche con successive denominazioni), fondata nel 1976 dai coniugi Vania Protti e Manfredi Traxler, ha introdotto registi come Greenaway nell’immaginario degli amanti italiani del cinema d’autore. L’attività di distribuzione dell’Academy inizia infatti con un altro totem del cinema d’autore, come Greenaway caro agli storici dell’arte: Rainer Werner Fassbinder.

Quando al Festival di Cannes nel 1978, incoraggiati da “una piccola critica”, i Traxler vanno a vedere Il matrimonio di Maria Braun in una saletta del cinema Star in rue d’Antibes, la pellicola è reduce dall’Orso d’argento a Berlino ma l’autore che sarebbe morto dopo avere girato Veronika Voss e Querelle è ancora un regista tedesco conosciuto solo nei cineclub, nonostante siano già usciti alcuni dei titoli ai quali oggi si lega il suo culto: Attenzione alla puttana santa, Le lacrime amare di Petra von Kant, Il viaggio in cielo di Mamma Kusters. I Traxler riescono a trasformare Fassbinder in un regista da circuito tradizionale che passa film d’autore chiedendo a Roberto Valerio del cinema Rivoli a Roma di proiettare Il matrimonio di Maria Braun durante il periodo natalizio, con lungimiranza che si trasforma in successo.

 

 

 

Anche il concetto di “cinema d’autore”, insomma, si afferma in Italia grazie all’immissione nelle sale del circuito tradizionale della maggior parte dei film distribuiti dai Traxler, con la nascita di un nuovo tipo di pubblico (se ne è accorto per primo Enrico Lucherini: si veda p. 39).

Ma i primati dell’attività professionale di Vania Protti Traxler sono anche altri. Quando apre con Georgette Ranucci il cinema Alcazar a Roma, Protti Traxler introduce per la prima volta le poltrone rosse comode e larghe comprate a Parigi, consente per la prima volta di prenotare il posto a sedere, permette di fumare e sperimenta un nuovo orario serale (p. 47).

L’Academy distribuisce ufficialmente il primo film cinese in Italia, Sorgo rosso di Zhang Yimou (1987) (p. 99), e due film le cui protagoniste sono tra le ultime donne a essere giustiziate in Gran Bretagna e in Francia, Ballando con uno sconosciuto di Mike Newell (1985) e Un affare di donne di Claude Chabrol (1988) (pp. 89, 105). Tra gli esordi alla regia, l’Academy distribuisce Ballroom di Baz Luhrmann, uno dei film “sul potere liberatorio della danza” selezionati da Protti Traxler insieme a “le due Carmen [di Carlos Saura e di Mark Dornford-May], Montenegro Tango [di Dusan Makavejev], Tangos di Solanas” (p. 139).

L’attività ultratrentennale della società di distribuzione è ora ripercorsa in un libro, Sognavamo al cinema (le citazioni iniziali relative a I misteri del giardino di Compton House si leggono alle pp. 73-74). Protti Traxler lo ha pubblicato con due esperti con i quali ha condiviso a lungo il lavoro che ruota attorno alla selezione e alla curatela dei film da distribuire: Francesca Boschiero e Giovanni B. Gifuni.

Boschiero è un’avvocata specializzata in proprietà intellettuale, contitolare dello studio F-Legal a Roma. Ha svolto attività istituzionale in Commissioni governative per la tutela del diritto d’autore e il contrasto alla pirateria digitale ed è stata responsabile degli uffici legali di società di cinema e di editoria; come responsabile dell’area legale e business dell’Academy dopo Eleonora “Tinny” Andreatta (p. 144), si è occupata della contrattualistica e degli acquisti dei film nei festival e sui mercati internazionali.

Gifuni si è laureato con Nadia Fusini in Letteratura inglese mettendo a frutto una forte passione di lettore di racconti e romanzi fantastici e ha poi lavorato alla Camera dei deputati come Consigliere parlamentare a capo dell’Ufficio della Biblioteca della Camera che si occupa della documentazione istituzionale e legislativa straniera. Contemporaneamente Gifuni ha coltivato una passione per il cinema forte quanto quella per la letteratura fantastica, scrivendo saggi, lavorando a festival cinematografici e soprattutto svolgendo, dal 1997 al 2011, attività di consulenza per l’Academy Pictures per l’acquisto di film (della tradizione intellettuale e artistica che si perpetua ormai da qualche secolo nella famiglia Gifuni, tra Lucera e Roma, la rubrica si è occupata il 2 agosto: https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-la-rubrica-di-floriana-conte-gifuni-nonno-e-nipote-il-diritto-i-libri-il-patrimonio-pubblico-le-arti-da-lucera-a-lucera/).

Così da Sognavamo al cinema emerge che il pubblico italiano deve a intuizioni di Giovanni B. Gifuni il suggerimento di acquistare per la distribuzione alcuni film di registi poi diventati molto noti: Creature del cielo, Leone d’argento a Venezia nel 1994, diretto da un giovane Peter Jackson prima di Il Signore degli anelli (p. 147); Il giardino delle vergini suicide, l’esordio alla regia di Sofia Coppola, scoperto alla Quinzane des Réalisateurs a Cannes nel 1999 (p. 155); Cosa piove dal cielo di Sebastian Borensztein, visto a Cannes nel 2011.

 

Una scena da Il giardino delle vergini suicide. Regia: Sofia Coppola. Produzione: Paramount Classics (USA 1999)

 

 

Giovandosi della consuetudine ultradecennale con Boschiero e Gifuni, Protti Traxler ha ottenuto un libro corale; del resto, corale e collettivo è il lavoro cinematografico. Sognavamo al cinema traccia la storia familiare e professionale di Protti Traxler, con attenzione all’attività dell’Academy dal 1978 al 2011, dalla quale Boschiero e Gifuni hanno selezionato cinquanta degli oltre duecento film distribuiti per fare di essi il perno della conversazione (alcuni film furono acquistati su sceneggiatura, come la trilogia dei colori di Krzystof Kieślowski tornata nelle sale proprio in questo periodo: p. 143).

 

Eduardo Arroyo, Manfredi Traxler e Vania Protti Traxler, penna su carta, collezione Protti Traxler

 

Il libro ha in copertina un doppio ritratto in bianco e nero di Vania e Manfredi (la foto è di Angelo Raffaele Turetta). I Traxler sono nuovamente ritratti (a p. 3) in due ironici schizzi ricavati su due fogli quadrettati dall’artista madrileno naturalizzato parigino Eduardo Arroyo.

Manfredi è ovviamente presente in tutto il libro anche perché l’Academy era una creatura della coppia. Protti Traxler ha continuato a lavorare autonomamente dopo la morte del marito nel giugno 2000 (p. 161), fondando la Lady Film e la Archibald Enterprise Film (p. 17), e non smettendo mai di amare i film: i suoi preferiti ancora oggi sono sei straordinari classici, tra i quali Via col vento (in assoluto il suo favorito), A qualcuno piace caldo e C’era una volta in America (p. 50).

Sognavamo al cinema è composto da una prefazione di Federico Pontiggia, da un’introduzione dei coautori Boschiero e Gifuni e da due appendici.

L’appendice I film (pp. 237-251) scheda cinquanta dei film distribuiti dall’Academy selezionati per le conversazione; a essi se ne aggiunge uno, Sanremo – La grande sfida, l’unico del quale Protti Traxler nel 1960 fu interprete, accreditata con il cognome “Ricordi” del primo marito, Teddy Reno (p. 37).

Le conversazioni sono organizzate diacronicamente e tematicamente.

Le prime due ripercorrono la storia della famiglia di Protti Traxler. Le successive cinque ricostruiscono la storia dell’attività di esercizio cinematografico prima e di distribuzione e coproduzione cinematografica poi di Protti Traxler, in continuità con la tradizione familiare e poi in condivisione con il marito Manfredi.

L’appendice Il ricettario (pp. 191-234) contiene le riproduzioni dei menu manoscritti delle cene e i testi delle ricette dai quaderni di cucina di Protti Traxler, cuoca in prima persona con l’aiuto di cinque collaboratori (puntualmente ringraziati a p. 234) e ispirata dalla marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, autrice di classici della gastronomia (Come si cucina la selvaggina, 1959; Desinari e cene e Pranzi e conviti, 1964-1965; La cucina nell’arte, 1983), imparentata con Manfredi e menzionata come “preziosissima maestra e ispiratrice dei miei menu” (p. 190).

L’associazione tra il lavoro di distributrice di film con abile fiuto per nuovi talenti e l’inclinazione per il buon cibo da offrire agli artisti e agli amici nella propria casa mi ha fatto venire in mente la peculiarità di un “distributore di quadri” dotato di fiuto sagace per i talenti: il mercante di quadri per eccellenza, Ambroise Vollard, che creò per primo il mercato dei pittori impressionisti mentre a Parigi metteva insieme i maggiori artisti contemporanei, amici e conoscenti per cene a base di curi di pollo (piatto nazionale dell’isola della Réunion, di cui Vollard era originario) nel seminterrato della sua bottega noto come la “Cantina Vollard” (è una lettura molto godibile e ricca di aneddoti come Sognavamo al cinema anche l’autobiografia di Vollard, Memorie di un mercante di quadri, uscite in francese nel 1948 e tradotto in italiano da Ximena Rodríguez Bradford per Johan & Levi nel 2012; il capitolo 7. Le cene alla Cantina è alle pp. 79-96).

 

Pierre Bonnard, Cena alla Cantina di Vollard, 1907, olio su tela, 73 x 104 cm, collezione privata

 

Ad eccezione del primo menu, riguardante la cena del 31 dicembre 1972 (p. 27), e del secondo, ideato per la nascita dell’Academy nel 1977, tutti i menu e le ricette di Sognavamo al cinema sono legati alle cene date in casa dai Traxler in onore dell’anteprima di un film: Protti Traxler festeggia il primo film, Il matrimonio di Maria Braun, il 19 ottobre 1979 con tortellini alla panna, porchetta del “guardiacaccia Lanciotto”, ciambellone bolognese e gelati multipli; celebra l’ultimo, Faust di Sokurov (Leone d’oro a Venezia nel 2011) con tortelli di zucca, risotto con anatra e tartufo nero e una torta “sbrisolona” che dichiara le origini mantovane della famiglia Protti, felicemente intrise di cinema e cibo. Infatti i Gallico (genitori di Lidia, mamma di Protti Traxler) avevano un negozio di specialità ebraiche in centro a Mantova (pp. 17, 25); i Protti erano esercenti, produttori e distributori cinematografici mantovani con una storia che è, essa stessa, da film.

Nell’estate 1904, da Libiola di Serravalle Po, Ottorino Protti (nonno di Protti Traxler) gira per la Bassa padana con il suo neonato cinema ambulante, il Cine Colossal View, proiettando nelle piazze e nei circhi le pellicole che con il fratello Gino avevano acquistato, con i proiettori, a Parigi direttamente dai fratelli Lumière. Non ancora trentenni, il nonno e lo zio di Protti Traxler non vollero proseguire l’attività dei genitori, agricoltori e proprietari terrieri, inaugurando così una nuova tradizione professionale. Con i fratelli Protti collaboravano altri mantovani dall’illustre discendenza: il padre di Gorni Kramer suonava dal vivo, il padre di Mario Monicelli scriveva le locandine, il futuro editore Arnoldo Mondadori era la voce narrante, l’aiuto operatore e stampava le locandine.

Lo zio Gino si trasferì a Milano, acquisendo nel 1908 la proprietà del cinema Volta, dove nel 1916 venne proiettato Cenere, l’unico film con Eleonora Duse, tratto da un romanzo di Grazia Deledda (pp. 21-22).

 

Eleonora Duse con Febo Mari in Cenere. Regia: Febo Mari. Produzione: Ambrosio Film (Italia 1916)

 

Negli anni Venti i Protti divennero i fornitori ufficiali di pellicole per la Casa Reale, soprattutto per la Regina durante le residenze a San Rossore (p. 23). Praticamente senza soluzione di continuità, il rapporto con lo Stato continuò: il Presidente della Repubblica Pertini (p. 75) chiese all’Academy proiezioni al Quirinale di Mephisto di István Szabó (1981), di Yol di Yilmaz Guney e Şerif Gören (1982) e di Carmen Story di Carlos Saura (1983).

 

Vania Protti Traxler con Sandro Pertini, Roberto Russo e Monica Vitti al Quirinale, probabilmente inizio degli anni Ottanta del Novecento

 

 

La memoria familiare ha tramandato oralmente fino a Protti Traxler anche il lessico degli addetti ai lavori nel primo Novecento in Italia settentrionale. Protti Traxler racconta che, quando lo zio Gino proietta le prime pellicole a Milano in via della Moscova, “le films” durano quindici minuti (p. 23), attestando un uso al femminile del sostantivo maschile “film” diffuso all’inizio del Novecento anche nella lingua letteraria (in Panzini, in Gozzano: qualche esempio si trova nello spoglio del Grande Dizionario della lingua italiana consultabile anche online sul sito dell’Accademia della Crusca: https://www.gdli.it/) per indicare la singola pellicola o, per estensione, anche la vera e propria arte cinematografica.

Quando ricorda che lo zio Gino lanciò in Italia anche William S. Hart, “che era il prototipo dell’eroe dei western, o come si chiamavano allora, dei cappelloni”, Protti Traxler attesta la diffusione di una parola gergale milanese (che poi usa anche Gadda) per indicare i carabinieri e i vigili urbani (p. 23).

Restando nell’ambito della memoria familiare, Protti Traxler afferma che in famiglia non si parlava mai di storia dell’arte: “La mia famiglia viveva, letteralmente, di cinema. Non capitava mai che si parlasse di una chiesa, o un monumento; si parlava solo di film” (p. 35). In realtà Protti Traxler ha sviluppato una certa sensibilità per la pittura, soprattutto impressionista. Oltre ai due film di Greenaway, ha distribuito Una domenica in campagna di Bertrand Tavernier (1984), intuendone il potere evocativo delle immagini pittorialiste, superiore a quello delle parole. Il protagonista “è un pittore alla fine della vita” all’inizio del Novecento con “inquadrature che ricordavano Renoir, altre Monet, con il grande giardino e il piccolo ponte curvo, come a Giverny. E poi Manet: c’era un dejeuner sur l’herbe un po’ surrealista, quasi senza cibo” (pp. 79-80).

 

Una scena di Una domenica in campagna. Regia: Bertrand Tavernier.
Produzione: Sara Films, Films A2, Little Bear (Francia, 1984)

 

Anche in Tutte le mattine del mondo di Alain Corneau, Protti Traxler viene affascinata dalla “grande forza visiva: per le riprese della natura rigogliosa nella quale il compositore aveva scelto di ritirarsi”(p. 133).

 

Tutte le mattine del mondo. Regia: Alain Corneau. Produzione: Film Par Film, D.D. Productions, Divali Films, SEDIF, FR3 Films Production, Paravision International (Francia, 1991)

 

Due artisti, un clochard e una pittrice con un occhio bendato, sono ancora una volta protagonisti del controverso Gli amanti del Pont-Neuf (1991) del giovane Leos Carax, che l’Academy sceglie di distribuire (p. 131). Protti Traxler ha selezionato alcuni film, dunque, anche perché ne ha apprezzato la fotografia di evocazione impressionista di grande impatto sullo svolgimento della storia.

Non è, del resto, singolare che chi lavora nel cinema trovi inconsciamente, o consciamente, familiare la pittura impressionista e il cinema: il secondogenito di uno dei maggiori pittori impressionisti, Pierre-Auguste Renoir, diventa regista, gli fa da aiuto Luchino Visconti e frequenta Tinto Brass; soprattutto, Jean-Luc Godard nel 1967 fa dire a Jean-Pierre Léaud in La Chinoise che Lumière è stato “l’ultimo pittore impressionista”, per poi variare la battuta ribaltandola in Histoire(s) du cinéma (Paris, Gallimard-Champs visuels, 2006): “con Édouard Manet comincia la pittura moderna, cioè il cinema”.

Infine, a coloro che si sono ricordati di Franz Kafka solo in occasione dell’imminente centenario della morte, Sognavamo al cinema permette di ricordare che l’Academy ha nel suo carniere il penultimo film di Fellini, Intervista, che inizia in esterno notte a Cinecittà sul set di un film tratto dal romanzo America  (che interessò anche il maggiore pittore figurativo del secondo Novecento italiano che fu anche regista, Mario Schifano). Fellini non girerà mai America, perché viene interrotto da giapponesi che vogliono intervistarlo, precipitandolo in una serie di situazioni umoristicamente kafkiane (p. 101).

 

La locandina di Intervista. Regia: Federico Fellini. Produzione: Aljosha Productions, in collaborazione con Rai Uno e Cinecittà (Italia-Francia 1987)

 

Sognavamo al cinema è una testimonianza praticamente unica nel panorama editoriale italiano perché fa luce, con il genere accattivante dell’intervista e una lingua colloquiale, su un lavoro fondamentale e capillare in ambito cinematografico ma sostanzialmente ignoto alla maggior parte del pubblico. Del funzionamento della distribuzione nazionale (del quale il libro parla alle pp. 40, 42-43, 49) fanno parte infatti anche la traduzione e il doppiaggio, spesso affidato dai Traxler a grandi registi italiani come Valerio Zurlini (p. 70), che aveva diretto il doppiaggio del magnifico Il cacciatore (1978) di Michael Cimino e che per l’Academy diresse l’adattamento e il doppiaggio di Ti ricordi di Dolly Bell?, il primo film di Emir Kusturica (1981). Del doppiaggio di Una domenica in campagna (p. 80) si occupò Marco Tullio Giordana (del quale l’Academy distribuì l’esordio Maledetti vi amerò del 1980).

Sognavamo al cinema è un libro che merita di essere conosciuto dai non addetti ai lavori anche per una ragione molto attuale. Senza i distributori cinematografici i film, di fatto, non verrebbero visti. Anche il cinema, come il teatro, smette di esistere se non c’è almeno uno spettatore in uno spazio predisposto alla visione di un film. Le memorie di Vania Protti Traxler, in fondo, riflettono un’epoca finita, forse a breve archeologica: l’epoca dei film concepiti per la distribuzione e la visione nelle sale. Forse certi registi distribuiti dall’Academy erano più liberi da certi condizionamenti semplificatori causati dall’attuale partecipazione alla produzione dei film dei colossi dello streaming domestico (un esempio recente eloquente di questo tipo di compromesso mi è parso il deludente Killers of the Flower Moon: girato sottotono dal regista vivente che idolatro di più, forse deve certi compromessi alla quota di distribuzione pagata da Apple alla Paramount perché il film andasse nelle sale e non esclusivamente sulle piattaforme).

 

Floriana Conte Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

 

 

 

 

 

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